Ancora scioperi. Dopo quello di martedì 5 dicembre medici, infermieri e dirigenti sanitari sono pronti ad aderire a nuove giornate di sospensione dal lavoro nel prossimo mese di gennaio e a scendere in piazza per rivendicare i propri diritti contro una manovra di governo che non sembra voler rilanciare il Servizio sanitario nazionale. «Allo sciopero del 5 dicembre ha aderito circa l’85 per cento del personale sanitario da ogni regione – dice Pierino Di Silverio, segretario nazionale di Anaao Assomed – Ci aspettavamo dunque una risposta da parte delle istituzioni che, invece, sono rimaste in silenzio: motivo per cui abbiamo già in programma altri due scioperi a gennaio 2024. Scioperi – prosegue il segretario del sindacato dei medici e dirigenti sanitari – che continueranno in modo serrato se il governo non garantirà un confronto su quanto chiediamo».

Richieste, queste ultime, molto precise. Anaao Assomed, insieme agli altri sindacati di categoria promotori della protesta (Cimo Fesmed e Nursing Up) si batte infatti contro la norma sul taglio delle pensioni dei sanitari (il 7 dicembre è stato depositato in Commissione bilancio al Senato un emendamento alla manovra) e, tra le altre cose, a favore di un piano di assunzioni che elimini il problema della carenza di dottori negli ospedali. Ma c’è dell’altro. «Vogliamo – ribadisce Di Silverio – depenalizzare l’atto medico».

Colpa medica, c’è confusione

Tuttavia sulla possibilità di rivedere la legge sulla responsabilità professionale, tutelando non solo chi è curato ma anche chi cura, il governo non ha le idee chiare. La Gelli-Bianco del 2017 – in materia, non a caso, di “responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” – «non ha ancora – come denunciato dagli Ordini dei medici in audizione alla Camera il 30 novembre – i decreti attuativi». E poi, se il ministro della Salute Orazio Schillaci ha più volte rilasciato dichiarazioni sulla necessità di «depenalizzare, tranne che per il dolo, la responsabilità medica» anche per abbattere i costi della medicina difensiva che sul Servizio sanitario nazionale «pesa 10 miliardi all’anno», alcuni suoi colleghi non sono d’accordo.

La commissione «perduta»

Su questo “riammodernamento” frena, d’altronde, il ministro Nordio che, il 28 marzo 2023, ha costituito la commissione per lo studio e l’approfondimento delle problematiche relative alla colpa professionale medica. Presieduta dal magistrato Adelchi d’Ippolito, la commissione «è finita nel nulla – commenta Di Silverio –, ma soprattutto nessuno dei suoi membri è stato indicato dal ministero della Salute». In base a quanto si legge nel decreto costitutivo della stessa commissione, quest’ultima «concluderà i propri lavori entro un anno dall’istituzione». Vale a dire che tra tre mesi dovrebbe battere un colpo e portare alla luce i propri studi, quelli voluti dal Guardasigilli che, in sede di insediamento della commissione, disse che «è impossibile una depenalizzazione dell’atto medico». Nell’attesa, secondo il segretario nazionale di Anaao Assomed, un fatto è certo: «Sono 35mila le cause che ogni anno vengono intentate contro i medici e 350mila quelle che giacciono nei cassetti delle autorità competenti. Il 97 per cento di queste cause, penali e civili, viene archiviata dopo una media di sei-sette anni, senza che nessuno tenga conto dei risvolti psicologici ed economici sui medici. In pratica nell’arco di ogni giornata lavorativa sei dottori vengono denunciati».

Il carico della Lega

A fare ancora più confusione ci pensa la proposta di legge presentata il 24 luglio 2023 da un gruppo di deputati della Lega, la quale conferma la sanzione penale («Quando dallo svolgimento dell’attività sanitaria derivi per colpa una lesione o il decesso del paziente anche come più grave conseguenza delle lesioni riportate, si applicano le pene della reclusione da tre mesi a cinque anni»).

In più, sempre la scorsa estate, l’intergruppo parlamentare sulla sanità e terapie digitali, guidato da Simona Loizzo del Carroccio, ha presentato la proposta di legge “Disposizioni in materia di terapie digitali”. «In Italia non è ancora disponibile nessuna terapia digitale rimborsata, a differenza di altri paesi in cui esistono già iniziative e percorsi», si legge nel testo della proposta che definisce le terapie digitali come «tecnologie che offrono interventi terapeutici guidati da programmi software di alta qualità».

La proposta «intende definire i campi di intervento per i quali possono essere utilizzate le DTx: i settori delle malattie cardio-metaboliche; dell’endocrinologia e della diabetologia; delle neuroscienze e della salute mentale; delle malattie respiratorie; delle aree riabilitative; dell’oncologia», istituendo un comitato ad hoc che fornisca «indicazioni preliminari e orientative».

L’IA è punibile?

Così facendo «si apre uno scenario finora inesplorato: in caso di errori e colpe, chi andrà in carcere? Il software, il medico o in combinazione software e medico? I vantaggi derivanti dall’uso di sistemi di Intelligenza artificiale sono tanti, ma sono tanti anche i rischi di cui bisogna tener conto: primo tra tutti il problema dell’elaborazione dei dati sensibili dei pazienti. E inoltre bisogna dire che l’Italia, rispetto al tema dell’IA, è assai in ritardo rispetto agli altri paesi», afferma Domenico Talia, esperto di Intelligenza artificiale, professore ordinario di Sistemi di elaborazione delle informazioni all’università della Calabria e firmatario del documento di “Center for AI Safety” sui rischi derivanti dall’assenza di regolamentazione riguardo l’Ia.

«Probabilmente – continua Talia –, introducendo tali nuovi sistemi, si innalzeranno i requisiti minimi di diligenza professionale richiesti al medico». Come a dire che se il medico dovrà essere “più bravo” del solito, dovrà anche sbagliare di meno: le aspettative di guarire nel paziente diventeranno sempre più alte. Ai pari del timore dei camici bianchi, qualora il caos permanga, di finire in carcere.

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