Prosegue la pubblicazione del “Diario di bordo” dalla Sea Watch 4, la nave dell’omonima Ong tedesca che presta soccorso ai migranti. Per leggere tutte le puntate, a mano a mano che saranno pubblicate, si può tenere d’occhio questa pagina.

La situazione in cui ci troviamo non è per nulla normale. Le persone cercano ogni giorno di attraversare il mare per raggiungere l’Europa e noi siamo bloccati qui a Palermo per ragioni politiche. Io sono a bordo da quando Sea-Watch 4 è partita in missione ad agosto e mi occupo ormai soltanto di manutenzione. Ogni mattina il nostromo mi assegna dei compiti, come pulire, scrostare la ruggine, ridipingere.

Durante le operazioni, invece, svolgevo delle funzioni ben differenti: stavo di guardia per avvistare imbarcazioni in difficoltà, partecipavo al soccorso dei naufraghi, li aiutavo a salire sulla nave dal Rhib attraverso la scaletta, preparavo il cibo per le persone soccorse che ospitavamo a bordo.

Faccio il marinaio da sette anni e vengo dalla Romania. Non è la mia prima volta su una nave di ricerca e soccorso. Prima di Sea-Watch ho lavorato sulla nave umanitaria di un’altra Ong. Adesso sono quasi tutte ferme e lo trovo inaccettabile. Se fossimo solo noi a essere bloccati, almeno mi consolerebbe pensare che in mare ci sono altre navi pronte a soccorrere le persone, che invece continuano a morire.

Nella mia famiglia non sono l’unico a pensarla così. Anche mio fratello lavora sulla nave SAR di una Ong, nel team dei soccorritori. Anche loro sono stati colpiti da un fermo amministrativo e sono rimasti fermi ad Augusta per mesi, fino a qualche giorno fa, quando li hanno finalmente liberati. Mio fratello ha iniziato prima di me a fare il soccorritore. Lo era già quando io decisi di seguire il suo esempio. Allora facevo il mozzo in una nave commerciale italiana. Stavamo navigando lungo le coste dell’Arabia Saudita quando scoprimmo un ragazzo nascosto sotto coperta. Si era imbarcato clandestinamente.

Il capitano diede ordine di assegnargli una cabina, dove sarebbe rimasto per tutto il viaggio, e mi incaricò di occuparmi di lui. Si chiamava Zadi e quando gli portavo da mangiare mi fermavo sempre a parlarci. La sua storia era molto triste e mi fece venire voglia di impegnarmi per dare una mano a chi è costretto a fuggire per mare.

Per questo stare fermo in porto, adesso, mi fa star male. Resterò sulla Sea-Watch 4 almeno fino a marzo ma spero che possiamo partire prima in missione, e in quel caso, mi potrò trattenere anche oltre. Intanto sto stringendo nuove amicizie e la presenza degli altri mi tira su di morale. Un’altra cosa che fa bene al mio umore sono i piatti che prepara la nostra cuoca, Elena. È eccezionale, la migliore che abbia mai conosciuto!

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