L’attivista rom contro Striscia la Notizia: «Puro populismo che normalizza la violenza sulla nostra comunità»

Artista di strada, stand up comedian e attivista della comunità rom, ma per Rašid Nikolić non sono definizioni separate, ma un’estensione di un unico ragionamento. Insieme all'Ucri (Unione delle comunità Romanès in Italia) ha intrapreso azioni legali contro Striscia la Notizia per uno sketch che avrebbe normalizzato la violenza contro le donne rom. Lei si definisce un paramišar. Cosa significa questo termine? Paramišar è un termine romanì che significa “racconta storie”. È un ruolo sociale rom che esplora la morale attraverso il teatro di figure e le marionette, un’arte che origina dall’India. Per me non è solo un lavoro, è un’estensione di un unico ragionamento. Lo spettacolo di strada è un concentrato dell’agorà dove siamo tutti in piazza, siamo tutti uguali e non esistono setacci economici o di ceto sociale. Non racconto semplicemente fiabe ai bambini, ma includo tutta la famiglia e tutta la piazza nei miei spettacoli. Parliamo della denuncia contro Striscia la Notizia. Cosa è successo? A marzo 2025 Striscia la Notizia ha mandato in onda una scenetta atroce, inguardabile, in cui una donna rom viene picchiata da un comico travestito da Lucio Corsi con un manganello – simbolo dello Stato – generando ilarità. Questa scenetta sarebbe inaccettabile per qualsiasi altra comunità e avrebbe portato alla chiusura del programma. È puro populismo che ha normalizzato la violenza contro la comunità rom. Non c’è satira, non c’è decostruzione del potere, è una normalizzazione della violenza razzista. Abbiamo sporto denuncia legale presso la Procura di Monza. Io sono parte in causa come singolo attivista e l’Ucri tramite il presidente Gennaro Spinelli come parte civile. Classi speciali per rom e sinti, fu inclusione o esclusione? La lettera dell’ex insegnante e la replica dello storico La battaglia legale si estende anche al caso Lucio Corsi? Nessuna battaglia legale, ma abbiamo provato a cercare un dialogo. Nel suo brano Altalena Boy del 2015, Corsi ha incluso la frase che ci danneggia “C’è chi dice l’hanno preso gli zingari / E l’han portato in un campo rom”. Nonostante i tentativi di dialogo e Pec da parte nostra, Corsi e il suo management hanno ignorato le richieste, come se non esistessimo. Questo è un esempio di come tutt’ora molti artisti perpetuino gli stereotipi più dannosi sulla nostra pelle. Credo che Lucio Corsi se la sarebbe potuta cavare con delle scuse. E lui invece da Radio Deejay in un’intervista in cui parlava di Eurovision quando è venuto fuori l’argomento ha semplicemente dichiarato «La musica può». “Rubare i bambini” è uno stereotipo che vi perseguita da sempre. È l’accusa più mostruosa che ci rivolgono. Non esiste un solo caso mai arrivato in tribunale di rapimento di bambini da parte dei rom. È una storiella nata per renderci lo spaventapasseri perfetto. Siamo utili all'educazione: «Se non fai il bravo arrivano gli zingari e ti portano via». Un odio programmato per renderci indifendibili, per trasformarci in mostri. Quei figli che l’Italia non vede: «Le comunità Rom e Sinti private dell’identità» Eppure c'è chi vi “adora”. La cultura e l’estetica rom vanno di moda. [ride amaro] Ecco il paradosso. Esiste una fascinazione per l’estetica “gitana” che coesiste con l’odio razziale. Gente che dice “mi sento un po' zingaro dentro” mentre ci discrimina. Noi siamo una cultura, non una festa a tema o un costume da indossare il sabato sera per sentirsi alternativi! La nostra tradizione diventa tema di matrimonio, pacchetto vacanze, costume da indossare. Senza rispetto per i 500 anni di schiavitù che abbiamo subito. Può farmi degli esempi concreti? Da tempo denuncio il gruppo torinese Bandaradan, che ha basato il suo modello di business sull’appropriazione e feticizzazione culturale. Non ci sono persone rom presenti nel gruppo e si appropriano dei nostri simboli e della nostra cultura, scimmiottandoci a scopo di lucro. Realtà che si spacciano per progressiste ma perpetuano rapporti subalterni. È appropriazione culturale pura. Razzismo e omofobia, il vero nemico da combattere è il Vannacci che è in noi Smontiamo un altro mito: quello del nomadismo e della scelta di vivere nei campi rom. Primo punto: il nomadismo è una bugia colossale. Secondo l’ultimo rapporto dell’Associazione 21 Luglio i rom in Italia sono lo 0,25 per cento della popolazione. Di questi, l’86 per cento vive in casa, è perfettamente integrato, invisibile. Molti non si dichiarano rom perché è pericoloso, perché vieni costantemente discriminato. Secondo punto: i campi rom sono un campo di concentramento su base etnica per soli rom, il cui scopo è creare disagio sociale per poi poter additare la questione. Li paragono agli Zigerlager e ai ghetti ebraici. Nei campi, le persone vengono private della loro cultura, della loro identità, dei servizi essenziali, ridotte a bestie, diventano i mostri che avete raccontato. Solo in Italia esistono i campi di concentramento per i rom, ed è folle che sia così normalizzato. Qual è l’obiettivo del vostro attivismo? Il riconoscimento dei rom come minoranza etnico-linguistica in Italia. Questo garantirebbe diritti come l’uso e l’insegnamento della propria lingua, la gestione della propria rappresentazione mediatica e l’eliminazione dei campi nomadi. Chiediamo il riconoscimento della schiavitù subita per 500 anni e delle violenze storiche, come le sterilizzazioni di massa avvenute in Ungheria per 60 anni in tempi di pace. Giorno della memoria, le persecuzioni di Rom e Sinti sono un dramma avvolto nel silenzio Perché è così importante la questione terminologica? “Zingaro” significa letteralmente “schiavo”, deriva dai 500 anni di schiavitù nei Principati Danubiani. È dispregiativo. “rom” significa “essere umano”, deciso nel primo congresso mondiale del 1971. Ma in Italia continuate a chiamarci schiavi. Qual è il messaggio che vuole trasmettere? Noi siamo esseri umani. I rom sono parte della società e chiediamo nient’altro che diritti e di poter noi stessi avere la libertà di dichiararci per affrontare i problemi sociali. La lotta è contro un odio programmato per renderci indifendibili. Nonostante le difficoltà e i rischi personali e finanziari che gli attivisti come me affrontano, l’obiettivo è un futuro in cui la convivenza sia pensabile e immaginabile, chiedendo solo di essere chiamati con il nome che abbiamo scelto: rom. Oltre la “ruspa” e il pregiudizio anti rom: superare i campi ora è possibile