Questo articolo è parte di una inchiesta a puntate che dura da molti mesi, realizzata da Federica Tourn grazie al sostegno dei lettori. Scopri come contribuire.


Si chiama Rossoroblu la società fondata nel 2007 da Marko Rupnik «per la creazione e posa in opera, in laboratorio e sul luogo, di mosaici, vetrate, affreschi, murales, sculture, pitture in tutte le varie tecniche ed arti».

La srl, con sede in via Paolina 25, dove si trova il Centro Aletti, appartiene per il 90 per cento a Rupnik e per il 10 a Manuela Viezzoli, una ex sorella della comunità Loyola che ora fa parte del “cerchio magico” delle sue fedelissime, le laiche consacrate della Comunità della divino-umanità. In almeno due casi abbiamo la prova che è stata questa società a trattare le commissioni dei mosaici: in occasione dell’imponente lavoro al santuario di san Pio da Pietrelcina a San Giovanni Rotondo e per i lavori di decorazione nella chiesa del cimitero di Lubiana.

Il famoso artista, il gesuita accusato di abusi nei confronti di diverse suore, non poteva scegliere un nome più evocativo per la srl che gestisce le commissioni e i pagamenti dei suoi mosaici. Rosso, oro e blu sono i suoi colori: il rosso a indicare la divinità, il blu l’umano e il giallo la santità secondo la tradizione cristiana del primo millennio, come ha più volte spiegato lo stesso Rupnik. Sono il suo marchio di fabbrica, come i grandi occhi neri delle figure sacre, ritratte con le pupille dilatate a occupare tutta l’orbita.

Una società di cui nemmeno il superiore di Rupnik, padre Johan Verschueren, delegato del Preposito generale della Compagnia di Gesù per le Case internazionali dei gesuiti a Roma, era a conoscenza. «È una notizia completamente nuova per me e anche abbastanza scioccante», ha detto, interpellato da Domani. Possedere una società non è ammissibile per un gesuita, «perché è contro il voto di povertà» ha aggiunto padre Verschueren. Chi allora ha permesso a Rupnik di gestire direttamente i profitti derivati dalle sue opere?

L’artista e il sacerdote

Più si diffondono le testimonianze delle vittime (un’altra religiosa, suor Samuelle, qualche giorno fa ha raccontato al giornale francese La vie le molestie subite da Rupnik al Centro Aletti), più quei rossi, gialli e blu accesi di Rupnik sembrano incombere su chi li osserva e sollevano non pochi dubbi sul futuro delle opere.

Si può distinguere il lavoro dell’artista dalle responsabilità del sacerdote? Al momento a Rupnik è vietato accettare nuove commissioni di lavori artistici, ma l’interdizione si estende anche all’atelier artistico del Centro Aletti di cui lui è il fondatore e l’ispiratore?

Domande imbarazzanti, perché coinvolgono non solo la reputazione di Rupnik ma il futuro stesso del Centro Aletti e di non poche istituzioni religiose e chiese in tutto il mondo. Interrogativi spinosi che qualcuno ha cominciato a porsi: il 27 marzo il vescovo di Tarbes e Lourdes Jean-Marc Micas e il rettore del santuario di Lourdes Michel Daubanes hanno affermato in un comunicato ufficiale che «i mosaici di padre Rupnik che decorano la basilica del santuario di Lourdes potrebbero essere rimossi a causa della sofferenza delle vittime che vengono al santuario in cerca di conforto».

Rupnik era stato anche nominato responsabile della decorazione interna ed esterna della nuova chiesa di Saint-Joseph-le Bienveillant, la cui costruzione è iniziata diversi mesi fa nella parrocchia di Montigny-Voisins, non lontano da Parigi.

L’8 dicembre scorso, però, venuto a conoscenza delle accuse al gesuita, il vescovo di Versailles Luc Crepy, d’accordo con don Pierre-Hervé Grosjean, parroco di Montigny-Voisins le Bretonneux, ha deciso di interrompere ogni collaborazione. Segnali importanti che arrivano dalla Francia, un paese sempre un passo avanti sul tema degli abusi clericali e del rispetto delle vittime, e che presto potrebbero fare scuola anche altrove.

