Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla vicenda di Silvana Saguto, la giudice del Tribunale di Palermo che gestiva i beni sequestrati alla mafia finita al centro di un’indagine partita nel 2015 dalla procura di Caltanissetta. Nella condanna di primo grado i magistrati hanno accertato scambi di favori e di soldi tra la Saguto, avvocati e amministratori giudiziari.

Le risultanze delle verifiche dibattimentali - che verranno poi riprese nel dettaglio allorché si passerà all'esame delle singole contestazioni - hanno consentito di accertare come gli odierni imputati, avvalendosi delle rispettive qualifiche soggettive e dei ruoli istituzionali ricoperti nell'ambito di procedure di prevenzione e facendo perno sul sistema della gestione dei patrimoni in sequestro, abbiano posto in essere plurime condotte illecite, finalizzate, a vario titolo, allo scambio di utilità.

Ciò che in sintesi è emerso dalla pletora di fatti delittuosi contestati è il totale mercimonio della gestione dei beni sequestrati e l'approfittamento, a vari livelli, del ruolo istituzionale ricoperto, che ha portato alla commissione di una serie eterogenea di reati, posti in essere mediante una così grave distorsione - per tempi, modalità e protrazione delle condotte - delle funzioni giudiziarie da avere arrecato, oltre che danni patrimoniali ingentissimi all'erario ed alle amministrazioni giudiziarie, anche un discredito gravissimo all'amministrazione della giustizia, per di più in un settore delicatissimo, quale è quello della gestione dei beni sequestrati alla criminalità mafiosa.

La compiuta istruttoria dibattimentale ha consegnato un quadro di desolante strumentalizzazione della funzione giurisdizionale a favore di una gestione privatistica, caratterizzata da un intreccio di rapporti personali e di condotte fondate sul dato costante dell'assoluta marginalizzazione dell'interesse pubblico connesso alle funzioni giurisdizionali.

I fatti accertati in questo giudizio hanno dimostrato che la dott.ssa Saguto, considerando lo svolgimento del suo ruolo quale presupposto oggettivo per il conseguimento di utilità disparate, poteva contare sistematicamente sulla disponibilità di Cappellano Seminara prima e di Carmelo Provenzano poi, soggetti comprensibilmente inclini ad assecondarne le pretese, per conseguire vantaggi che non le sarebbero spettati.

Il caso di Walter Wirga

[…] Ritiene il Tribunale che la sussistenza della condotta induttiva di Silvana Saguto, sub specie di imposizione e di pressione morale su Walter Virga - il quale, se non avesse inserito Mariangela Pantò [fidanzata del figlio della Saguto, n.d.r.] nello studio legale Pro.de.a, assicurandole il coinvolgimento nelle attività professionali e l'uso di una stanza (senza la necessità di pagare un affitto o di partecipare altrimenti alle spese), non avrebbe ottenuto più incarichi di amministrazione giudiziaria per sé e per i propri colleghi - sia stata comprovata in giudizio, al di là di ogni ragionevole dubbio, proprio dalle affermazioni di Walter Virga, oggetto di captazione, che di seguito vengono nuovamente sottolineate [...] e sulla cui genuinità non vi è motivo di dubitare.

E' lo stesso Walter Virga, infatti, a commentare con Alessio Cordova che «così come [era] stata imposta» a loro dalla Saguto, cosi Mariangela Pantò sarebbe stata «imposta da qualche altra parte», utilizzando, quindi, delle parole che rendevano inconfutabile la circostanza che il coinvolgimento di Mariangela Pantò nel suo studio legale fosse stato determinato esclusivamente da un'imposizione della Saguto. Ed ancora, Virga aggiunge - così rendendo impossibile ogni diversa alternativa ricostruzione dei fatti - che «...mm è che lei è venuta da noi perché ci siamo trovati bene e le abbiamo affittato una stanza...».

