Quanto è libera l’espressione sui social network? Meno di quanto crediamo. D’altronde sarebbe impensabile che strumenti tanto potenti, che permettono a ogni utente di essere letto in pochi secondi dall’altra parte del mondo, non siano accompagnati da rigide norme.

Non soltanto esistono delle leggi, diverse di paese in paese, che stabiliscono i limiti della libertà d’espressione, ma inoltre ogni piattaforma social ha le sue, ispirate dalla propria cultura aziendale, dalle specificità tecniche del mezzo nonché dalla cultura del paese in cui ha sede legale. Per conoscerle di solito basta cercare sul sito, alla voce “regolamento”, “condizioni”, “standard della community” o “policies”. Chi le infrange può subire la cancellazione del post o della pagina, o anche un ban temporaneo o definitivo.

Facebook ha una normativa piuttosto rigida. Una pagina molto approfondita (aggiornata continuamente) spiega dettagliatamente in che modo la piattaforma combatte l’incitamento all’odio. Forse persino un po’ troppo dettagliatamente, come vedremo.

Le regole di Facebook

Il regolamento definisce innanzitutto l’incitamento all’odio, che consiste nell’attaccare le persone o i gruppi in base alla loro identità creando un “ambiente di intimidazione ed esclusione” che potrebbe in certi casi sfociare in violenza fisica.

Facebook, come altri social, identifica delle “categorie protette” sulla base delle seguenti caratteristiche: razza, etnia, nazionalità, disabilità, affiliazione religiosa, casta, orientamento sessuale, sesso, identità di genere e malattie gravi. Nella sfera della libertà d’espressione rimangono gli usi “allo scopo di condanna o sensibilizzazione”, ma poiché questo non è sempre evidente il regolamento chiede di “chiarire le proprie intenzioni”. Vale comunque il principio secondo cui in contenuti sono tollerati “se viene stabilita la natura satirica degli stessi”.

Igiene del linguaggio

Il regolamento propone un elenco di parole, divise per categorie, che non devono essere rivolte a persone o a gruppi di persone appartenenti alle categorie protette. Nel disordine: sudicio, sporco, maleodorante, brutto, orribile, stupido, imbecille, idiota, analfabeta, ignorante, malato di mente, ritardato, pazzo, folle, codardo, bugiardo, arrogante, ignorante, puttana, troia, pervertito, incapace, inutile, mostro, anormale… 

Sotto la scure di Facebook finiscono anche le volgarità: non si dovrebbe riferirsi a qualcuno citando genitali o ano (vengono esplicitamente sanzionate le espressioni “figa”, “cazzo”, “buco di culo”), né insultare qualcuno parlando di “puttana” o “figlio di puttana”, né impiegare espressioni volgari come “baciami il culo”. Curiosamente, il regolamento ci tiene a precisare che queste ultime norme valgono sempre “tranne che nel contesto della fine di una relazione romantica”, quando invece (si suppone) sono invece tollerate, in un’inspiegabile apertura al dileggio.

Contro la disumanizzazione

Soprattutto, il regolamento intende combattere la “deumanizzazione”, che consiste nel considerare inferiori dei gruppi esprimendo disprezzo, disgusto o rifiuto attraverso stereotipi storicamente determinati. Per non farsi fregare, Facebook sanziona idealmente anche certe “parole in codice” usate per discriminarli.

Come prima cosa vengono esplicitamente sanzionati i paragoni con certi animali, anzi - per non offendere gli animali - gli “animali culturalmente percepiti come intellettualmente e fisicamente inferiori”. Oltre che riferimenti alla sporcizia o alla criminalità.

Merita una particolare attenzione l’elenco con cui Facebook esibisce le linee guida fornite ai suoi moderatori (umani o artificiali). Si tratta in verità di una lista piuttosto disturbante di stereotipi che devono essere immediatamente sanzionati: “persone di colore e scimmie o creature simili alle scimmie”, “persone di colore e attrezzature agricole”, “caricature di persone di colore sotto forma di blackface”, “ebrei e ratti”, “ebrei che governano il mondo o controllano le principali istituzioni, ad esempio le reti mediatiche, l'economia o il governo”, “informazioni negazioniste o distorte sull'Olocausto”, “musulmani e maiali”, “musulmani e relazioni sessuali con capre o maiali”, “messicani e creature simili ai vermi”, “donne come oggetti domestici o il riferimento alle donne come proprietà o oggetti", “persone transgender o non-binarie a cui si fa riferimento come se fossero oggetti”, “dalit, caste riconosciute o persone delle caste inferiori, come i lavoratori più umili”. Tutto realmente presente nel regolamento di Facebook.

Un eccesso di trasparenza, questo, che ci saremmo volentieri risparmiati.

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