Su Domani arriva il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese e quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi, raccontiamo adesso la seconda guerra di mafia, quarant’anni dopo.

Il 23 aprile 1981, in questa via Aloi, veniva ucciso, a colpi di lupara e di kalashnikov, STEFANO BONTATE, capo della "famiglia" di S. Maria di Gesù. Con questo eclatante omicidio veniva inaugurata - in seno a "Cosa Nostra" - una terribile teoria di assassinii, che alla fine vedeva vittorioso il gruppo di potere facente capo ai corleonesi.

La faida, impropriamente definita "guerra di mafia", é stata, in realtà, una vera e propria mattanza, condotta con lucida strategia dai corleonesi e dai loro alleati, mediante la creazione un sistema di alleanza con elementi chiave di ciascuna famiglia, attraverso cui individuare e colpire tutti i soggetti, ritenuti non affidabili, a qualunque famiglia appartenessero.

Ben diversa era stata la prima guerra di mafia (quella degli anni 1960-63), che aveva visto lo scontro armato fra diverse famiglie contrapposte nel tentativo di conquistare una posizione di supremazia le une sulle altre.

L'atipicità dello scontro aveva, per un certo periodo, fuorviato l'interpretazione della logica degli assassini: non si comprendeva, infatti, ad esempio, come mai le "famiglie" di capi carismatici come STEFANO BONTATE e SALVATORE INZERILLO non reagissero alle uccisioni dei loro capi né si comprendeva perché venissero uccisi elementi di spicco di altre "famiglie". Anzi, si era portati a ritenere che tali delitti costituissero la reazione dei "perdenti" mentre, in realtà, si trattava della prosecuzione dell'opera di "bonifica" intrapresa dai corleonesi e dai loro alleati.

Le cause più profonde e generali della seconda guerra di mafia, al di là dei motivi specifici di ciascun omicidio, sembrano da ricercare nelle modalità stesse dei traffici illeciti gestiti da "Cosa Nostra" e, in particolare, del contrabbando di tabacchi e del traffico di stupefacenti.

L'omicidio del maresciallo Sorino

[...] Intorno al 1975, [...] i corleonesi non erano ancora riusciti ad egemonizzare completamente la "Commissione". Infatti, ad eccezione di NENE' GERACI, che era di provata fede "leggiana", tutti gli altri componenti della Commissione subivano il forte ascendente di STEFANO BONTATE.

Ma altri episodi contribuivano a sminuire il prestigio di quest'ultimo ed a segnare punti a favore dei corleonesi. Il 10.1.1974, veniva ucciso a San Lorenzo il maresciallo di Pubblica Sicurezza in pensione ANGELO SORINO, e la polizia ne riteneva ovviamente responsabile il "capofamiglia" della zona, FILIPPO GIACALONE, il quale veniva arrestato.

Il delitto era stato consumato all'insaputa della Commissione e il BONTATE aveva preteso delle spiegazioni dal GIACALONE, il quale - però - si era detto estraneo all'omicidio e si era ripromesso, una volta tornato in libertà, di accertarne l'autore.

Dimesso dal carcere, il GIACALONE aveva svolto le sue investigazioni e aveva riferito al BONTATE che il delitto era stato materialmente commesso da LEOLUCA BAGARELLA, su mandato dei corleonesi. Poco tempo dopo, il nominato GIACALONE scompariva e il BONTATE, nel commentare il fatto col BUSCETTA, si dichiarava convinto che era stato eliminato per averlo informato sull'autore della soppressione del maresciallo SORINO.

Spazzato via il primo membro della Commissione favorevole al BONTATE, veniva nominato al suo posto nel 1978 FRANCESCO MADONIA, capo della "famiglia" di Resuttana e fedelissimo dei corleonesi.

Frattanto, nel 1975, si verificava un altro gravissimo episodio lesivo del prestigio di STEFANO BONTATE. Il suocero dell'esattore NINO SALVO, LUIGI CORLEO, veniva sequestrato e fatto scomparire all'insaputa della Commissione.

Sia GIUSEPPE DI CRISTINA sia GAETANO BADALAMENTI erano sicuri che autori del sequestro fossero i corleonesi; addirittura lo stesso BADALAMENTI, cui NINO SALVO si era rivolto per riavere almeno il cadavere del suocero, non aveva potuto far nulla.

Ora, se si tiene conto di quanto fossero solidi i legami tra NINO SALVO e STEFANO BONTATE, é intuitiva la gravità dello smacco subito dal BONTATE che, dopo il CASSINA, non era riuscito a proteggere nemmeno una personalità del calibro di NINO SALVO.

