Nell’ultima udienza sul caso del bracciante deceduto a Latina, dopo che un macchinario ha tranciato il suo braccio, un suo connazionale ha raccontato cosa gli avrebbe detto l’imprenditore agricolo Antonello Lovato. L’uomo è sotto processo per omicidio volontario con dolo eventuale
«Lovato mi disse: “È morto, aiutami, dove lo butto?”». La frase, attribuita all’imprenditore agricolo Antonello Lovato, è risuonata ieri, 7 ottobre 2025, nell’aula della Corte d’Assise di Latina. A riferirla è stato un connazionale di Satnam Singh, l’indiano di religione sikh che ha perso la vita lo scorso anno in un incidente nei campi in cui lavorava in nero. Lovato avrebbe pronunciato quelle parole pochi istanti dopo che un suo trattore aveva strappato il braccio al ragazzo.
È la testimonianza più pesante finora raccolta nel processo che punta a chiarire se la morte di Satnam Singh sia stata il risultato di un gesto consapevole di abbandono. Le parole di Lovato, pronunciate con voce agitata, aprono uno scenario inquietante: un uomo che, di fronte a un corpo riverso a terra, non pensa ai soccorsi ma a come liberarsene. Il testimone ascoltato in aula, allertato telefonicamente da un connazionale collega di Satnam, avrebbe cercato di far ragionare l’imprenditore agricolo: «Non è detto che sia morto, chiama subito un’ambulanza».
L’imputato – in carcere da luglio 2024 – è sotto processo per omicidio volontario con dolo eventuale. Nelle prime udienze ha dichiarato di non aver mai voluto la morte del giovane indiano.
Le precedenti ricostruzioni
La vicenda risale al 17 giugno 2024, nei campi di un’azienda agricola di Borgo Santa Maria, frazione di Latina, gestita dalla famiglia Lovato. Durante l’utilizzo di un macchinario artigianale e non a norma, impiegato per avvolgere i teli di plastica che coprono i terreni coltivati, Satnam Singh rimase impigliato, riportando l’amputazione di un braccio e una grave emorragia.
Come ricostruito nelle precedenti udienze, invece di chiamare i soccorsi, l’imprenditore pontino avrebbe caricato l’uomo agonizzante su un furgone, insieme alla compagna della vittima, Soni Soni, e lo avrebbe lasciato davanti alla loro abitazione in Borgo Bainsizza, nei pressi di Cisterna di Latina. Una parte dell’arto strappato fu ritrovata successivamente in una cassetta della frutta, vicino ad alcuni cassonetti dei rifiuti.
In aula, la dottoressa Maria Cristina Setacci, medico legale, ha confermato che Satnam Singh sarebbe probabilmente sopravvissuto se fosse stato soccorso immediatamente. L’esame autoptico ha evidenziato numerose fratture, lesioni interne e una grave emorragia causata dall’amputazione. «La rapidità nel bloccare il sanguinamento è fondamentale – ha spiegato –. Anche una cinghia stretta sull’arto avrebbe potuto salvarlo».
Secondo la perita, anche il pronto soccorso di Latina sarebbe potuto intervenire efficacemente: «Portarlo lì, a soli trenta minuti di distanza, sarebbe stato opportuno». E invece Satnam fu soccorso in ritardo e trasferito in eliambulanza al San Camillo di Roma, dove arrivò già in condizioni critiche. Morì due giorni dopo, il 19 giugno, per shock emorragico.
Una versione non condivisa dalla difesa, come dichiarato da Mario Antinucci, legale di Lovato, il quale ha affermato che presenterà una «documentazione tecnica idonea a confutare le conclusioni della Setacci».
Le altre testimonianze
In aula sono stati ascoltati anche altri connazionali di Satnam, che hanno contribuito a delineare il contesto lavorativo e le dinamiche successive all’incidente. Un testimone ha dichiarato di aver visto il furgone di Lovato lasciare l’azienda, mentre la compagna della vittima gridava e piangeva a bordo.
È stato inoltre accertato che il bracciante lavorava in nero nell’azienda dei Lovato. L’ispettore Boscolo, dell’Ispettorato del lavoro dei carabinieri, ha confermato che il bracciante non risultava assunto, anche perché privo di permesso di soggiorno. Il giorno dell’incidente solo due lavoratori erano regolarmente dichiarati.
La presenza di manodopera irregolare conferma il quadro di sfruttamento denunciato dagli inquirenti. Su questo fronte, la procura di Latina ha chiesto il giudizio immediato per l’inchiesta Satnam bis: il 6 novembre Antonello e Renzo Lovato, padre e figlio, saranno a processo per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro pluriaggravato. Dalle carte di questo secondo filone d’inchiesta emerge che i braccianti lavoravano in nero per 5,50 euro l’ora, ben al di sotto dei minimi previsti dal contratto provinciale per il settore agricolo.
In alcuni casi, la retribuzione veniva ulteriormente ridotta come punizione per presunta lentezza. Turni di otto o nove ore al giorno, sette giorni su sette, senza riposi né straordinari pagati. Nessuna formazione o dispositivi di sicurezza e servizi igienici assenti. Secondo l’accusa, i Lovato avrebbero approfittato dello stato di bisogno dei braccianti, molti dei quali irregolari e privi di alternative economiche, accettando qualunque condizione pur di lavorare.
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