Univoco significato va, altresì, attribuito ai commenti di Walter Virga, dapprima con Alessio Cordova e Marianne Sommatino e, in seguito, con Alessio Cordova e Dario Majuri, nella parte in cui lo stesso affermava che avere coinvolto Mariangela Pantò nello studio costituiva il "pizzo" che era stato "costretto a pagare" alla Saguto per potere lavorare, dato che, com'è noto, il "pizzo", sebbene Virga si esprimesse ovviamente con una metafora, è comunque ciò che si è costretti a concedere a seguito di una condotta costrittiva o quantomeno induttiva.

E' sempre Walter Virga, nel corso delle sue esternazioni, a legare la presenza di Mariangela all'interno dello studio alla figura della "suocera" Silvana Saguto quando affermava che avrebbe «mandato a fanculo a lei e alla suocera pure», o quando si sfogava dicendo che Mariangela gli «[stava] sulla minchia e appena la suocera se ne fosse andata, l'avrebbe presa a calci in culo», così legando la permanenza di Mariangela all'interno dello studio legale all'incarico di Presidente della sezione misure di prevenzione rivestito dalla Saguto.

Ed ancora, l'imposizione subita da Virga per ottenere incarichi dalla Saguto emerge chiaramente da altri dialoghi del Virga intercettati all'interno del suo studio legale, come quando egli affermava che avrebbero anche potuto «revocarlo domani», riferendosi al fatto che, se avesse rimproverato la Pantò per le sue mancanze, la Saguto avrebbe potuto risentirsi, sino a revocargli l'incarico di amministratore giudiziario o come quando dice alla moglie Giuliana Pipi di non avere buone notizie, dal momento che, per avere «trattato malissimo» Mariangela, rischiavano di restare «disoccupati», anche in questo caso riferendosi al fatto che avere «trattato malissimo» Mariangela avrebbe potuto indisporre la Saguto, che avrebbe potuto determinarsi a revocargli l'incarico o a non conferirgliene ulteriori.

D'altro canto, sono proprio le reazioni della Saguto, [...], ed i suoi propositi di non fare lavorare più Walter Virga in conseguenza della sua scelta di allontanare la Pantò a confermare l'ipotesi accusatoria secondo la quale il coinvolgimento di quest'ultima nello studio legale fosse stato il frutto di una imposizione, violata la quale venivano meno i presupposti per continuare la collaborazione con Walter Virga. L'attività tecnica di intercettazione e la deposizione testimoniale di Achille De Martino sopra richiamata hanno, infatti, permesso di accertare come la Saguto si sia ripromessa di «farla pagare» a Virga, nel senso che non avrebbe fatto più lavorare né lui né i suoi colleghi. Infine, è risultato dimostrato in giudizio, sempre sulla base delle conversazioni captate, come Walter Virga, pur disponendo di ampi margini decisori, abbia accettato di aderire alla richiesta della prestazione non dovuta nella prospettiva utilitaristica di perseguire un tornaconto personale, rappresentato dall'ottenimento di ulteriori incarichi di amministrazione giudiziaria per sé e per i propri colleghi, […].

E' sufficiente, al riguardo, ricordare le conversazioni durante le quali:

- Virga diceva al padre di avere speso mille euro per il pavimento della stanza di Mariangela Pantò nello studio di via Principe di Belmonte e, ridendo, gli diceva che però «era importante farlo», lasciando intendere che compiacere la ragazza avrebbe avuto un riverbero positivo sulla Saguto;

- Virga commentava con Cordova di non avere mai «stretto alcun tipo di rapporto» con la ragazza, «se non quello utilitaristico»;

- Virga si interrogava con Cordova e con la Sommatino sul perché Mariangela non si fosse mai chiesta il motivo per cui non avesse mai pagato l'affitto della stanza o le spese dello studio («...quindi questo lei non lo arriva a capire, è più forte ... poi indubbiamente, dal suo punto di vista, mi rendo conio che lei paga colpe non sue, da un altro punto di vista però, se noi la dobbiamo dire tutta è una persona non si chiede come sia possibile che qualcun altro se la mette in studio, l'assume, fa delle spese, gli dà del lavoro, gli gira dei soldi, e .... perché? Non li chiedi perché? Perché io penso che per nessun amico lo si farebbe ...»).

