Un ufficiale libico era salito a bordo della nave  Asso Ventinove”, spiegando a tutti i naufraghi che, se non avessero protestato, la nave li avrebbe condotti in Italia e così molti di loro, affaticati per il lungo e pericoloso viaggio, si addormentarono dopo avere ricevuto alcune bottiglie d’acqua. È la notte tra l’1 e il 2 luglio del 2018.

La nave di Augusta Off Shore, “Asso Ventinove”, era in realtà partita da Tripoli quella stessa mattina, diretta a Bouri Field (una tra le più grandi piattaforme petrolifere che si trova a circa 75 miglia nautiche a nord del porto di Tripoli), ma era stata costretta a tornare indietro perché aveva ricevuto una chiamata dalla base della Marina Militare Italiana presente a Tripoli con cui venivano impartite istruzioni per un’operazione di ricerca e soccorso da prestare alla motovedetta della guardia costiera libica “Zwara”.

Quando la Asso Ventinove arriva sul posto, trova anche la nave della Marina Militare Italiana “Duilio”, un pattugliatore impiegato già dal 2015 nell'operazione “Mare sicuro”. Riceve istruzioni di rimanere in posizione e di attenersi alle indicazioni provenienti dalla “Zwara”, per poter materialmente effettuare il trasbordo dei 150 naufraghi soccorsi.

Nel frattempo un ufficiale libico saliva a bordo della “Asso Ventinove” spiegando ai migranti che, se non avessero protestato, la nave li avrebbe condotti in Italia. Così molti di loro, affaticati per il lungo e pericoloso viaggio, si addormentavano dopo avere ricevuto alcune bottiglie d’acqua. Risvegliandosi l’indomani nel porto di Tripoli. Da qui condotti nei centri di detenzione per stranieri, come quello di Tarik al Sikka, dove centinaia di persone erano costrette a condividere gli stessi spazi angusti, dormendo per terra, non potendo mai uscire all'aria aperta e subendo continui abusi da parte delle guardie carcerarie.

L’azione giudiziaria 

Per queste ragioni, cinque cittadini eritrei, con il sostegno delle associazioni Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e Amnesty International Italia, hanno avviato un’azione civile per far dichiarare l’illegittimità del respingimento del 2 luglio del 2018 attuato dalla nave “Asso Ventinove” della Augusta Offshore nell’ambito di operazioni coordinate dalle autorità italiane e con la collaborazione della cosiddetta Guardia Costiera Libica. Chiedendo il risarcimento dei danni subiti al Ministero della Difesa, agli Interni, ai Trasporti, al Governo italiano, e anche alla compagnia di navigazione privata. 

«Il caso aperto da Asgi e da Amnesty contribuirà a ristabilire un piano di legalità e di principi che non possano più essere messi in discussione», dice il deputato di Liberi e Uguali, Erasmo Palazzotto: «Deroga dopo deroga si sta modificando il diritto internazionale e sta diventando legittimo fare cose fino a qualche anno fa inimmaginabili, per aggirare i diritti umani».

«Siamo di fronte ad una strategia sempre più sottile attuata dallo stato italiano per respingere le persone che arrivano dalla Libia», spiega Salvatore Fachile, avvocato dell’Asgi che fa parte del collegio di legali che ha promosso l’azione giudiziaria. «È un lavoro molto complesso attraverso cui stiamo cerchiando di dimostrare che l’Italia sta cercando di aggirare la sentenza Hirsi che l’ha vista già condannata dalla Corte europea per i diritti dell’uomo nel 2012 per i respingimenti di migranti attuati verso la Libia», gli fa eco l’altra legale, Giulia Crescini, che ha promosso l’azione di risarcimento danni. Non siamo di fronte a episodi isolati.  

C’è un giudice a Napoli

Per un episodio di respingimento analogo, che ha coinvolto l’Asso 28, la nave gemella della stessa compagnia Augusta Off Shore, il 30 luglio 2018, c’è anche una indagine davanti alla procura di Napoli. Il 20 luglio 2019 è stato chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di Alfredo Pollice (comandante della nave) e di Giuseppe Sotgiu (che ha il compito di assicurare la sicurezza di ogni nave e provvede al collegamento tra gli uffici della compagnia e l’imbarcazione), entrambi accusati di aver violato numerose norme internazionali, tra cui la convenzione di Ginevra del 1954 che tutela i rifugiati. Si legge nella richiesta di rinvio a giudizio: «Perché, trovandosi l’imbarcazione in acque internazionali con compiti di “supply e vessel”, cioè a supporto alla piattaforma petrolifera Sabratha di proprietà della società Mellitah Oil e Gas, dopo aver rilevato, in prossimità della stessa piattaforma, a circa 57 miglia dalla costa libica, in acque internazionali e in zona Sar libica, la presenza di una imbarcazione con migranti a bordo, omettevano di identificare i migranti, di assumere informazioni sulla propria provenienza e nazionalità, sulle loro condizioni di salute, di sottoporli a visita medica, di accertare la loro volontà di chiedere asilo, omettendo di accertare se vi fossero minori stranieri non accompagnati o soli, facendo rotte verso le coste libiche e riconducendo a Tripoli i 101 naufraghi imbarcati».

Tra le accuse contestate dalla procura partenopea agli imputati, dunque, vi è quella di aver operato un «respingimento collettivo, nello sbarco in un paese terzo considerato non sicuro, non avendo la Libia aderito alla Convenzione di Ginevra per i rifugiati, e atteso l’elevato rischio lì di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti nei centri di detenzione per stranieri». Con l’aggiunta di aver abbandonato cinque minori stranieri e cinque donne incinte in uno stato di pericolo.

Un fatto normale

Mario Mattioli è il presidente del Cda dell’Augusta Off Shore e di Confitarma, l’associazione degli armatori. Interrogato dai sostituti procuratori Barbara Aprea e Giuseppe Tittaferrante, coordinati dal procuratore aggiunto, Raffaello Falcone, ha riferito: «La piattaforma Sabratha su cui noi operiamo è di proprietà della Mellita Oil e Gas, società partecipata per il 50 per cento da Eni Nord Africa (detenuta a sua volta per il 100 per cento da Eni) e per l’altro 50 per cento da Noc, operando attraverso una gara d’appalto internazionale (ora in proroga) fornendo imbarcazioni a supporto della stessa».

La compagnia di navigazione Augusta Off Shore fornisce servizi, quindi, all’interno di una piattaforma petrolifera italo-libica. E sull’episodio in questione, Mattioli, ha aggiunto: «Per noi era una operazione normale. L’evento del 30 luglio 2018 è stato trattato come un fatto di ordinaria amministrazione. Anche perché ritengo che si sia operato all’interno della normativa».

A rivelare nel dettaglio la catena di comando di quello che a tutti gli effetti si potrebbe configurare come un ulteriore episodio di respingimento collettivo, è una informativa della guardia di costiera di Napoli che ha condotto le indagini per conto della procura partenopea, e in cui si riferisce che «la Asso 28 ha avuto contatti sia con la Guardia Costiera Libica che quella italiana».

«Alle 13.30 la nave ha comunicato il salvataggio e che il coordinamento è della guardia costiera libica. Alle 14 si dirige verso la piattaforma per caricare un funzionario libico. Alle 17.30 la Asso comunica via mail l’informazione alla Guardia costiera italiana che risponde prendendone atto».  

Ecco le prove, dunque, dei respingimenti affidati dalle autorità italiane e libiche alle compagnie private.

© Riproduzione riservata