L’avvicinarsi, nel 2025, dell’Ottantesimo della fine della Seconda guerra mondiale impone un aggiornamento dello sguardo alla storia dei movimenti di Liberazione che, in tutta l’Europa, si alzarono a combattere l’occupazione nazista e fascista. Da noi, un aggiornamento appare al tempo stesso necessario e possibile sia per quanto concerne il contesto generale ed appunto europeo della storia italiana di quei movimenti sia per lo stesso concetto di pluralità della Resistenza o perciò, meglio, di Resistenze.

Guerra europea, Resistenze europee

A partire dal 1939 le forze armate del Reich nazista di Adolf Hitler dilagarono in tutta Europa. Per la verità sin dagli anni Trenta, con il dilagare delle forze giapponesi prima in Manciuria e poi in Cina, l’equilibrio della pace mondiale uscito dalla Conferenza di Versailles era stato già pregiudicato. A questo diede un’ulteriore spinta l’Italia fascista, che nel 1935 aggredì l’Etiopia indipendente. Inoltre, Germania nazista e Italia fascista si trovarono assieme, nel 1937, nel sostenere la sovversione della legittima repubblica spagnola ad opera del generale Francisco Franco. E nella primavera 1939, mentre Hitler si annetteva i Sudeti, l’Italia occupava l’Albania. Insomma, già nel corso degli anni Trenta, la pace europea era stata minata dalle politiche dei regimi fascisti, con un’enorme difficoltà delle democrazie a reagire. Non è un caso se Richard Overy, nel suo più recente studio sulla Seconda guerra mondiale, Blood and ruins. The great imperial war, adotta proprio la periodizzazione 1931-1945.

Comunque sia stato, a partire dal 1939 in tutti i paesi via via presi dalle forze naziste e fasciste si sollevarono movimenti di contestazione dell’occupazione: appunto, movimenti di Resistenza. In forme diverse a seconda dei caratteri dei paesi stessi, del momento in cui furono occupati, dell’interesse più o meno strategico che essi rivestivano per gli occupanti nazisti e fascisti si trovarono di fronte case regnanti, militari, militanti politici, prigionieri non collaboratori, semplici cittadine e cittadini che si rivoltarono contro l’occupazione straniera. Essi, in diversa misura ed intensità, combatterono anche per valori diversi da quelli nazifascisti: liberando le proprie terre volevano anche un modo migliore. Su questo, fra loro, non mancarono discussioni e prospettive diverse: ma in genere mantennero una certa unità. L’esito concreto postbellico, poi, fu fortemente influenzato dal contesto generale della guerra, che già negli ultimi suoi mesi faceva intravedere una divisione dell’Europa, e del mondo, in due sfere di influenza: statunitense ed occidentale ad ovest, sovietica ad est. Ma sino ad allora non poche delle aspirazioni di questi movimenti di Resistenza furono comuni o comunque analoghe.

Schematizzando molto, fra differenze e somiglianze, all’est – in Polonia e in Cecoslovacchia, in Urss e in Jugoslavia – si ebbero forti movimenti di Resistenza, efficaci anche sul piano militare, egemonizzati dai comunisti, in grado di sollecitare forme diffuse di consenso nella popolazione. All’ovest – in Belgio e Olanda, Norvegia e Danimarca, Svezia e Finlandia, e infine in Francia – un carattere importante ebbe invece la presenza (o, meglio, l’esilio) di monarchie e di governi legittimi costretti a trasferirsi all’estero, spesso a Londra, in grado di mantenere però contatti con le popolazioni rimaste sotto il giogo nazista. Qui non si svilupparono movimenti di resistenza nu­mericamente consistenti e in grado di impegnare l’occupante di norma al di là di sabotaggi e azioni temerarie: ma furono comunque importanti nel tenere alzata la bandiera dell’antifascismo. In Francia la Resistenza francese, più forte ma anche più divisa fra forze regolari e irregolari, fra gollisti e partigiani di varia formazione (democrati­ca, socialista, comunista), fu caratterizzata dalla presenza di un leader autorevole, il generale De Gaulle, e fu enormemente aiutata nella liberazione del paese da parte di un eccezionale sbarco di truppe anglostatunitensi: lo sbarco in Normandia.

La Resistenza italiana

Rispetto a queste europee, quella italiana ebbe caratteri peculiari, con tratti dell’uno e dell’altro caso europeo.

