Comincia l’estate per milioni di studenti in Italia: l’hanno aspettata con trepidazione, seduti sui banchi, le ultime verifiche, le ultime interrogazioni, prima di potersi slanciare verso le vacanze. Questi ultimi giorni di scuola sono però segnati sempre più spesso da temperature calde, che rendono faticosi lo studio e la permanenza nelle aule. In un mondo che si surriscalda sempre di più, la temperatura non è un fattore secondario quando si parla di scuola: è dimostrato che il caldo influisce negativamente sulla qualità dell’apprendimento.

Per esempio, secondo una ricerca pubblicata dal National Bureau of Economic Research negli Stati Uniti per ogni aumento di grado centigrado di temperatura si registra una riduzione del 2% nell’apprendimento nel corso di un anno scolastico. Tradotto nel contesto italiano: se prendiamo per esempio Modena, che secondo l’Istat nel 2022 ha registrato un aumento di 3,4 gradi rispetto al periodo 2006-2015, questo vuol dire che se prima uno studente prendeva 8 in pagella l’effetto del solo aumento della temperatura ha ridotto a 7,5 il suo voto.

I numeri

Le scuole italiane da questo punto di vista sono scarsamente attrezzate. Il think-tank Tortuga ha analizzato i dati forniti dal ministero dell’Istruzione ed è emerso che solo il 10% degli edifici scolastici è dotato di un sistema di aria condizionata. Questo vuol dire che 3 milioni e mezzo di studenti affrontano il caldo degli ultimi giorni di scuola potendo al massimo spalancare le finestre e sperare che entri un po’ di aria fresca. La mancanza di aria condizionata è particolarmente rilevante negli edifici meno recenti: la percentuale, infatti, sale al 15% negli edifici costruiti negli ultimi 30 anni, e scende all’8% per quelli costruiti prima. Molto forte è la variabilità geografica (anche se i dati del ministero risultano più lacunosi da questo punto di vista): si passa da regioni come l’Umbria e la Basilicata, dove meno del 5% degli edifici è dotato di aria condizionata, alla Sardegna e alle Marche, dove si toccano percentuali rispettivamente del 22% e 28%.

Investire in aria condizionata

Cosa fare di fronte a questi dati? In Germania, paese certamente meno assolato del nostro, la risposta è contenuta in una parola densa di significato: “Hitzefrei”, che tradotta letteralmente vuol dire “vacanza per il gran caldo”. In caso di temperature troppo alte (solitamente sopra i 25/27 gradi) all’interno dell’edificio scolastico, il preside può mandare tutti a casa. Alla luce del clima italiano, questa soluzione sarebbe alquanto drastica. La risposta sta invece in un maggiore investimento in edilizia scolastica, troppo spesso dimenticata dai nostri politici. Tra Pnrr e Superbonus, infatti, i soldi mobilitati per gli investimenti in infrastrutture raramente sono andati alle aule degli studenti italiani. Secondo le stime del think-tank Tortuga, considerando una spesa al metro quadrato di circa 150 euro, il denaro necessario per raddoppiare il numero di edifici scolastici con aria condizionata sarebbe di 2,2 miliardi di euro. Tuttavia, data l’elevata variabilità del territorio italiano, non tutti gli edifici ne avrebbero urgentemente bisogno (pensiamo a tutto il territorio montano). Una oculata strategia di investimento potrebbe focalizzarsi su quei comuni con temperature particolarmente elevate. Per esempio, concentrandosi dove la temperatura media nel mese di giugno ha superato i 26 gradi negli ultimi 3 anni, la spesa per coprire tutte le scuole sarebbe di 1,3 miliardi. Valori simili sono alla portata del bilancio dello Stato: si tratta di meno dell’1% di quanto speso per i vari bonus edilizi.

Allungare la scuola

Colmare il “divario del fresco” vorrebbe dire avere edifici scolastici fruibili anche durante i mesi estivi. Tutti gli uffici pubblici sono aperti nel mese di giugno: non si capisce perché non dovrebbero esserlo anche le scuole. Questo consentirebbe di estendere le lezioni fino a fine giugno e riprenderle con l’arrivo di settembre. I benefici per gli studenti italiani sarebbero enormi: si potrebbero recuperare più giorni di vacanza durante l’anno, garantendo un ritmo di studio meno forsennato e più tempo con le famiglie.

Secondo: si garantirebbe un luogo educativo a tutte le ragazze e i ragazzi i cui genitori non possono permettersi un centro estivo o non hanno nonni a cui affidarsi. Terzo, e più importante: è stato dimostrato che le vacanze troppo lunghe danneggiano l’apprendimento degli alunni. Ad oggi l’Italia è il paese europeo con la pausa estiva più lunga (dopo la Bulgaria): ben 14 settimane, contro le 12 della Spagna, l’8 della Francia e le 7 della Germania. Ridurre da tre a due mesi sarebbe una mossa dalla parte degli studenti e delle loro famiglie. Il ministro Valditara è disposto a prendere posizione?

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