Proprio ieri il governo ha prorogato di un anno la possibilità per i medici di famiglia di inviare le prescrizioni di farmaci via Sms o Whatsapp. 

Si tratta di una decisione richiesta da molti (tra i primi i medici stessi) che riduce l’affollamento degli ambulatori e il disagio dei cittadini i quali, per almeno altri dodici mesi, potranno evitare di andare dal medico ogni quindici giorni solo per ritirare la ricetta di farmaci che spesso usano da anni e che in molti casi dovranno continuare ad assumere per tutta la vita. Bene fin qui, dunque. 

Qualche perplessità sorge invece per il fatto che il governo non abbia  manifestato alcuna intenzione di mettere questa misura a regime e che alcune voci si siano levate sostenendo posizioni non inerenti al tema, per esempio dicendo che «in fondo, è bene che il medico possa rivalutare la terapia, ogni tanto».

Nessuno osa mettere in dubbio una simile perla di saggezza, ma questa si chiama "medicina di iniziativa” ed è quello che si vorrebbe che i medici di medicina generale facessero, seguendo attivamente i propri malati cronici o complessi, senza aspettare per farlo che passino per la ricetta, quando comunque vengono in genere accolti e velocemente sbrigati dall’infermiera o dalla segretaria (là dove ci sono!).

Il punto vero è probabilmente un altro e ha a che fare con la modalità di trasmissione delle prescrizioni che varia in modo significativo da regione a regione. In alcuni casi, il processo di informatizzazione della sanità, l’impiego della ricetta elettronica (già prevista fin dal D.L. 18 ottobre 2012 n. 179) e l’utilizzo del Fascicolo sanitario elettronico (Fse) sono in  una fase avanzata di attivazione.

Questo consente a chi deve ritirare un farmaco in farmacia di farlo presentando solo la tessera sanitaria, o di ricevere la prescrizione sul proprio smartphone direttamente dalla Regione. In altri casi, si ricorre invece a sistemi molto più casalinghi, come l’invio su Whatsapp da parte del medico di una fotografia della ricetta, cosa che “funziona” ma che non è, usciti dall’emergenza del  Covid, una modalità accettabile di rapporto tra le istituzioni e i cittadini.

L’informatica diseguale

Nonostante oramai tutte le regioni abbiano formalmente adottato il Fse, strumento che dovrebbe contenere tutte le informazioni di salute rilevanti per il cittadino (esami, ricoveri, farmaci, vaccinazioni, ricette etc.),  in molti casi si tratta di una adesione di facciata a fronte di un sistema ancora non funzionante.

Questo soprattutto perché il Fse non viene alimentato da chi (medici territoriali, poliambulatori, ospedali) dovrebbe trasferirvi in tempo reale i risultati di ogni prestazione effettuata, cosa che è dovuta tanto alla mancanza di regole precise, quanto e soprattutto all’inefficienza delle connessioni tra i diversi sistemi informatici.  A questo si aggiunge il problema dell’accesso ai dati contenuti nel Fse che per i cittadini richiede l’uso della Spid e per i professionisti necessita del consenso dei loro assistiti, anche questo non sempre semplice da raccogliere e da inserire in rete.

Lo scorso 11 luglio, sono state pubblicate in Gazzetta ufficiale le linee guida di attuazione del Fse, di cui al Decreto del 20 maggio 2022 che ha inaugurato l’utilizzo degli investimenti previsti dal Pnrr. Per ricevere i fondi europei, l’85 per cento dei medici di base dovrà alimentare il Fascicolo entro il 2025 e tutte le regioni e province autonome dovranno adottarlo e utilizzarlo entro il 2026. 

A noi non resta che attendere e sperare che, per quanto imperfetto, non ci venga fino ad allora sottratto l’attuale sistema di trasmissione via cellulare delle prescrizioni mediche, una risposta “all’italiana” che è riuscita per una volta a trovare il consenso unanime dei medici e dei loro assistiti.

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