Chi doveva vigilare non lo ha fatto o quantomeno si è perso più di un dettaglio sull’operazione immobiliare che ha portato al processo dei commercialisti della Lega di Matteo Salvini. E si scopre, da nuovi documenti, che chi era deputato a farlo era in rapporti con il partito. Tuttavia la prima regola non scritta della Lega è non chiedere mai i danni a chi ne ha danneggiato l’immagine o a chi è accusato di aver sottratto fondi pubblici.

La costituzione di parte civile nei processi dove ci sono di mezzo i soldi è per il partito di Salvini un tabù. Lo è stato quando c’era da decidere se presentarsi come parte lesa nel processo per la truffa sui rimborsi elettorali incassati dall’allora tesoriere Francesco Belsito e da Umberto Bossi, i famosi 49 milioni. E lo è di nuovo dopo cinque anni, ora che iniziano i processi contro i commercialisti del partito, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, accusati di aver distratto quasi un milione di euro della fondazione Lombardia Film Commission (che si occupa di promozioni delle produzioni cinematografiche) controllata dalla regione e dal comune di Milano, per l’acquisto di un immobile al doppio del proprio valore. Denaro poi disperso in mille rivoli confluiti in società riconducibili ai contabili della Lega, uno dei quali, Di Rubba, era presidente della fondazione all’epoca dell’operazione immobiliare.

La tregua

Il fatto di non costituirsi parte civile nel processo sulla truffa ha aperto la strada alla restituzione dei 49 milioni di euro, perché non chiedendo i danni la Lega non è stata considerata parte lesa. Quella decisione deriva anche da una scrittura privata firmata da Salvini e Bossi, dove il primo si impegnava a chiudere con il passato di scandali. Una scelta che ha danneggiato il partito ma dato nuova agibilità politica a Bossi.

Nel caso di Attilio Fontana la scelta di non presentarsi in tribunale come parte civile stona ancora di più, perché l’altro ente che controlla, con quota di minoranza, Film Commission è il comune di Milano, che invece si è presentato per chiedere i danni. Fontana ha fatto sapere che la scelta è frutto di una strategia precisa: «La giunta regionale ritiene preferibile, nei procedimenti penali in cui la regione è parte offesa, proporre un’azione autonoma in sede civile solo a seguito e sulla base degli elementi che sono stati accertati in sede penale». Tradotto: se verranno condannati in via definitiva a quel punto chi sarà al governo della regione potrà avviare un processo civile per quantificare il danno provocato dai commercialisti della Lega. Sempre che in futuro qualcuno si ricorderà di farlo. Il Pd, con la consigliera Paola Bocci in testa, e il Movimento 5 stelle hanno presentato una mozione per spingere Fontana a cambiare linea, ma è stata respinta dai voti della maggioranza in Consiglio regionale.

Processi e politica

Il 15 aprile è iniziato il processo per uno dei protagonisti di questo colpo gobbo alla regione: Francesco Barachetti, fornitore numero uno della Lega di Salvini, in appena due anni e mezzo ha incassato oltre 2 milioni di euro dal partito e da società controllate. Barachetti, accusato di concorso in peculato, è un idraulico e imprenditore di Casnigo, Bergamo, compaesano del commercialista Di Rubba. Barachetti ha collaborato, secondo i magistrati Eugenio Fusco e Stefano Civardi della procura di Milano, alla distrazione dei fondi pubblici attraverso la compravendita immobiliare: la fondazione Lombardia Film Commission, nel 2017 con Di Rubba presidente nominato per volere della Lega, ha firmato l’acquisto per 800mila euro di un capannone a Cormano in provincia di Milano che ne valeva pochi mesi prima 400. Da una consulenza agli atti del processo emerge che una delle prime azioni di Di Rubba da presidente della fondazione è stata chiedere uno stanziamento di un milione da parte della regione. Soldi usati per acquistare il fabbricato di Cormano.

Per lo stesso motivo, ma con accuse diverse, Di Rubba e il suo collega Manzoni saranno processati con rito abbreviato a porte chiuse il 21 aprile, anche in questo caso il grande assente sarà Fontana, che seguirà la linea tenuta con Barachetti e non costituirà la regione parte civile. Con l’aggravante però che i due imputati sono direttamente uomini del partito, fedelissimi contabili che conoscono ogni segreto delle casseforti leghiste, inclusa quella della sezione lombarda di cui il presidente della regione è storico rappresentante. A giudicare la coppia di commercialisti della Lega sarà un giudice che di cognome fa Salvini ma di nome Guido.

La Lega c’è

Nell’operazione Film Commission i protagonisti sono leghisti, Di Rubba è stato scelto per presiedere la fondazione dai vertici del partito, il terzo commercialista coinvolto, Michele Scillieri, ha intrattenuto rapporti economici con la Lega e nel suo studio era stata domiciliato il nuovo movimento di Salvini. Infine documenti inediti collegano l’avvocato dell’organismo di vigilanza della fondazione al partito. L’avvocato si chiama Alessio Gennari, lo troviamo nell’organo federale della Lega nord, che revisiona i bilanci. C’è la sua firma, infatti, negli ultimi due disponibili, 2018 e 2019, in pieno affare immobiliare dunque. Contattato Gennari dice che «non c’è niente da commentare». Gli chiediamo chi sia stato il suo sponsor all’interno della Lega: «Sono un avvocato, non parlo dei clienti», è la risposta. Mentre si chiudeva nel 2018 l’operazione Cormano sul quale Gennari avrebbe dovuto vigilare, l’avvocato firmava anche il via libera ai conti del partito, le cui finanze erano in mano al duo Di Rubba-Manzoni, il primo presidente della fondazione con Gennari capo dell’organismo di vigilanza. Un conflitto di interessi che forse avrebbe dovuto convincere Fontana a costituirsi parte civile contro gli amici di Salvini.

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