«È un clima che per la libertà di stampa in Italia non è assolutamente favorevole. Prima c’è stato il caso dei colleghi giornalisti che sono stati intercettati a lungo dalla procura di Trapani con l’obiettivo di svelarne le fonti, ora c’è il caso Report», ha aperto così il segretario nazionale della Fnsi, la Federazione nazionale della Stampa, Raffaele Lorusso, la conferenza stampa organizzata in sostegno alla redazione di Report, dopo la sentenza del Tar Lazio del 18 giugno che ha imposto alla trasmissione televisiva della Rai di consegnare entro 30 giorni i documenti utilizzati dai giornalisti per realizzare un’inchiesta su un avvocato vicino alla Lega.

«È una sentenza che fa accapponare la pelle», ha proseguito il segretario della Fnsi: «Perché il caso Report rappresenta un attacco gravissimo alla democrazia, perché in tal modo si assimila la Rai, un soggetto di diritto privato, a qualsiasi ministero o ente pubblico, equiparando, così, il lavoro dei giornalisti a quello di un qualsiasi burocrate. Mentre le fonti per chi fa giornalismo di inchiesta devono rimanere assolutamente confidenziali, per poter illuminare i territori nella cui ombra deve crescere il malaffare».

Vittorio Di Trapani, segretario dell’Usigrai, ha ribadito che «la pericolosità di questa sentenza è nelle prospettive che apre, nella direzione che può intraprendere, cioè, verso una odiosa discriminazione tra chi svolge questa professione all’interno del servizio pubblico e chi la svolge all’interno delle imprese private». E poi ha aggiunto: «Questa non è la lotta per Report, questa è una lotta per la libertà della stampa. Perché questa sentenza apre una porta che va chiusa immediatamente».

Come è nata l’inchiesta giornalistica contestata dai giudici amministrativi, l’ha spiegato lo stesso conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, intervenendo durante l’incontro. Ranucci ha precisato che la trasmissione si è occupata a largo raggio del fenomeno di una nuova tangentopoli in atto in Lombardia e che, proprio in questo ambito «era emerso attraverso un verbale di denuncia che il ruolo del regista occulto delle tangenti per conto della Lega era l’avvocato Andrea Mascetti, che risultava destinatario di numerose consulenze per enti pubblici».

Ranucci ha spiegato che «nella convinzione che sono tutti innocenti fino a prova contraria, ci siamo soltanto preoccupati di chiedere a Mascetti quante consulenze a livello pubblico avesse ottenuto, è singolare che dopo averci risposto di andarcele a cercare, le carte, ora sia proprio lui a chiederle attraverso i giudici».

Per questo, il giornalista della Rai, ha detto: «Questa sentenza non la rispetto, piuttosto vado in galera». Ha poi concluso riferendo che «c’è un particolare dell’attività di Mascetti, il quale è emerso dai documenti che abbiamo consultato, e che dovrebbe fare indignare. L’avvocato risultava il supervisore del piano culturale della Lega nelle ultime elezioni del 2018 e, in quest’ottica, suggeriva di togliere l’otto per mille alle associazioni religiose per affidarle alle associazioni culturali, come quella fondata da lui stesso».  

Intanto, oggi, un segnale di vicinanza ai giornalisti oggetto di gravi attacchi, è giunto da una parte del mondo politico, con la presenza, tra gli altri, alla conferenza stampa di Sandro Ruotolo, volto storico del giornalismo di inchiesta italiano ed attuale senatore del Partito Democratico, di Nicola Fratoianni, deputato di Sinistra Italiana, e del senatore del Movimento Cinque Stelle, Primo Di Nicola, che nel portare la propria solidarietà a Report ha illustrato il disegno di legge sulle liti temerarie di cui è il promotore, e che ha detto anche «che a questo Parlamento delle querele temerarie non frega niente», insistendo, di contro, «da vecchio cronista, prima che parlamentare, sulla necessità della tutela del segreto professionale».

Una esigenza di tutela per i giornalisti, soprattutto per quelli di inchiesta, che qualche giorno fa, invece, una sentenza del Tribunale Amministrativo del Lazio ha messo in dubbio con un giudizio di questo tenore: «Coinvolgendo l’interlocuzione intercorsa con soggetti di natura pubblica, rende priva di rilievo nel caso concreto la prospettazione difensiva articolata dalla Società resistente circa la prevalenza che dovrebbe riconoscersi al segreto giornalistico sulle “fonti” informative per sostenere l’esclusione ovvero la limitazione dell’accesso nel caso di specie». 

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