Il patrimonio artistico

In attesa del responso della Compagnia di Gesù, che a breve dovrebbe pronunciarsi sulla sorte del sacerdote e che ha già detto di ritenere attendibili le denunce raccolte nei mesi scorsi dal team referente incaricato di ascoltare le vittime, è quindi interessante approfondire come funziona “l’industria” delle opere di Rupnik.

Oltre 220 mosaici, affreschi e vetrate in chiese e istituzioni religiose – questo il numero dei lavori eseguiti dal Centro Aletti dal 2000 al 2022 – a cui bisogna aggiungere i quadri, le vetrate e le opere funerarie di proprietà di privati.

Una produzione enorme e diffusa in tutto il mondo, frutto del pensiero di Rupnik e dell’opera dell’atelier del Centro, che si propone «come via per aiutare un nuovo incontro tra l’arte e la fede, tra le diverse chiese e gli artisti», come si legge sul sito del Centro. Un «permanente cantiere comunitario», che si occupa quasi esclusivamente di arte liturgica  e di cui fanno parte artisti e architetti, «in modo da poter gestire tutte le fasi del lavoro, dalla progettazione dello spazio ecclesiale fino alla realizzazione dell’arredo liturgico e delle opere d’arte».

Senza entrare nel merito del valore artistico di queste opere, siamo certamente di fronte a un patrimonio considerevole dal punto di vista economico. In particolare i mosaici, che hanno reso famoso Marko Rupnik a livello internazionale, hanno prodotto ricavi stimati in decine di milioni di euro. E qui dunque sorge la domanda: quanto costa un mosaico realizzato da Rupnik e dalla sua corte di artisti?

Il costo dei mosaici

Reperire i dati è tutt’altro che semplice. Il Centro Aletti non ha risposto alle domande di Domani e sul sito non c’è traccia di cifre, né si trova di più sui siti delle istituzioni che hanno commissionato le opere, come se fosse di cattivo gusto parlare di denaro in mezzo a tanta professione di fede.

Per quanto riguarda l’Italia, abbiamo rintracciato il preventivo per il mosaico di 250 metri quadri realizzato nel 2017 sulla facciata esterna del santuario della Madonna dei Fiori di Bra (Cuneo): ammontava a 250mila euro (coperti interamente dai fedeli), ma la cifra è lievitata in corso d’opera.

Il lavoro al santuario di san Pio, invece, è costato ai frati minori cappuccini più di sei milioni di euro già dieci anni fa (il cantiere è stato aperto dal 2009 al 2013), secondo quanto riferisce una fonte interna. Si tratta di un percorso iconografico di oltre 2.400 metri quadri, pensato per arricchire la chiesa costruita da Renzo Piano e che comprende il mosaico della rampa di accesso alla chiesa inferiore, gli arredi della cripta, il crocefisso, l’altare esterno e infine la decorazione della cappella del Santissimo sacramento.

Possiamo quindi soltanto immaginare quale cifra da capogiro richieda il progetto, tuttora in corso, al santuario nazionale dell’Aparecida, nello stato di San Paolo in Brasile, la più grande chiesa del continente americano e la seconda al mondo dopo San Pietro in Vaticano. Qui Rupnik e la sua équipe hanno già terminato di decorare l’ingresso nord della basilica, 2.300 metri quadri di mosaico con scene dall’Antico testamento. Restano ora le altre tre facciate da ultimare. Interpellati da Domani sui costi dell’opera e sulle previsioni per il prossimo futuro (chi completerà il lavoro? Sarà appaltato ad altri?), i responsabili del santuario brasiliano hanno preferito non rilasciare dichiarazioni.

In Slovenia

Parlare di Rupnik non è facile nemmeno quando si tratta del suo paese natale. Secondo i dati pubblici forniti dalle stesse parrocchie e dai media sloveni, già vent’anni fa il prezzo dei mosaici di Rupnik oscillava tra i mille e i tremila euro al metro quadro, e il prezzo è aumentato negli anni successivi di pari passo con la notorietà del sacerdote.

Le dimensioni delle opere variano dai 50 ai 200 metri quadri, quindi il ricavo totale dei mosaici sloveni arriverebbe a circa 6 milioni di euro. In Slovenia, dove l’atelier artistico del Centro Aletti, secondo i dati ufficiali, ha realizzato 38 opere, i parroci delle chiese che sfoggiano i mosaici sono quasi tutti molto reticenti a rivelare l’esito delle trattative.

