I mesi passano, eppure in Italia la polemica sul ricorso al fondo salva stati Mes non si placa. A chi insiste che il Mes sanitario non ha alcuna condizione, se non l’uso dei fondi per spese sanitarie, si contrappone chi sostiene che si tratta di un cavallo di Troia per imporci un ritorno all’austerità.

Il dibattito si avvita non solo per la valenza politica della scelta (le divisioni della maggioranza sono sotto gli occhi di tutti), ma anche, e soprattutto, perché mal posto.

Il Mes senza condizioni non esiste, ma questo non vuol dire che se lo usassimo l’Europa matrigna ci imporrebbe necessariamente politiche d’austerità. Vediamo perché

Nella primavera scorsa le istituzioni europee hanno scelto di ricorrere allo strumento del Mes per offrire ai paesi dell’eurozona aiuto nel contrasto alla pandemia, e di farlo senza alterare il quadro normativo.

Le vecchie regole

Il “Mes sanitario” è una semplice linea di credito precauzionale, la cui erogazione e gestione è inquadrata dal Trattato del 2012 che creava il Meccanismo (una sorta di banca sovrana) e dalla normativa europea cui esso si collega, il “Two-Pack” del 2013. Essendo il MES (come il Two-Pack) nato per garantire la stabilità finanziaria della zona euro proteggendo al contempo il proprio status di creditore privilegiato, non è sorprendente che le istituzioni europee abbiano ampi margini di manovra per mettere sotto tutela i paesi che vi fanno ricorso.

L’accesso a una linea di credito precauzionale richiede una valutazione preliminare dello stato di salute delle finanze pubbliche del paese richiedente; sottolineando che il Mes sanitario era soggetto solo alle condizioni sull’utilizzo delle risorse, Commissione e eurogruppo hanno di fatto garantito vi avrebbero avuto accesso anche Paesi con finanze pubbliche malferme.

Tuttavia, la tutela del creditore non si ferma a questa valutazione preliminare.

Il ricorso ai fondi del Mes attiva automaticamente (per tutta la durata del prestito) la cosiddetta “sorveglianza rafforzata”, una procedura per cui il paese in questione e la Commissione entrano in un serrato confronto su finanze pubbliche, stabilità del settore finanziario, e così via.

I regolamenti del Two-Pack danno poi facoltà alla Commissione di “suggerire” ai Paesi sotto sorveglianza un programma di aggiustamento macroeconomico volto a rendere le finanze pubbliche sostenibili.

I commissari al Bilancio Paolo Gentiloni e il vice presidente Valdis Dombrovskis si sono impegnati in una lettera a non avvalersi di questa facoltà; un gesto di indubbio valore politico che tuttavia, è ovvio, non impegna la Commissione per il futuro.

Ci sarebbe stato modo di formalizzare la mancanza di condizioni. Consiglio e Parlamento avrebbero potuto sospendere il regolamento in questione (l’ormai famoso 472/2013), creando per le spese sanitarie un vero Mes senza condizioni.

Meglio, si sarebbe potuto scegliere di procedere con uno strumento diverso. In aprile le istituzioni europee hanno introdotto il Sure, uno strumento di credito agevolato a sostegno degli sforzi dei Paesi europei per combattere la disoccupazione.

Il Sure poggia sull’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Ue (pensato per le catastrofi naturali) che consente di sostenere i paesi colpiti da eventi straordinari.

Diversamente dal Mes che, ripetiamolo, è nato per altre finalità, il Sure ha effettivamente come sola condizione l’utilizzo dei fondi per spese legate al mercato del lavoro; il 25 settembre il Consiglio ha approvato l’erogazione dei fondi per 16 Stati membri.

Perché nessuno lo vuole

È noto che invece nessun paese ha finora espresso l’intenzione di accedere al Mes sanitario. Fa sorridere (amaramente) che la scelta del Mes sanitario fosse stata giustificata con la necessità di avere i fondi in fretta, trascurando le criticità legate alla condizionalità e alla memoria del ruolo del Mes nella crisi greca.

Se si fosse scelta la via di un “Sure sanitario” ci saremmo risparmiati mesi di polemiche e saremmo in procinto di ricevere i fondi necessari al nostro sistema sanitario.

Insomma, continuare a insistere sul Mes senza condizioni è pericoloso: si alimenta infatti la diffidenza di chi vede in questa insistenza, noncurante delle norme europee, un tentativo di consegnare il nostro paese alla troika.

Questo era evidente fin dall’inizio, per chi avesse avuto voglia di andare a guardare regolamenti e trattati.

Tuttavia, e questo è il secondo punto, dire che la Commissione ha facoltà di imporre le condizioni non vuol dire che essa lo farà.

Speriamo che le nostre classi dirigenti hanno fatto tesoro dei ripetuti errori passati; le regole di bilancio europee sono state sospese e lo saranno a lungo; la seconda ondata della pandemia richiederà ulteriori sforzi di contrasto; c’è consenso sulla necessità di concentrarsi sull’investimento e non sul debito, come richiamato ancora di recente dal Fondo Monetario Internazionale.

Sarebbe quindi del tutto legittimo sostenere che in queste condizioni il rischio che il Mes porti all’imposizione dell’austerità è molto limitato; per quale motivo ci si ostini a riproporre il mantra del Mes senza condizioni invece di limitarsi a sostenerne l’opportunità politica è a questo punto un mistero.

La decisione è politica

Sarebbe auspicabile che il dibattito sul Mes, invece di rimanere invischiato in una discussione tecnica sulle condizioni che non ha ragione di essere, fosse condotto al livello che gli compete, quello politico.

Quali sono le nostre aspettative sull’evoluzione futura della governance europea? Il “nuovo corso” tedesco sulla spesa pubblica e sul debito è temporaneo o no? Si tornerà come dopo il 2010 alle politiche d’austerità, o due crisi epocali in poco più di un decennio avranno finalmente convinto le nostre classi dirigenti del bisogno di una politica economica più pragmatica e meno ideologica?

La scelta sul Mes sanitario dovrebbe basarsi sulla risposta che il governo darà a questi interrogativi, non sulla testarda riproposizione di un Mes senza condizioni che semplicemente non esiste.

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