Dal 7 agosto a uno degli aerei della Ong tedesca è stato imposto il fermo amministrativo sulla base di una norma del decreto flussi: il pilota non avrebbe segnalato tempestivamente un’emergenza alle autorità. Gli attivisti smentiscono ma il ricorso è complicato dal periodo in cui è avvenuta la contestazione. Intanto la nave Sea-Watch 5 ha soccorso 66 persone, tra cui una donna in travaglio. Aveva bisogno di un cesareo urgente, solo dopo 4 ore si è alzato un elicottero da Lampedusa
«Insieme ai nostri avvocati ci siamo attivati per impugnare l’ordine di detenzione. Il primo passo necessario è stato chiedere un accesso agli atti, visto che nell’ordinanza si fa riferimento a un rapporto della Guardia Costiera non pubblico. Purtroppo, essendo pieno agosto e avendo solo venti giorni per richiedere la sospensiva del fermo, il ricorso non verrà giudicato dalle sezioni specializzate solitamente preposte a questo tipo di controversia, ma da un giudice feriale, cioè un magistrato “di turno” designato per il mese di agosto. Questo complica tutto e non possiamo non pensare che la tempistica non sia stata casuale per rallentare il nostro ricorso, proprio nel periodo di massimo afflusso di persone migranti in Mediterraneo».
È la versione di Sea-Watch, che racconta a Domani le difficoltà processuali aperte dal fermo amministrativo imposto il 7 agosto al Seabird 1, uno degli aerei con cui la Ong tedesca monitora il Mediterraneo centrale. Un blocco di venti giorni deciso dall’Enac in applicazione del decreto flussi 145/2024, norma approvata lo scorso autunno che estende agli aeromobili il regime sanzionatorio già previsto per le navi delle Ong.
Il provvedimento riguarda un’operazione del 30 giugno. Secondo l’accusa, il pilota del Seabird 1 avrebbe segnalato un’emergenza in mare con diciotto minuti di ritardo rispetto all’avvistamento, violando l’obbligo di comunicazione «immediata e prioritaria» introdotto dal decreto. Per Sea-Watch, invece, la segnalazione è avvenuta nei tempi e nelle modalità operative consolidate da anni: si punisce non un ritardo sostanziale ma il mancato allineamento a un formalismo usato per fermare il mezzo.
Un occhio in meno
L’elemento nuovo è la cornice procedurale. Il ricorso dovrà essere discusso davanti a un giudice feriale, non alle sezioni specializzate del Tar che trattano normalmente questi casi. Una differenza che, spiegano i legali, incide sull’esperienza del magistrato chiamato a pronunciarsi e riduce le possibilità di una valutazione approfondita nel poco tempo a disposizione.
Il sospetto di Sea-Watch è che la scelta di notificare il fermo in pieno agosto non sia casuale: il periodo è quello di maggiore attività per i trafficanti e di conseguente aumento delle partenze dalle coste nordafricane, e bloccare uno degli aerei significa ridurre la capacità di monitoraggio proprio quando il Mediterraneo centrale è più affollato. A rendere ancora più evidente il legame tra il lavoro degli aerei e la tutela delle vite in mare, basti pensare che il fermo del Seabird 1 è arrivato appena una settimana dopo una missione in cui l’equipaggio aveva documentato l’inerzia delle autorità italiane in un caso in cui due bambini hanno perso la vita. Episodi così dimostrano come la presenza di osservatori indipendenti possa costringere le autorità a rispondere di omissioni che altrimenti resterebbero sepolte nei registri interni.
Il controllo del mare
Il Seabird 1 è un bimotore Beechcraft Bonanza B58 Baron utilizzato per individuare e documentare imbarcazioni in difficoltà, omissioni di soccorso e respingimenti illegali. Non effettua salvataggi diretti, ma attiva la catena dei soccorsi fornendo alle autorità le coordinate precise degli avvistamenti. Nel 2024 i velivoli di Sea-Watch hanno segnalato 221 imbarcazioni, per un totale di 10.929 persone.
In attesa dell’udienza Sea-Watch continua a volare con il Seabird 3, entrato in servizio proprio per garantire la continuità del monitoraggio in un contesto normativo ostile. Ma la norma prevede alla seconda “violazione” sessanta giorni di fermo, e alla terza la confisca definitiva. «Il coordinamento dei soccorsi è un dovere — ricordano dalla Ong — ma trasformarlo in pretesto per fermare chi documenta significa colpire il diritto di vedere e raccontare cosa accade in mare».
Per i legali, la partita giudiziaria non si gioca solo sulla ricostruzione dei fatti del 30 giugno ma anche sulla trasparenza dell’atto amministrativo: «Nell’ordinanza si cita un rapporto della Guardia Costiera che non è pubblico. L’accesso a quel documento è fondamentale per capire su quali basi si fondi il fermo. Senza, il diritto di difesa è compresso».
Emergenza a bordo
Intanto, in mare, si è consumato un altro caso che racconta l’urgenza di un monitoraggio indipendente. L’11 agosto, la nave Sea-Watch 5 ha soccorso 66 persone. Tra loro, una donna incinta è entrata in travaglio subito dopo essere salita a bordo. La presenza di una ginecologa ha permesso di assisterla ma le condizioni richiedevano un cesareo d’urgenza in ospedale. Italia e Malta si sono rimbalzando la responsabilità dello sbarco, tentando di coinvolgere la Tunisia. Per ore, madre e bambino hanno rischiato la vita. Solo dopo 4 ore è partito un elicottero da Lampedusa.
Per chi è abituato a vedere il mare come un confine da difendere e non come un luogo dove si salvano vite, queste ore non sono che un dato burocratico. «Dovrebbe aspettare così tanto se fosse una donna bianca e occidentale?», chiedono dalla Ong. La risposta, per chi vede queste scene ogni giorno, è già scritta nei ritardi che trasformano una missione di soccorso in un calvario amministrativo e diplomatico, con conseguenze che si misurano in vite umane, non in scadenze di protocollo..
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