A Semič, piccolo comune vicino al confine con la Croazia, Rupnik ha realizzato i mosaici per la cappella di santa Teresa del Bambin Gesù nel 2019: intervistato da Domani sull’opera, il parroco Luka Zidanšek parla addirittura di «accordo segreto» e si rifiuta di rivelare quanto è stato pagato il lavoro.

Nella chiesa della santa Vergine di Polje, a Lubiana, dove i mosaici non solo ricoprono le pareti del battistero e della cappella della santa Vergine ma adornano tutta la facciata della chiesa, le cose non sono andate meglio: Janez Bernot, il parroco che ha commissionato il lavoro (realizzato fra il 2017 e il 2020), accoglie con freddezza la domanda e dice che «non ricorda» e che comunque «si è trattato di un accordo commerciale riservato».

Per quanto riguarda gli edifici civili, i mosaici di Rupnik svettano per svariati metri di altezza all’interno del complesso residenziale “Vila urbana”, nel centro storico della capitale, a pochi passi dalla cattedrale. Qui, invece del Cristo, si vede il drago, simbolo della città di Lubiana, ma il tratto dell’artista è inconfondibile. Il valore dell’opera non è pervenuto.

Del costo dei lavori realizzati prima del 2012 abbiamo qualche notizia in più grazie alla tesi di laurea in ingegneria civile di Arnold Oton Ciraj su “Aspetti di spesa della costruzione di nuove strutture sacrali”. Nel descrivere la metodologia e i risultati, l’autore ammette che è stato arduo ottenere dati e che le arcidiocesi di Lubiana e Maribor, le due più grandi diocesi slovene, lo avevano addirittura avvertito in anticipo che sarebbe stato molto difficile ottenere informazioni sui costi di costruzione.

«La maggior parte non ha nemmeno risposto – scrive Ciraj nella tesi – In molti casi le parrocchie, per vari motivi, non conservano questi dati e ci si chiede se siano mai esistiti su carta». Quando esistono, sono spesso lacunosi o approssimativi. «Spesso i lavori venivano pagati in contanti e non se ne fa menzione nei registri finanziari», sottolinea l’ingegnere.

Dei quaranta committenti interpellati, quasi nessuno ha voluto dichiarare l’esito degli accordi finanziari. Ciraj è riuscito a ottenere informazioni sul prezzo delle opere di Rupnik solo da tre parrocchie slovene, dove sono presenti i mosaici più imponenti: san Marco evangelista a Capodistria, il complesso cimiteriale di santa Croce a Lubiana e la chiesa di sant’Elena a Pertoče, vicino al confine con l’Ungheria. Secondo i media cattolici sloveni dell’epoca, la chiesa di Pertoče ha pagato 250mila euro nel 2009 per un mosaico di 92 metri quadri che occupa tutto il presbiterio, mentre la parrocchia di san Marco a Capodistria ha corrisposto circa 100mila euro nel 2003 per un mosaico di 115 metri quadri, a cui si aggiungono i 22mila euro donati dalla società per azioni del porto di Capodistria per un nuovo mosaico di 40 metri. Per gli 80 metri quadri del mosaico nella chiesa di Tutti i santi nel cimitero di Lubiana, invece, la stima del costo, calcolata sul prezzo al metro quadro, arriva facilmente ai 150mila euro.

Inoltre, si apprende dal sito della parrocchia di Semič, a 70 chilometri da Lubiana, che nel 2019 aveva calcolato di spendere 50mila euro per un mosaico di 70 metri quadri, senza però aver ancora ricevuto un attendibile preventivo di spesa. Alcune parrocchie, a quanto pare, non hanno infatti avuto dal Centro Aletti una esatta stima dei costi, come nel caso della piccola parrocchia di Vrhpolje, a trenta chilometri dal confine italiano, dove i lavori per il mosaico di 180 metri quadri (all’epoca il più grande mosaico di Rupnik in Slovenia), iniziati nel 2013, sono stati terminati anni dopo per la difficoltà nel reperire i fondi necessari.

Le offerte dei fedeli

Un articolo del 2016, uscito sul periodico Novi Glas, conferma le difficoltà incontrate dal sacerdote responsabile della parrocchia, don Janez Kržišnik. «L’enorme quantità di lavoro – spiega il prete – ha richiesto costi enormi che non possono nemmeno essere stimati con precisione».