Se utilizziamo della Resistenza l’accezione più classica (la Resistenza politica guidata dell’antifascismo e quella partigiana combattente, che comunque ne rimangono l’indispensabile baricentro, con quella dei militari regolari), alcuni di questi caratteri potrebbero essere: 1. La precocità di questa Resistenza (non rispetto all’inizio del conflitto, ma rispetto alla caduta del fascismo il 25 luglio 1943 e ancor più dell’occupazione nazista a partire dall’8 settembre), 2. Le dimensioni del suo radicamento popolare (alla fine della guerra di Liberazione), 3. La sua raggiunta unità politica (nonostante la diversità delle ispirazioni politiche che vi concorsero), 4. La consistenza e la convergenza della sua azione militare (la guerra partigiana sviluppò formazioni che operarono per quanto possibile in maniera coordinata), 5. Il suo carattere, o funzione, nazionale (il Comitato di Liberazione nazionale alta Italia fu alla fine riconosciuto non solo dal governo del Sud ma dagli stessi Alleati anglostatunitensi), 6. La dimensione larga, popolare, della sua influenza, 7. Il suo saper sviluppare una consistente forza combattente, 8. La rilevanza quindi della minaccia da essa portata al suo avversario principale, il Reich nazista, nonché ai suoi collaboratori fascisti, 9. La peculiarità di alcune sue forme (la Resistenza dei militari all’estero, quella dei reparti combattenti all’8 settembre, quella dei reparti regolari del Regno del sud, il carattere significativo dei comportamenti degli italiani prigionieri in mano angloamericana e di quelli in mano tedesca).

Al fondo, a questa Resistenza concorsero tanto il Regno del Sud, monarchico e badogliano, quanto – nelle aree occupate dal paese e via via liberate – una varietà di forze politiche antifasciste: diciamo, dai liberali monarchici agli anarchici, passando dai comunisti, gli azionisti, i socialisti, i democristiani, i repubblicani. Non fu facile tenere assieme forze così diverse, ma niente di simile agli affrontamenti conosciuti dalla Resistenza iugoslava accaddero in Italia. E questo fu fatto in assenza di personalità militari regolari come quella del francese De Gaulle.

Ovviamente, la sconfitta dell’occupante nazista e della collaborazione repubblichina non sarebbe stata possibile senza l’apporto delle forze armate regolari delle forze anglostatunitensi, impegnate nella risalita della Penisola. Ma è d’altra parte vero che – se si escludono quella sovietica e iugoslava, alla fine a guida monopartitica – la dimensione della Resistenza italiana e il consenso da essa trovato nella società occupata non ebbe paragoni in Europa.

Un concetto plurale: Resistenza/Resistenze

Il movimento di Liberazione dell’Italia dal nazismo e dal fascismo fu peraltro composito.

Non lo fu solo per la diversità delle forze politiche che lo animarono, né solo perché combatté – come ha scritto Claudio Pavone nel suo libro di ormai più di trent’anni fa – ben tre guerre assieme: una guerra appunto di liberazione dall’invasore, una guerra civile (resistenti antifascisti contro repubblichini neofascisti) e una «guerra di classe» (per l’avanzamento della democrazia e per un paese nuovo e più ugualitario). Si trattò di un movimento composito, insomma, perché non fu solo condotto dai partigiani, dai partiti politici clandestini e dagli antifascisti riuniti nei Comitati di liberazione, locali e poi nazionali.

Come e spesso molto più che nel resto di Europa, in Italia forme di Resistenza si elevarono in molti luoghi e in molte forme. Oltre a quella sulle montagne dell’impegno partigiano e a quelle militari già ricordate, ci fu quella nei luoghi di lavoro nelle città, nei borghi e nelle campagne, come dimostrano le ondate di deportazione politica, di deportazione civile e dal lavoro. Ci fu quella nei campi di prigionia militare degli Internati militari italiani, che in larga maggioranza non aderirono alla Rsi.

Forme di Resistenza furono visibili anche fra gli ebrei antifascisti e in generale nella tenace volontà di sottrarsi e sopravvivere da parte delle ebree e degli ebrei braccati dalle deportazioni nazifasciste, così come nelle organizzazioni di solidarietà che li aiutarono e nei gesti di quegli italiani che li nascosero alla Rsi e al Terzo Reich. Ci fu quella dei comportamenti quotidiani, eppure talora eccezionali, di donne, anziani e persino ragazzi che – con la loro “Resistenza civile” – finirono per ostacolare gli obiettivi delle forze del Reich e di Salò.

Resistenza, oggi, non dovrebbe essere più sinonimo solo della guerra partigiana bensì appunto la sintesi in un unico movimento di Liberazione di tutte queste forme di attrito, di dissenso, di Resistenza. Una sintesi affatto peculiare, nel panorama europeo.

La lingua tedesca ha due vocaboli per dire Resistenza: da un lato Widerstand, consapevole opposizione ad un regime; dall’altro Resistenz, più generico – ma non meno importante – dissenso. È evidente che in Italia la dimensione delle due fu un fatto affatto notevole. Per quanto del caso italiano parleranno altri autori, qui basterà dire che tanto l’una quanto l’altra modalità furono ben compresenti, spinta la prima da un antifascismo consapevole (dell’interno e dell’esilio) che mai si era spento, mentre la seconda era sostenuta prima dal progressivo distacco dal regime, nella seconda metà degli anni Trenta, di tanta parte della popolazione e poi dal fallimento del fascismo in guerra.

Proprio il confronto con le omologhe Resistenza europee legittima ormai una definizione composita di quella italiana: tante Resistenze convergenti – politiche, militari, civili – o, il che è lo stesso, una Resistenza plurale.

Andando verso l’Ottantesima ricorrenza della sua vittoria, questa prospettiva e questo approccio paiono permettere di capire meglio la sua forza, la sua vittoria, e le sue difficoltà.

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