Sono stati tutti assolti con formula piena gli ex amministratori di Saipem che erano sotto processo a Milano per falso in bilancio e aggiotaggio relativi agli esercizi tra il 2011 e 2013. Una sentenza che chiude – male per i pubblici ministeri milanesi - un periodo di lunghe e complesse indagini della procura lombarda intorno agli affari all'estero della multinazionale italiana dei servizi petroliferi quotata in Borsa, che qualche anno fa era stata al centro di un lungo processo per corruzione internazionale in Algeria finito con una generale assoluzione di tutti gli imputati anche in Cassazione.

Maxi appalti con la compagnia di stato Sonatrach che sarebbero stati ottenuti da Saipem, secondo l'accusa, dietro il pagamento di una mazzetta da 197 milioni di euro, di cui era stata chiesta la confisca. E proprio da quelle indagini, infatti, era scaturita questa costola che aveva approfondito i bilanci e le comunicazioni agli investitori finanziari di Saipem e nella quale erano rimasti impigliati gli ex amministratori delegati di quel tempo Pietro Tali (già accusato anche di corruzione) e il suo successore Umberto Vergine, oltre agli ex dirigenti Pietro Varone e Stefano Goberti.

Varone, in particolare, era stato il grande accusatore dei vertici di Saipem – e della controllante Eni – per le commesse algerine, ma aveva ammorbidito molto le sue dichiarazioni durante il processo. E si è ritrovato poi davanti al tribunale di Milano a processo con l'accusa di aggiotaggio insieme a Tali, il grande dominus della società per oltre un ventennio, per aver nascosto le reali difficoltà di bilancio nel biennio 2011-12, nel quale la marginalità del gruppo si erano contratta in modo molto forte, e per aver «abbellito» il budget previsionale del 2013 con l'inserimento di «commesse fittizie ad alta marginalità» con lo scopo di rassicurare gli investitori sul pronto recupero delle attività.

Recupero che non ci sarebbe mai stato ma che fu comunicato in ritardo al mercato attraverso dei cosiddetti «profit warning» (allarme utili) arrivati quando i buoi erano già scappati e le azioni in borsa ampiamente crollate.

Per Umberto Vergine – tra i più importanti e conosciuti dirigenti italiani del settore petrolifero – e Stefano Goberti, l'accusa era quella di aver falsificato i bilanci non conteggiando costi per 245 milioni di euro e anzi incrementando i ricavi di pari importo e di aver comunicato quindi bilanci non corretti al mercato.

Come si è detto, però, il tribunale ha fatto tabula rasa delle accuse assolvendo i quattro imputati e la società «perché il fatto non sussiste». Il tutto dopo aver già respinto, a inizio del procedimento, oltre il 90 per cento delle 750 richieste di costituzione come parte civile di tutti i risparmiatori che avevano subito il crollo di borsa.

Per Il 72enne Tali i guai con la giustizia non sono finiti qui, in realtà. Il manager è infatti indagato dalla procura di Pavia per truffa ai danni dello stato da oltre 140 milioni di euro in relazione alle energie rinnovabili prodotte da biomasse. Per queste accuse Tali era anche finito ai domiciliari ed erano stati eseguiti dei sequestri, poi revocati dalla Cassazione. Secondo quanto risulta a Domani l'inchiesta sarebbe nelle fasi conclusive e la posizione di Tali non dovrebbe essere archiviata.

Anche per Saipem il conto con i tribunale penale non è chiuso: un’altra inchiesta su falso in bilancio e aggiotaggio, relativi all’allentamento della presa dal gruppo Eni che ha deconsolidato e fatto entrare Cassa depositi e prestiti nell’azionariato, è in fase di udienza preliminare dove spicca il nome dell’ex a.d Stefano Cao tra gli imputati.

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