«Il mio impegno verso i familiari di Satnam rimarrà, da detenuto o da uomo libero». Antonello Lovato ha aperto così la seconda udienza del processo per la morte di Satnam Singh, il bracciante indiano deceduto a giugno nei campi dell’Agro Pontino, tra Borgo Santa Maria e Borgo Montello, frazioni di Latina, dopo un incidente sul lavoro.

Titolare con il padre della cooperativa in cui Singh lavorava in nero, Lovato è accusato di omicidio volontario con dolo eventuale ed è in carcere dal 2 luglio. In aula, davanti alla Corte d’Assise di Latina, ha reso dichiarazioni spontanee, come già accaduto nella prima udienza. «Ho saputo che i familiari di Satnam si sono costituiti parte civile. Per questo ho chiesto ai miei avvocati di estendere il risarcimento anche a loro, tra cui la somma di 280 euro che ho raccolto lavorando in carcere». Il denaro è stato depositato su un libretto giudiziario, lo stesso su cui Lovato aveva già disposto un risarcimento destinato alla compagna di Singh, presente in aula con lo sguardo quasi sempre basso.
Parole concilianti quelle di Lovato che contrastano con la freddezza delle azioni compiute dopo l’incidente e ricostruite oggi in aula da sei testimoni.

«Dormiva in una stalla»

Singh aveva 31 anni quando, il 17 giugno 2024, ha trovato la morte nei campi. Mentre manovrava un macchinario agricolo privo di dispositivi di sicurezza, è rimasto impigliato con la camicia e trascinato all’interno dell’ingranaggio. L’impatto gli ha amputato un braccio e provocato gravi lesioni a gambe e torace. Le grida della moglie Soni non sono bastate: i colleghi che erano con lui non hanno fatto nulla, il datore di lavoro, invece di chiamare i soccorsi, ha caricato il bracciante ferito su un furgone, con la compagna, e l’ha abbandonato agonizzante davanti alla loro abitazione. Solo più tardi parte dell’arto amputato è stato ritrovato vicino a dei cassonetti nei pressi della casa, lasciato in una cassetta della frutta. Satnam è morto in ospedale due giorni dopo.
Un brigadiere dei carabinieri ha ricostruito le ore successive all’incidente: «Quando siamo arrivati, l’avvolgitelo era stato gettato nella vegetazione, a distanza dal campo». A indicare il luogo è stato lo stesso Lovato, che ha mostrato anche la posizione del trattore che trainava il dispositivo, parcheggiato lontano dal punto dell’incidente. Secondo i militari, il macchinario era improvvisato: un’asta saldata a un doppio disco metallico, intorno alla quale si arrotolava il telo usato per coprire le colture. Un attrezzo rudimentale, azionato dal motore del trattore, che ruotava a velocità elevata senza alcuna protezione, né formazione specifica per i lavoratori.

Il furgone usato per trasportare Singh è stato trovato ripulito – per stessa ammissione dell’imputato – nell’abitazione di Lovato. Secondo quanto raccontato dalla compagna, subito dopo l’incidente lei e Satnam avevano ancora con sé il cellulare, tuttavia, una volta caricati sul furgone, entrambi sono rimasti senza. I due dispositivi non sono più stati ritrovati.
L’ultimo a essere ascoltato è stato Ilario Pepe, che ospitava la coppia da un anno e mezzo in un’abitazione di sua proprietà. Un gesto di solidarietà, dopo aver saputo che la coppia viveva in una stalla. «Quando sono tornato a casa dal lavoro, ho visto Soni che correva piangendo verso di me – ha raccontato –. Mi diceva: "Marito tagliato, chiama ambulanza"». Poco dopo ha visto passare un uomo con Satnam in braccio, diretto verso il retro dell’abitazione. Lo stesso, poi riconosciuto in Lovato, è tornato senza Singh. Pepe ha raccontato di avergli chiesto spiegazioni. Lovato avrebbe risposto semplicemente: «Si è tagliato». Alla domanda sul perché lo avesse portato lì anziché in ospedale, avrebbe replicato: «Non ce l’ho in regola», prima di allontanarsi sgommando. «Sembrava tranquillo», ha aggiunto Pepe.
Gli accertamenti del Nucleo Ispettorato del Lavoro e della Asl avevano già confermato che, all’epoca dell’incidente, nell’azienda di Lovato non lavorava ufficialmente alcun dipendente straniero: risultava assunto solo un lavoratore italiano.

Pepe ha ricordato che, nell’attesa dei soccorsi, Soni accarezzava la testa di Satnam, ritrovandosi le mani insanguinate, segno che il bracciante, abbandonato a terra, potrebbe aver riportato anche una ferita alla testa.
Alla fine dell’udienza l’avvocato della donna, Giovanni Lauretti, ha dichiarato: «Lovato ha agito così perché Satnam era un lavoratore irregolare. Se fosse stato in regola, avrebbe chiamato il 118. È la piaga del lavoro nero che emerge in tutta la sua potenza».

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