Nel 1977, veniva ucciso a Ficuzza (Corleone) il Tenente Colonnello dei CC. GIUSEPPE RUSSO, investigatore di razza, e - anche stavolta - né il BONTATE né la Commissione ne venivano preventivamente informati.

Solo in un secondo momento, MICHELE GRECO comunicava al BONTATE che mandanti dell'omicidio erano stati i corleonesi ed autore materiale PINO GRECO "SCARPUZZEDDA"; negava però, contro ogni logica, e benché un "uomo d'onore" della sua famiglia (PINO GRECO) avesse partecipato all'assassinio, di essere stato informato prima della consumazione dello stesso.

L'“espulsione” di Badalamenti e l'uccisione di Di Cristina

Il 1978 è l'anno della defenestrazione di GAETANO BADALAMENTI, capo della "Commissione", espulso ("posato") da "Cosa Nostra" per motivi che BUSCETTA non ha saputo o voluto dire. […] Nello stesso anno viene ucciso GIUSEPPE DI CRISTINA, fraterno amico di STEFANO BONTATE e di SALVATORE INZERILLO e loro potente alleato. […] L'assassinio avveniva in territorio controllato dalla "famiglia" di SALVATORE INZERILLO, dove, addirittura, veniva abbandonata l'autovettura usata dai killers.

Ciò naturalmente provocava l'ira furibonda dell'INZERILLO poiché, oltre a costituire gravissima lesione del suo prestigio di capo della "famiglia" di Passo di Rigano, avrebbe attirato su di lui le attenzioni della polizia. […] Aggiungasi che il DI CRISTINA temeva di essere ucciso, tant'è che pochi giorni prima di morire si era presentato al Cap. PETTINATO dei CC. di Gela, esprimendo preoccupazione per la sua vita messa in pericolo dai corleonesi; […]. La reazione dell'INZERILLO per la inammissibile violazione del suo territorio era stata piuttosto energica, ma MICHELE GRECO si era schermito, adducendo che il DI CRISTINA era un confidente dei CC. e che era stato ucciso per motivi interni della sua "famiglia" (Riesi).

La mafia, quindi, era a conoscenza, pochi giorni dopo, dell'incontro tra DI CRISTINA ed il Cap. PETTINATO, benché si sia trattato di un unico incontro, avvenuto nella più assoluta riservatezza.

Il fatto che un omicidio tanto grave fosse stato deliberato all'insaputa di membri autorevoli della "Commissione" (INZERILLO, BONTATE ed anche ROSARIO RICCOBONO) era sicuro indice che quest'organo era stato esautorato dai corleonesi.

Stranamente, né BONTATE né INZERILLO seppero trarre in tempo le conseguenze da quanto accadeva.

Nuovi equilibri in “Commissione”

Nel 1978, dunque, per effetto della eliminazione di FILIPPO GIACALONE e della espulsione di GAETANO BADALAMENTI la "Commissione" assumeva questa nuova composizione: MICHELE GRECO capo, ANTONIO SALAMONE (BERNARDO BRUSCA) , STEFANO BONTATE, SALVATORE INZERILLO, SALVATORE SCAGLIONE, GIUSEPPE CALO', ROSARIO RICCOBONO, FRANCESCO MADONIA, NENE' GERACI, CALOGERO PIZZUTO, SALVATORE RIINA (BERNARDO PROVENZANO). IGNAZIO MOTISI.

Nel 1979 veniva cooptato come capo mandamento anche il famigerato PINO GRECO SCARPUZZEDDA che aveva già ampiamente dimostrato la sua lealtà ai corleonesi uccidendo personalmente il Colonnello RUSSO.

Pertanto a quel tempo gli equilibri interni della Commissione erano cosi' rappresentati: un gruppo fedele a BONTATE (INZERILLO, PIZZUTO); un gruppo di sicura fede leggiana (CALO', MADONIA, BRUSCA, GERACI, SCARPUZZEDDA, MOTISI e, apparentemente, SALVATORE SCAGLIONE) ed un terzo gruppo (MICHELE GRECO, RICCOBONO, SALAMONE) non del tutto ostile a BONTATE ed INZERILLO, ma certamente avverso a GAETANO BADALAMENTI.

Come si vede, la presenza dei corleonesi era nettamente preponderante.

