La partita è quasi persa, ma il governo Meloni sta tentando l’ultimo sprint finale per cercare di strappare il ballottaggio all’Arabia Saudita nella gara per l’aggiudicazione dell’Expo del 2030. Con il ritiro nel mese scorso di Odessa dalla competizione, sono tre le città che puntano a ospitare l’evento: Busan (Corea del Sud), Roma e Riad.

Ma solo le ultime due sono veramente in gara. In questi giorni, centinaia di leader politici tra ministri, capi di stato e capi di governo si trovano a Roma per attendere il vertice della Fao sulla sicurezza alimentare che si tiene nell’edificio dell’organizzazione adiacente al Circo Massimo. Un’occasione che il ministro degli Esteri Antonio Tajani e la premier Giorgia Meloni vogliono sfruttare.

D’altronde, già in occasione della conferenza sulle migrazioni – tenuta domenica alla Farnesina – le delegazioni internazionali sono state accolte all’entrata da un espositore con la scritta “Roma Expo 2030”.

Riad sicura di sè

L’erede al trono saudita Mohammed bin Salman è sicuro di avere i 120 voti necessari che gli consentirebbero di aggiudicarsi l’Expo senza andare al ballottaggio con Roma (a cui servono almeno 60). Da mesi la monarchia del golfo Persico sta esercitando una forte influenza nei confronti degli stati in via di sviluppo promettendo investimenti per accaparrarsi il loro voto.

Attraverso il Pif (il fondo sovrano saudita) bin Salman si è di fatto comprato il consenso aprendo la strada a una facile vittoria. Ma il voto è segreto e se Roma si gioca bene le sue carte, qualche franco tiratore può spuntare fuori.

La strategia per gli indecisi

Con il grande evento alla Fao, co-organizzato dall’Italia, Meloni vuole dimostrare che Roma è in grado di ospitare centinaia di delegazioni di alto livello senza problemi logistici. Una prova di forza per eventi futuri, considerando che secondo le statistiche all’Expo 2020 di Dubai hanno fatto visita circa 24 milioni di turisti provenienti da tutto il mondo.

A muoversi per la ricerca dei voti è anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani in persona che sarà alla Fao in questi giorni per tenere una serie di incontri bilaterali con i rappresentanti di alcuni stati. Tra questi, anche quelli indecisi che sono soprattutto paesi di Africa (molti dei quali presenti alla Farnesina domenica) e Sudamerica. Il leader di Forza Italia dovrebbe incontrare, tra gli altri, i rappresentanti di Colombia, Etiopia (dove Meloni si è recata in visita ad aprile) e Somalia.

Meloni, ieri ha tenuto un pranzo con i rappresentanti dei paesi del Corno d’Africa. Durante il suo intervento dal palco, la premier ha chiesto alla Russia di rientrare nell’accordo per l’export del grano ucraino e ha battuto il chiodo sulla sicurezza alimentare, tema di primaria importanza per alcuni degli stati da convincere per votare a suo favore. E così Roma è diventata «la capitale della sicurezza alimentare», ha detto Meloni che ha incassato anche il sostegno del segretario Onu Antonio Guterres per la presidenza italiana del G7.

L’emiro a Roma

L’altra carta a disposizione di Meloni è l’influenza che altri leader stranieri possono esercitare nei confronti degli stati in dubbio. Alla conferenza della Farnesina di domenica ha partecipato anche il capo di stato degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed, che ha già fatto sapere di aver donato 100 milioni al fondo proposto da Meloni per finanziare progetti di cooperazione e di contrasti all’immigrazione nei paesi africani più colpiti. L’emiro è l’unica massima carica dei paesi del Golfo ad essere arrivato a Roma e gode di una grande influenza, anche per via dei finanziamenti di cui dispone. Non è escluso che possa far valere il suo peso politico ed economico per ostacolare la vittoria dell’Arabia Saudita, paese con cui ultimamente non gode di buone relazioni visti gli interessi divergenti in Yemen e le visioni diverse sull’alzamento dei prezzi del petrolio voluto da Riad all’interno dell’Opec. Ma il voto finale che si terrà a Parigi a fine anno è sempre più vicino.
 

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