Continua con la sua 31esima puntata la rubrica “Politica resiliente” curata da Avviso Pubblico, l’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica.


Lo scorso 20 ottobre è stato sottoscritto in prefettura a Roma, un protocollo per la prevenzione di ogni forma di illegalità nell’utilizzo dei fondi del Pnrr destinati alla crescita del Lazio. L’impiego del finanziamento, che ammonta a quasi 18 miliardi di euro, sarà controllato da tutte le forze dell’ordine che, attraverso un'azione congiunta e con il coordinamento della prefettura, monitoreranno, allo scopo di prevenire e contrastare eventuali illeciti relativi ai progetti di volta in volta segnalati dalla Regione.

Il documento, firmato dal prefetto Piantedosi poche ore prima di essere nominato ministro dell’Interno del Governo Meloni, dal presidente della regione Nicola Zingaretti e dai rappresentanti delle forze dell’ordine – questura di Roma, comando legione carabinieri Lazio e comando regionale Lazio della Guardia di finanza – istituisce un tavolo di raccordo presso la prefettura, allo scopo di condividere i risultati dell’attività di vigilanza e controllo sui contratti pubblici e sul ciclo di approvvigionamento di lavori, servizi e forniture.

Tale metodo, si legge nella nota del ministero dell’Interno, consentirà di vigilare sul corretto utilizzo delle risorse pubbliche e di individuare tempestivamente le eventuali criticità. Al tavolo potranno inoltre ricorrere gli Enti locali come supporto nella complessa gestione dei progetti finanziati.

La regione Lazio è molto attiva sul fronte della prevenzione agli illeciti relativi ai fondi del Pnrr, come evidenzia l’importante accordo sottoscritto sul finire del 2021, un protocollo che coinvolge la Direzione investigativa antimafia, la Direzione nazionale antimafia che vede magistrati e forze dell’ordine collaborare con le autorità regionali per monitorare anche gli investimenti della programmazione comunitaria 2021-2027 e del Piano sviluppo e coesione.

Il Rapporto “Mafie nel Lazio”

Nelle stesse ore in cui veniva firmato il protocollo sul Pnrr, la regione presentava l’annuale rapporto Mafie nel Lazio, accurato e documentato resoconto delle principali inchieste giudiziarie sulle organizzazioni criminali attive sul territorio laziale. Rapporto da cui emerge, lampante, la necessità che le istituzioni facciano rete e collaborino per salvaguardare gli investimenti dagli appetiti mafiosi.

«Emergono sempre con maggiore chiarezza alcune sulla dinamicità delle famiglie mafiose – si legge nell’introduzione al rapporto – un’evoluzione storica del modello, un salto di qualità nell’agire delle mafie tradizionali nel Lazio che va dalla ‘testa di ponte’, ossia dal mero investimento in attività commerciali, alla delocalizzazione delle strutture criminali, fino alla stabilizzazione della cellula con l’importazione nel Lazio del metodo mafioso, come dimostra la scoperta della prima ‘locale’ di ‘ndrangheta istituita all’interno della città di Roma come propaggine della mafia calabrese… Non c’è un soggetto in posizione di forza e quindi di preminenza sugli altri, ma sullo stesso territorio convivono e interagiscono diverse organizzazioni criminali: innanzitutto gruppi che costituiscono proiezioni delle mafie tradizionali, con la ndrangheta dotata senza dubbio di maggiore potenza militare ed imprenditoriale. Insieme a queste proiezioni sullo stesso territorio coesistono, inoltre, gruppi criminali autoctoni che danno vita a vere e proprie associazioni mafiose ma anche organizzazioni che, pur non rientrando nel profilo penale del 416 bis, sono egualmente pericolose perché accomunate dall’utilizzo del metodo mafioso. Si determina così un perverso scambio di utilità criminali tra gruppi mafiosi e criminali che si riconoscono e si rispettano reciprocamente».

Gli affari e il controllo sociale delle periferie

Un “sistema multilivello” quello descritto dal rapporto, che si sostiene grazie ad una sorta di “pax mafiosa” stipulata dalle principali organizzazioni criminali operanti sul territorio della capitale sin dai tempi della Banda della Magliana, facilitato dall’opera di numerosi intermediari – che gestiscono “l’incontro fra domanda e offerta di mafia” – e un’ampia rete di corrotti e corruttori, i quali garantiscono al sistema di penetrare il tessuto economico su più livelli, gestendo riciclaggio, traffico di droga anche internazionale, investimento di capitali illeciti, gioco d’azzardo e usura, false fatturazioni ed evasione dell’Iva.

Il rapporto racconta non solo le grandi dinamiche finanziarie, ma sottolinea da tempo il “controllo sociale” operato dalle mafie locali sulle periferie, laddove l’emergenza educativa, le diseguaglianze, la fragilità delle reti e dei corpi intermedi, talvolta l’assenza della politica, lascia ampie praterie alle organizzazioni criminali, in grado di sperimentare “nuovi modelli criminali dei quali la gestione delle piazze di spaccio rappresenta un fondamentale strumento di contagio mafioso”.

Per arginare il controllo sociale mafioso ed evitare che le organizzazioni criminali si sostituiscano allo stato, è necessario rilanciare l’impegno delle Istituzioni. Se il sistema mafiosa è multilivello, deve esserlo anche la risposta dello stato, perché la straordinaria azione della Magistratura e delle forze dell’Ordine da sola non è sufficiente.

La scarsa attenzione della politica nazionale sul tema – come emerso anche nel corso dell’ultima campagna elettorale – è un elemento su cui fare profonde riflessioni. Di mafie si parla poco e questo silenzio assordante è uno degli elementi che, assieme a quelli citati per le periferie romane, crea le condizioni ambientali che determinano l’evoluzione di nuovi modelli criminali, anche in territori a non tradizionale presenza mafiosa com’era il Lazio.

Il riutilizzo sociale dei beni confiscati – spazi liberati dalle mafie e restituiti alla collettività – attraverso il sostegno finanziario agli Enti locali che conducono progetti di ristrutturazione –, la creazione di reti antiusura sul territorio, mediante la realizzazione di sportelli di ascolto e di indirizzo qualificato, che riconoscono sussidi alle vittime che denunciano i propri carnefici, l’opera di formazione e sensibilizzazione dei cittadini, a partire dai più giovani, sono alcune delle politiche che regione Lazio ha condotto in questi anni. Politiche che hanno bisogno di continuità, di un dialogo aperto e di un confronto costante con le Istituzioni centrali.

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