[…] MICHELE GRECO poi, il capo della "Commissione" - che avrebbe dovuto reggere le sorti di "Cosa Nostra" con energia e decisione -, era, secondo la concorde valutazione di BUSCETTA e CONTORNO, un personaggio scialbo e imbelle, sostanzialmente un ostaggio in mano ai "corleonesi", tant'è che STEFANO BONTATE si lamentava con BUSCETTA che "SCARPUZZEDDA" era divenuto una sorta di diaframma fra lui e MICHELE GRECO, e addirittura i giorni delle riunioni della "Commissione" li fissava lui.

Frattanto la situazione interna di Cosa Nostra si evolveva in senso favorevole ai corleonesi.

Intorno al 1979-80, entrava in "Commissione" anche GIOVANNI SCADUTO, genero di SALVATORE GRECO FERRARA; in tal modo, aumentava ulteriormente il "peso" di MICHELE GRECO e dei corleonesi [...]. In questa situazione la posizione di STEFANO BONTATE diventava ancor più difficile ed era ulteriormente aggravata dalla avversione sempre più esplicita mostrata nei suoi confronti dal fratello GIOVANNI. […] I contrasti insorti perfino tra fratelli danno la misura delle dimensioni e della natura del dissidio esploso in seno a "Cosa Nostra": guerra aperta dei corleonesi e dei loro alleati contro tutti gli elementi ritenuti non affidabili.

Gli “omicidi eccellenti”

Nel 1978, veniva ucciso il Segretario Provinciale di Palermo della D.C., MICHELE REINA; nel 1979, venivano assassinati il Dirigente della Squadra Mobile di Palermo, BORIS GIULIANO, e l’On. CESARE TERRANOVA. Di questi fatti di sangue, né BONTATE né il gruppo a lui vicino (INZERILLO, RICCOBONO, PIZZUTO) venivano informati.

Era chiaro che i corleonesi avevano ormai saldamente in pugno la situazione.

L'anno successivo venivano uccisi il Presidente della Regione, PIERSANTI MATTARELLA, ed il Cap. CC. EMANUELE BASILE. anche a tali omicidi BONTATE e i suoi amici erano estranei; ma la reazione dello stato si dirigeva soprattutto su SALVATORE INZERILLO e sulla sua "famiglia".

A questo punto l'INZERILLO decideva di rompere l'accerchiamento dei corleonesi con una plateale dimostrazione di potenza, e, all'insaputa della Commissione, uccideva il Procuratore della Repubblica di Palermo, GAETANO COSTA.

Ma la sua azione non sortiva l'effetto desiderato, anzi suscitava reazioni negative tanto che PIPPO CALO', commentando l'omicidio, aveva detto che l'INZERILLO si era comportato da "bambino".

E così, per motivi tanto abietti e futili, un integerrimo e valente Procuratore della Repubblica perdeva la vita.

L'INZERILLO, come egli stesso ebbe a precisare al BUSCETTA, non aveva motivi di risentimento nei confronti del COSTA per i provvedimenti restrittivi da lui personalmente adottati contro membri del suo clan; intendeva soltanto avvalersi dell'occasione "per dimostrare di essere tanto forte anch'egli per potersi comportare allo stesso modo dei corleonesi".

La “mediazione” fallita di Buscetta

[…] Nel giugno 1980, TOMMASO BUSCETTA, ammesso al regime di semilibertà durante l'espiazione di una residua pena inflittagli per traffico di stupefacenti, si allontanava arbitrariamente da Torino e si rifugiava a Palermo. [...] BUSCETTA, giunto a Palermo, veniva avvicinato da VITTORIO MAGLIOZZO, "uomo d'onore" della sua stessa famiglia e persona di fiducia del CALO', il quale gli faceva presente che CALO' era pronto ad ospitarlo in un suo alloggio romano.

Dietro indicazione del MAGLIOZZO, TOMMASO BUSCETTA raggiungeva l'alloggio del CALO' - localizzato in Roma via Aurelia 477 - e vi rimaneva ospite per diversi giorni.

[…] CALO' e i corleonesi, nell'imminenza del conflitto contro BONTATE, avevano bisogno dell'appoggio di BUSCETTA e, cioè, di un personaggio che, col suo ascendente, fosse in grado di dare avallo e copertura ad un'operazione che si presentava rischiosa e traumatica; salvo, ovviamente, a far fuori anche il BUSCETTA al momento opportuno.

E difatti, riferisce BUSCETTA che il CALO' gli aveva parlato in termini assai critici di STEFANO BONTATE, che si comportava male col fratello GIOVANNI e che aveva stretto alleanza con quel "bambino" di SALVATORE INZERILLO; e si era espresso dispregiativamente anche nei confronti di ROSARIO RICCOBONO, da lui chiamato “il terrorista” per la propensione a commettere omicidi senza pensarci due volte. Aveva - insomma - cercato di mettere in cattiva luce coloro che, in seno alla "Commissione", non erano docili ai voleri dei corleonesi.