In conclusione, dunque, deve ritenersi provato che Walter Virga, nell'ambito di una dinamica intersoggettiva (sia pure asimmetrica, perché caratterizzata dalla posizione dominante della Saguto) di natura sostanzialmente negoziale, si sia determinato a coinvolgere Mariangela Puntò nell'attività professionale dello studio e nel metterle a disposizione una stanza dello studio senza furia contribuire alle spese solo in quanto indotto a farlo dalla Saguto e nella prospettiva di trarre un indebito vantaggio per sé.

Del resto, a ben vedere, la condotta dei due imputati delineata dalle conversazioni intercettate si inquadra perfettamente nel contesto più generale già descritto all'inizio di questa parte di motivazione.

Non sorprende, infatti, l'atteggiamento della Saguto, volto, anche in questa occasione, ad abusare della sua posizione di forza e di preminenza e ad approfittare della situazione di inferiorità psicologica nei suoi confronti di Walter Virga, il quale, pure essendo figlio di Tommaso Virga, era comunque per la Saguto «un ragazzino da niente», che aveva ricevuto un incarico (l'amministrazione giudiziaria Rappa) assolutamente al di sopra delle sue potenzialità professionali.

E, peraltro, proprio la presenza di Tommaso Virga alle spalle di Walter giustifica come quest'ultimo, seppure indotto dalla Saguto a coinvolgere nello studio la Pantò, poi, una volta divenuto per lui insopportabile il peso dell'esposizione mediatica, abbia comunque trovato la forza per determinarsi ad allontanare dal suo studio la Pantò.

Le “pressioni” e i vantaggi da conseguire

D'altra parte, appare del tutto coerente - dal suo punto di vista – anche l'atteggiamento di Walter Virga, il quale, pur di fronte ad una pressione non irresistibile, ha accettato di aderire alla richiesta di prestazione non dovuta non perché coartato e vittima del malus nella sua espressione più forte, ma perché, pienamente consapevole di dover essere riconoscente per gli incarichi ricevuti, si è lasciato convincere nella prospettiva di trarre un indebito vantaggio per sé, salvo poi pentirsi successivamente di avere "risolto" il problema alla Saguto («l'errore strategico» [...]),

Le condotte dei due imputati sono state, quindi, correttamente assunte nella fattispecie di cui all'art.319 quater c.p. Non colgono nel segno, viceversa, le difese degli imputati, le cui argomentazioni non appaiono idonee a scalfire il quadro probatorio delineato, né ad incidere sull'inquadramento giuridico della fattispecie. […].

Ed invero, la tesi accusatoria, che ha trovato riscontro in dibattimento, non è quella secondo cui Virga ha ottenuto gli incarichi perché ha accolto la Pantò nel suo studio, ma quella secondo cui, dopo il conferimento degli incarichi di amministratore giudiziario, la Saguto ha indotto, mediante pressioni morali, Virga a coinvolgere la Pantò nella sua attività professionale e Virga si è determinato ad aderire alla richiesta nella prospettiva di un tornaconto personale, sicchè non vi è chi non veda come sia del tutto ininfluente il momento storico e l'occasione della conoscenza tra Walter Virga e Mariangela Pantò.

[…] La data del commesso delitto, così come correttamente individuato nel capo di imputazione, va collocata nel periodo che va dalla fine del 2013, data dell'inserimento di Mariangela Puntò nello studio legale Virga (come risulta dalle dichiarazioni di Filippo Lo Franco) al 5 giugno 2015 (data dell'allontanamento della Pantò dallo studio), ovvero nel periodo intermedio tra la prima e la seconda nomina ad amministratore giudiziario di Walter Virga. Le utilità prestate da quest'ultimo (e consistite nel coinvolgimento retribuito nelle attività dello studio e nella messa a disposizione di una stanza nello studio, seppure in via non esclusiva, senza contribuzione alle spese) assumono carattere continuativo, ma il reato non può considerarsi continuato, trattandosi piuttosto di una ipotesi di reato a consumazione prolungata, in cui le esecuzioni delle dazioni di utilità indebita alla Saguto sono tutte riconducibili all'unica condotta di induzione posta in essere da quest'ultima. […].

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