Nei mesi estivi c’è chi deve studiare per recuperare e chi può fare altre esperienze. A far parte della prima categoria sono soprattutto gli studenti che provengono da un contesto socio economico svantaggiato. Come garantire un’estate che sia un’esperienza di arricchimento e di crescita per tutti?
Con uno studio iniziato nel 1982 e durato oltre 20 anni due ricercatori di Baltimora hanno dimostrato che il momento in cui gli studenti e le studentesse in difficoltà rimangono più indietro rispetto a quelli considerati “bravi” non è tra i banchi di scuola durante le lezioni, ma a casa nel proprio quartiere, in particolare a casa durante i mesi estivi.
Doris R. Entwisle, Karl L. Alexander e Linda Steffel Olson hanno elaborato quella che oggi si chiama comunemente la teoria del rubinetto, ovvero quel fenomeno per cui le risorse educative sono aperte in modo diverso a seconda dello status socio economico delle famiglie. Da qualche anno, in particolare dopo la chiusura delle scuole dovuta alla pandemia, anche in Italia abbiamo iniziato a parlare di quanto tre mesi di pausa estiva possono avere esiti diversi per gli studenti e le studentesse. E le poche ricerche fatte finora, confermano il fenomeno.
Per un dodicenne italiano di classe media che vive in un quartiere culturalmente attivo di una città ricca e che ha dei genitori che hanno avuto un percorso scolastico che li ha portati alla laurea, è facile che le pause estive diventino momento di ulteriori apprendimenti: viaggi, esperienze culturali, soggiorni estivi, corsi di recupero a pagamento se servono, visite a musei e altri eventi culturali. Il rubinetto in sostanza resta aperto e permette di continuare ad imparare. Per un dodicenne che invece vive in un quartiere periferico di una città più povera e che magari vive in una famiglia con un contesto socio economico capace di offrire meno esperienze culturali allineate a quelle scolastiche, di fatto è come se il rubinetto si chiudesse.
Quello che i ricercatori sostengono è che la scuola non riesca a invertire questa tendenza, ma anzi, con i voti e le bocciature in qualche modo è come se la validasse trasformando il privilegio del dodicenne di classe media in merito o talento.
Dove si forma la disuguaglianza
La cosa interessante dello studio di Baltimora è che sembra provare non soltanto che contesti socio economici diversi portano a risultati diversi ma che in realtà un fatto determinante in tutto questo lo gioca il modo in cui la scuola si posiziona rispetto alla consapevolezza che le estati non sono uguali per tutti. Infatti i bambini e le bambine delle venti scuole di Baltimora hanno dimostrato, indipendentemente dalla classe sociale, la stessa velocità negli apprendimenti.
Gli studiosi nella loro ricerca, valutando i progressi, hanno registrato una capacità di apprendimento spesso equivalente tra bambini di classi sociali diverse. Quello che cambia è ovviamente il risultato finale per due fattori: il punto di partenza non uguale per tutti; e il rubinetto delle opportunità di apprendimento che per qualcuno sempre aperto e per altri invece no.
Su questo, una valutazione scolastica come quella italiana che invece di concentrarsi sul progresso valuta il risultato e che spesso attribuisce anche voti umilianti, ha come risultato quello di indebolire sia gli studenti che le loro famiglie, stringendo il legame tra povertà e deficit di apprendimento.
La scuola oggi cerca di rispondere al problema del rubinetto chiuso con corsi di recupero estivi o esami di riparazione per chi è già rimasto indietro e che finiscono spesso per essere vissuti dalle famiglie e dagli studenti come un fallimento, quasi come una punizione per un risultato non raggiunto.
Se non hai prodotto abbastanza durante l’anno devi rimediare mentre i tuoi compagni possono usare l’estate in altro modo. Inutile ricordare che gli studenti che più vengono fermati sono quelli che hanno un contesto socio economico svantaggiato. Allora ha senso avere un servizio pubblico stagionale, quello della scuola, che stacca la spina e lascia ragazze e ragazzi per tre mesi nelle mani delle famiglie e dei loro portafogli?
La ricerca educativa prova che l’apprendimento è multifattoriale, che non tutto si gioca nelle ore in classe di apprendimento formale e che gli studenti che ottengono risultati migliori sono quelli che hanno una vita extrascolastica più ricca, che partecipano a programmi estivi di apprendimento informali come gite, sport, esperienze di aggregazione e viaggi. Il dibattito sul calendario estivo della scuola non dovrebbe essere un dibattito che riguarda solo tematiche come il clima o il lavoro, dovrebbe contenerle certo ma in una cornice più ampia di senso, che parta da una domanda fortemente politica, che interroga la comunità intera e non solo la scuola: come garantire un’estate che sia un’esperienza di arricchimento e di crescita per tutti?
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