Capaci, l’incredibile storia del comandante dei carabinieri Paolo Conigliaro brutalmente cacciato e umiliato perché stava indagando sui notabilati locali. Imputato per un’inesistente diffamazione, davanti a un tribunale militare è stato assolto: «Questo dibattimento non si sarebbe dovuto aprire»
- Una caccia all’uomo per una foto di Stanlio dentro un gruppo chiuso di WhatsApp. Poi un calvario giudiziario e umano durato quattro lunghi anni. Ispezioni corporali e accertamenti psichiatrici, un’indagine “punitiva“.
- Il maresciallo stava conducendo un’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose al comune di Capaci e su una variante urbanistica che trasformava un terreno in un’appetibile zona commerciale. L’hanno fermato prima.
- La giustizia ordinaria ha archiviato il suo caso mentre quella militare l’ha trascinato a giudizio con accuse farneticanti. Ma nessuno ha mai indagato sugli intrighi denunciati dal maresciallo.
Una mattina gli ordinano di spogliarsi. Via tutto, anche le mutande. Poi inizia l’ispezione corporale in una stanza al primo piano della caserma “Carini” di Palermo, una scalinata che si affaccia sul teatro Massimo e dall’altra parte un bastione che arriva sino al mercato del Capo. Cercano nelle intimità di un maresciallo dei carabinieri una scheda telefonica che non troveranno mai. Un’altra scheda telefonica, la seconda, perché la prima l’hanno già presa e lì dentro c’è la “prova” che l’inch



