La ministra della giustizia, Marta Cartabia, ha parlato di tradimento della Costituzione riferendosi al pestaggio di stato avvenuto il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Quel giorno circa 300 agenti della polizia penitenziaria hanno massacrato di botte, per oltre quattro ore, detenuti inermi del reparto Nilo, che ospita prevalentemente persone con problemi di tossicodipendenza e disturbi mentali.

I responsabili di quelle violenze potrebbero ora farla franca, non pagare per le violazioni e gli abusi commessi. Rischiano l’impunità, nonostante i video dimostrano che hanno calpestato diritti di detenuti inermi. Il salvacondotto arriva proprio dalla riforma Cartabia sulla giustizia.

Una riforma contestata da più parti, sulla quale nel tardo pomeriggio di ieri le forze di maggioranza hanno trovato un accordo di massima. Persino i più scettici 5 stelle hanno accettato e promesso che voteranno il testo dopo alcune modifiche sui reati di mafia. Solo su quelli, perché l’impianto della Cartabia, invece, rischia di compromettere anche il processo che si potrebbe aprire a carico dei poliziotti penitenziari e della catena di comando che hanno contribuito al pestaggio e al successivo depistaggio di stato.

I fatti sono accaduti il 6 aprile 2020. Il reato contestato è quello di tortura, oltre a maltrattamenti, lesioni, depistaggio, falso, e rientra perfettamente nelle nuove disposizioni della riforma. Per questi reati i tempi del processo d’appello vengono fissati in soli 24 mesi, due anni, trascorsi i quali scatta l’improcedibilità, in pratica la cancellazione del processo e quindi del reato. Nei casi più gravi si prevedono tre anni, ma non sarebbero comunque sufficienti per diverse ragioni. Nel caso di Santa Maria Capua Vetere ci sono due elementi che fanno ritenere altamente possibile annichilire ogni pretesa di giustizia da parte delle centinaia di parti offese, dei detenuti picchiati, ma anche associazioni, dei garanti e familiari che si costituiranno parte civile. Il primo elemento da analizzare, dunque, è il numero dei soggetti coinvolti.

Il processo a rischio

In questo momento le indagini sono ancora nella fase delle indagini preliminari. Il 28 giugno il giudice Sergio Enea ha disposto 52 misure cautelari a carico di agenti, funzionari e superiori in una inchiesta che coinvolge, al momento, 117 persone. Al momento: ci sono infatti decine di agenti che hanno partecipato al pestaggio di stato che non sono ancora stati identificati. La loro individuazione potrebbe far ulteriormente lievitare il numero delle persone coinvolte. All’esito della prima fase delle indagini, previa richiesta della procura campana, un giudice deciderà se mandare a processo gli imputati. Si tratterà, con ogni probabilità, di un maxiprocesso, che in primo grado si celebrerà presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, mentre in secondo grado, in caso di appello, si celebrerà presso la Corte di appello di Napoli. «Bisogna considerare che i termini che fanno scattare l’improcedibilità iniziano dal momento dell’impugnazione che viene fatta nelle mani del primo giudice. C’è un tempo che trascorre dal momento del ricorso in appello alla fissazione della prima udienza, un tempo che viene gestito dalle cancellerie, sempre sotto organico», dice Eugenio Albamonte, pubblico ministero e segretario della corrente Area. La gestione amministrativa del fascicolo, la sua calendarizzazione, esauriscono il tempo di 24 mesi previsto dal governo, in pratica alcuni processi nascono già morti. Ma c’è anche un altro fattore. «Quello per i fatti di Santa Maria si preannuncia come un maxiprocesso, visto il numero di soggetti coinvolti, ai quali bisogna notificare gli atti, ma anche alle centinaia di parti offese che si costituiranno come parti civili. Notifiche che rappresentano un ulteriore fattore di dilatazione dei tempi», aggiunge Albamonte. Gestione amministrativa e notifiche che fanno correre i tempi del processo. Poi sul pestaggio di stato c’è un dato che preannuncia la certa improcedibilità: i tempi medi della corte di Appello di Napoli.

I torturatori salvati

Il rischio di cancellazione del processo che verrà è dunque altissimo. La durata media di un processo presso la Corte di appello partenopea è di 1.495 giorni, pari a oltre quattro anni. Come faranno a concludere un processo, con un centinaio di imputati, centinaia di parti offese, in soli due anni in un distretto giudiziario dove mediamente durano oltre quattro? Nella corte di Appello di Napoli mancano 24 magistrati su 111 in organico: il Consiglio superiore della magistratura è intervenuto, diversi posti potrebbe essere coperti a breve, ma resta un nodo: quello degli amministrativi e degli arretrati. A Napoli, in corte d’appello, ci sono 57 mila fascicoli arretrati, ogni anno si definiscono circa 10 mila sentenze, il 30 per cento sono prescritte.

È possibile quindi che l’improcedibilità prevista dal testo approvato dal consiglio dei ministri ieri potrebbe salvare i picchiatori e i depistatori. «Il tradimento della costituzione denunciato dalla ministra potrebbe trasformarsi in un tradimento doppio per il crimine subìto dalle vittime e per l’impunità che questa riforma potrebbe garantire ai responsabili», conclude Albamonte.

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