I mosaici di Rupnik sono infatti finanziati principalmente con i doni dei parrocchiani e anche per questo motivo non si capisce tanta reticenza nel rendere note le cifre. Di fronte a questa mancanza di trasparenza, è logico chiedersi dove siano finiti i soldi. Chi ha incassato il denaro? Chi ci guadagna?

L’attuale parroco di san Marco, don Ervin Mozetič, non sa dire a chi sia stata corrisposta l’intera cifra spesa nel 2003 (più di 122mila euro), mentre il sacerdote incaricato all’epoca, Jožef Koren, ricorda soltanto che si trattava di un bonifico bancario su un conto fornitogli da Rupnik. Lo stesso succede al cimitero di Lubiana: il sacerdote responsabile, Peter Možina, non era presente nel 2009, quando sono stati realizzati i lavori. Il parroco precedente, Tomaž Prelovšek, raggiunto al telefono da Domani, invece non ha dubbi: il pagamento è stato effettuato con un versamento direttamente a quella che gli viene presentata come «la società del Centro Aletti», la Rossoroblu srl.

Questa società in realtà è di Rupnik, perché il gesuita la possiede al 90 per cento. Dalla visura camerale si evince infatti che è stata fondata nel settembre 2007 da Rupnik e da Viezzoli, con un capitale sociale di partenza di diecimila euro; alla fine del 2022 risulta avere 15 dipendenti, mentre il bilancio dell’anno precedente registra un fatturato di 1.176.500 euro e un utile di 119.607 euro.

L’andamento societario è in crescita (più 32,50 per cento nel 2019) e l’utile negli ultimi anni è sempre aumentato, passando dai 41.490 euro del 2017 fino ai 95.481 euro del 2020. Amministratrice unica e rappresentante dell’impresa è Manuela Viezzoli e i soci risultano essere sempre loro due, Viezzoli e Rupnik. Al 31 dicembre 2021, nell’attivo dello stato patrimoniale, la società presenta, tra l’altro, 593.713 euro di crediti, quasi tutti crediti commerciali. Questo credito è aumentato nell’esercizio 2021 di 117.015 euro, che corrisponde quasi esattamente all’utile d’esercizio della società (119.607 euro). La società, insomma, va a gonfie vele.

Il bilancio appare comunque scarno rispetto al peso delle committenze evidenziate: altro denaro potrebbe essere passato semplicemente «di mano in mano» come testimonia Ciraj nella sua tesi? Denaro che, lo ricordiamo, arrivava soprattutto dalle collette dei fedeli.

I fondi della società Rossoroblu potevano essere usati per finanziare qualsiasi attività: per esempio – ma è solo un’ipotesi – la “chiesa dell’uomo nuovo”, la cui costruzione a Roma ovest, secondo una nostra fonte, era già stata annunciata al clero dal vicario generale della capitale, il cardinale Angelo De Donatis.

Da notare anche che, nonostante le grandi entrate e i profitti dei mosaici, il Centro Aletti ha ben due fondazioni che chiedono contributi per finanziarne le attività, la fondazione Agape a Roma e la fondazione Centro Aletti, creata in Slovenia nel 2002 da Marina Štremfelj, un’altra ex sorella della Comunità Loyola.

Secondo il sito web del Centro Aletti, la fondazione slovena è stata creata con lo scopo specifico di «sostenere e incoraggiare, anche finanziariamente» le attività dell’Aletti di Roma. Non è chiaro come pensasse di farlo, visto che i bilanci mostrano entrate basse e addirittura numeri in rosso da alcuni anni.

Rupnik, se pur convocato ripetutamente, si è finora rifiutato di presentarsi al suo superiore, padre Verschueren. Il suo caso è un dossier sempre più scottante, visti i tanti elementi problematici che lo caratterizzano: gli abusi sulle ex sorelle della Comunità Loyola, le testimonianze delle vittime rese al team referente della Compagnia, la scomunica per aver assolto in confessione la donna con cui aveva avuto un rapporto sessuale, il ruolo, ancora tutto da investigare, avuto dal Centro Aletti nel coprire e avallare la condotta a dir poco spregiudicata del suo fondatore. A questo, oggi, si aggiungono gli ingenti guadagni realizzati negli ultimi vent’anni con i mosaici.

Davvero niente male per un sacerdote che ha fatto voto di castità, povertà e obbedienza.

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