Fa strano vedere un teatro pieno dopo due anni di teatri e sale da concerto vuoti. Sì, perché nel mondo reale i lavoratori dello spettacolo sono quelli che più di tutti stanno soffrendo le conseguenze della pandemia mentre il Teatro dell’Ariston, o dell’Aniston, come dicono certe influencer che presenziano a ogni evento di portata nazionale per aumentare il proprio engagement sui social, sembra vivere in una sorta di sospensione della realtà, mettendo in scena quello che artisti come Arrabal, Jodorowski e Roland chiamavano “Teatro Panico”, un movimento che manifestava la sua vena provocatoria in caotiche e surreali “azioni” artistiche.

Le scene

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In effetti, è stato abbastanza surreale il teatrino di Achille Lauro, pardon, la “perfomance”, laddove non ho effettivamente capito in cosa si dovesse differenziare dalle “esibizioni” degli altri artisti in gara. Il cantante mi è sembrato un Iggy Pop che non ce l’ha fatta, la sua versione caricaturale e da carnevale di Busto Arsizio, con quel finale con l’auto-battesimo che tentava di essere un elemento di blasfemia quando le uniche cose blasfeme viste su quel palco sono state l’outfit di Orietta Berti, un mix tra Attila dei Mayhem, Lady Gaga e il Marilyn Manson The Golden Age of Grotesque, e il balletto da terza media di Amadeus e Fiorello che ha infangato, ancora una volta, la memoria di Tenco.

Del resto, tutto l’intervento del comico siciliano mi ha ricordato i ragazzini che frequentavano il centro estivo quando facevo l’animatrice, che cercavano di attirare l’attenzione con battutine che non fanno ridere nessuno (davvero siamo ai livelli di «ti saluta stocazzo», «sono la tua merda» e allungamenti del pene?) mentre si lamentavano di non voler stare lì, prendendosi però tutta la scena: non mi ricordo di aver sentito parlare Berrettini.

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Le esibizioni

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Che dire delle esibizioni? Proprio perché la musica è stata così lungamente ferita dal Covid mi aspettavo qualcosa di meno soporifero, delle prese di posizione: artisti in gara fate qualcosa, dite qualcosa su quel palco. E invece per non addormentarmi ho dovuto passare la serata a leggere i tweet di Valerio Lundini, risvegliandomi dal torpore solo in quei momenti che noi trentenni consideriamo iconici, se non altro perché ci permettono di memare: Rkomy che sembrava un cosplayer dei Biker Mice, i La Rappresentante di Lista che hanno fatto la canzone del saluto pandemico sbrigliandoci da quell’imbarazzo di mani e gomiti perché da oggi farò “ciao ciao con il culo” e Ana Mena, che sembra uscita da “Il Mondo di Patty” ma ci regala la hit che farà da sottofondo a tutti i video di prediciottesimi per i prossimi 10 anni.

Splendono invece le interpretazioni di Michele Bravi e Mahmood e Blanco mentre Giusy Ferreri poteva tranquillamente rimanere in mezzo alle favelas, di certo la sua trombetta-megafono non ci sarebbe mancata.

In tutto ciò, gli ospiti sembrano una coccarda da mostrare per ricordarci quanto è stata grande l’Italia nell’ultimo anno.

Non ho mai avuto troppe simpatie per i Maneskin, mi sono sempre sembrati una di quelle cover band che ti ritrovi in sottofondo nel pub ai margini del centro la sera della pizza al metro, ma devo dire che trasudano passione, determinazione e, soprattutto, si mangiano il palco, catturando l’attenzione del pubblico in modo quasi magnetico. La differenza con gli artisti in gara è più che abissale.

I Meduza poi, accompagnati dall’artista irlandese Hozier, ci ricordano che in Italia da decenni siamo capaci di fare bene una cosa: per questo mi sento di dire “Make Dance Music Great Again”, anche se le movenza scomposte del pubblico boomer dell’Ariston sembravano un video di Aphex Twin diretto da David Lynch.

Il vuoto

Ornella Muti (AP Photo/Ronald Zak)

Ora vorrei rivolgermi a Ornella Muti: in conferenza stampa ci aveva fatto volare con la querelle sulla Cannabis che fatto urlare allo scandalo Fratelli D’Italia, Salvini e Gasparri. È salita sul palco sdoganando gli occhiali da lettura. E poi il vuoto. Il nulla. Nomen Omen. Nel momento a lei dedicato, vediamo scorrere sullo schermo “alcuni degli attori più amati del mondo” con i quali ha lavorato e per ognuno ha una parola buona, un dolce ricordo.

Quello che emerge è una donna al servizio della grandezza di tanti uomini, quando sono numerosissime le donne che sono state al suo fianco, da Fanny Ardant a Francesca Archibugi.

Sarebbe bastato disegnare una foglia di canapa sullo stacco di coscia per farci dimenticare per sempre la farfallina di Belén ed essere leggermente più eversiva nei confronti del paternalismo regnato sovrano nei suoi confronti durante tutta la serata.

Del resto, solo qualche settimana fa, Giovanna Civitillo, moglie di Amadeus, in un’intervista a Mara Venier aveva dichiarato che l’incontro col marito aveva messo fine alla sua carriera di ballerina, realizzando però il suo vero sogno, cioè quello di costruirsi una famiglia, salvo poi svelare alla conduttrice che «io quando vado a teatro, piango al momento dell’applauso perché mi è costato».

E forse è proprio questo elemento che unisce il mondo reale al palco dell’Ariston: donne presenti, sì, ma mai troppo sotto ai riflettori.

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