Il BUSCETTA, comunque, usando tutto il suo ascendente e memore dell'antica amicizia fra STEFANO BONTATE e CALO', era riuscito a convincere quest'ultimo ad incontrarsi col BONTATE e con SALVATORE INZERILLO.

Rientrato a Palermo, aveva contattato più volte STEFANO BONTATE e SALVATORE INZERILLO per tentare un componimento dei contrasti con CALO' e gli altri. Ma i due apparivano assai adirati: SALVATORE INZERILLO riaffermava le sue buone ragioni di uccidere GAETANO COSTA per protestare contro la decisione arbitraria di uccidere il Cap. BASILE e STEFANO BONTATE proclamava, lasciando esterrefatto BUSCETTA, che intendeva uccidere personalmente SALVATORE RIINA alla presenza degli altri membri della Commissione, essendo questa l'unica via per evitare di essere sopraffatto dai corleonesi, aggiungendo che aveva manifestato questa sua intenzione ad ANTONIO SALAMONE, il quale gli aveva promesso il suo appoggio, ma solo a cose fatte.

BUSCETTA si rendeva subito conto che BONTATE aveva sbagliato a fidarsi di un personaggio tanto enigmatico ed infido come il SALAMONE; ed invitava il suo capo a stare bene in guardia.

Per quanto riguardava PIPPO CALO', STEFANO BONTATE era convinto che fosse ormai completamente asservito ai corleonesi, al punto che, nelle sedute della "Commissione", quando questi ultimi esprimevano le loro opinioni, egli nemmeno parlava, ma si limitava ad annuire con cenni del capo.

Nonostante tutto, TOMMASO BUSCETTA riusciva a combinare un incontro tra BONTATE, INZERILLO e CALO'. L'incontro avveniva alle porte di Roma, nell'autogrill Pavesi sito nel tratto iniziale dell'Autostrada del Sole, dove i tre, apparentemente, raggiungevano un accordo, stabilendo di consultarsi prima di partecipare alle sedute della "Commissione".

La realizzazione di tale incontro, fermamente voluto dal BUSCETTA in un momento in cui si decideva il destino dei vertici di "Cosa Nostra", dà appieno la misura della carica carismatica di questo personaggio che certamente non era, come taluno vorrebbe sostenere, un vecchio rudere ormai superato dagli eventi, bensì un uomo "che contava".

Del resto, è stata la stessa mafia, col suo selvaggio accanimento e con la feroce persecuzione contro i familiari del BUSCETTA, a dimostrare, senza possibilità di equivoci, la statura mafiosa del personaggio e l'estremo interesse ad eliminarlo, o, comunque, a ridurlo alla impotenza a qualsiasi costo.

Lupara bianca per Giuseppe Panno

Nonostante le pressioni dei suoi amici, TOMMASO BUSCETTA partiva per il Brasile nei primi giorni del gennaio 1981, nauseato, per sua stessa affermazione, di quanto stava accadendo.

Le sue conoscenze degli eventi successivi al gennaio 1981, pertanto, sono solo indirette; soccorrono, peraltro, quelle di SALVATORE CONTORNO, che sono ampiamente riscontrate.

Il 1981 segna l'inizio di un aperto scontro armato interno alla mafia.

Già il 13.8.1980 ERIC CHARLIER, un trafficante di stupefacenti di cui si è parlato più volte, essendosi incontrato a Palermo (per la consegna di danaro proveniente da detto traffico) con FRANCESCO MAFARA, aveva ricevuto da quest'ultimo (essendo egli implicato anche nel commercio delle armi) una richiesta per la fornitura di armi, cannocchiali per fucili di precisione, dispositivi per la visione notturna, giubbotti antiproiettile ed altro. Il MAFARA aveva motivato la richiesta asserendo di prevedere come imminente uno scontro armato fra opposte fazioni mafiose.

E così l'11 marzo 1981, scompariva, vittima della "lupara bianca", GIUSEPPE PANNO, vecchio "capo-famiglia" di Casteldaccia e la sua soppressione, quali che ne fossero i reali motivi, contribuiva ulteriormente ad indebolire la posizione del BONTATE, poiché il PANNO era uno dei pochi mafiosi di prestigio dotati di buon senso.

Testi tratti dall'ordinanza del maxi processo

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