L’istruzione salva i Paesi e la democrazia. Perché le scuole non sono solo classi da riempire ma presidi di coesione sociale e legalità, capaci anche di contrastare la spopolamento. Fenomeno che caratterizza l’Italia degli ultimi decenni e che ancora di più affliggerà le aree interne del Paese i prossimi anni a causa del basso tasso di natalità e dei flussi migratori verso il Centro-Nord, come ha sottolineato anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti alla commissione d’inchiesta alla Camera sulla transizione demografica.

Prendere coscienza del cambiamento e affrontarlo, però, non significa strutturare politiche basate sui dati con l’obiettivo di risparmiare, «ma studiare modelli di servizi che si adattano ai differenti territori, utilizzando le migliori intelligenze che abbiamo, soprattutto quando si parla di scuola». A dirlo è Marco Bussone, presidente nazionale di Uncem, l’Unione nazionale comuni, comunità e enti montani presente in ogni regione da oltre 60 anni. Uncem da tempo cerca un dialogo con il ministero per costruire un modello di scuola «che non si basi sulle deroghe delle deroghe per rispondere alla costante diminuzione del numero degli alunni per classe e che neppure punti alla chiusura immotivata dei plessi. Ma che renda attrattivi gli istituti, posizionati in luoghi che rispondono alle necessità di ogni comunità».

Come chiarisce Bussone non si tratterebbe «di salvare per forza tutto» e neppure di «accanimento terapeutico. Chiediamo di passare dalle buone pratiche alle politiche necessarie a salvare il sistema scolastico nel complesso. Perché i problemi delle aree interne riguardano tutto il Paese e se lo Stato centrale si allontana dai territori a indebolirsi è la democrazia», dice il presidente, convinto che il piano di dimensionamento scolastico approvato dal ministro Giuseppe Valditara nel 2023, con l’obiettivo di risparmiare 10 milioni l’anno grazie alla denatalità, prosieguo di un processo avviato già anni prima dall’ex ministra Mariastella Gelmini, non sia uno strumento efficace per affrontare il calo degli iscritti.

Secondo il programma attuale, infatti, la scelta di come e dove tagliare le scuole è delle Regioni che ogni anno definiscono le soppressioni o gli accorpamenti, sulla base di un numero medio di alunni per ogni istituzione scolastica di 950, fatte salve deroghe e eccezioni. «Mentre per permettere alla scuola di sopravvivere, in particolare nei piccoli comuni, è necessario andare oltre i numeri. E pensare a modelli alternativi», dice Bussone prima di fare alcuni esempi di scuole attrattive che resistono: «Quelle che organizzano corsi di pre e dopo scuola, progetti per approfondire l’inglese o lezioni di musica. O quelle che, come succede in alcuni comuni del Piemonte, grazie al sostegno dell’amministrazione locale possono permettersi di pagare gli insegnanti anche per pochi allievi».

La sentenza del Consiglio di Stato

Per questo, secondo Uncem, la sentenza del Consiglio di Stato di qualche giorno fa è stata una vittoria. Non solo in quanto, respingendo il ricorso del ministero, dell’Ufficio scolastico e della Regione Molise, ha confermato la validità del pronunciamento con cui il Tar aveva dato ragione a otto Comuni molisani e alla madre di un alunno dell’Istituto comprensivo Dante Alighieri che si sono impegnati per evitare la chiusura dell’istituto a causa del piano di dimensionamento scolastico. Ma anche perché il pronunciamento ha dimostrato che non si possono tagliare le scuole senza aver prima un piano alternativo.

Secondo il Consiglio di Stato infatti, le scuole montane possono chiudere solo in casi eccezionali. Nel senso che, come hanno specificato i giudici, non è che il piano di dimensionamento non può incidere anche nei Comuni delle aree montane ma deve essere fatta una valutazione specifica, più approfondita, mancata nel caso dell’Ic Alighieri. Proprio perché, come aveva già ribadito la ricercatrice Indire Laura Parigi su Domani l’anno scorso, l’erosione della rete scolastica nei piccoli e medi centri urbani accelera lo spopolamento di territori già marginalizzati. Così per Uncem, il pronunciamento del Consiglio di Stato ha il merito di portare all’attenzione un problema: «Che dobbiamo risolvere. Rinnoviamo l’appello al ministero per lavorare insieme alla costruzione di un modello di scuola che funzioni, tenendo conto anche del calo demografico», dice il presidente.

A pensare che la sentenza sia destinata a avere un seguito perché conferma una serie di criticità nell’applicazione del dimensionamento c’è anche Monica Fontana, dirigente scolastica, del centro nazionale Flc Cgil che sottolinea: «Le scuole, luoghi di sviluppo dei territori e presidi di cultura e legalità, al contrario della logica dei tagli prevista dal dimensionamento, devono essere considerate con attenzione. Non si può dire che la formazione è una leva strategica del cambiamento senza reali investimenti».

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