Pochi giorni fa sono stata a Istanbul per presentare il mio romanzo uscito in Turchia. A fine presentazione, quando si è passati alle domande dal pubblico, una ragazza ha preso parola e ha fatto un lungo monologo accorato. La mia interprete mi ha riassunto la faccenda così: «Ha detto che aveva un’amica, poi si sono perse di vista». L’ho guardata perplessa, considerando che c’era stato almeno un altro quarto d’ora di appassionata riflessione intorno al concetto, ma fare l’interprete mi è sempre parso uno dei lavori più faticosi e allucinanti del mondo, e mai avrei voluto costringerla a sforzarsi oltre le sue possibilità, eppure lo stesso ho insinuato un timidissimo: «E quindi…?»

Lei, serafica, mi ha risposto: «Niente, te lo voleva dire». Era l’ultima domanda della presentazione, cioè l’ultima non-domanda, ho cercato con lo sguardo la ragazza che aveva tenuto il suo lungo e struggente monologo in turco, lei ha capito, io ho fatto spallucce, come a dire: “scusa, non dipende da me”, poi ho provato ad azzardare una risposta impossibile, ma l’interprete ha guardato il suo orologino e ha dichiarato: «Finito». Tutti a casa.

Ho rincontrata la ragazza a cena dopo l’evento e ci siamo sedute vicine. Le era dispiaciuto che durante la presentazione si fosse parlato così tanto di madri e di famiglia, e per nulla di amicizia. Ero d’accordo con lei, benché fossi piuttosto abituata alla cosa. Poi mi ha ripetuto in inglese quello che l’interprete non mi aveva tradotto. Il mio libro le aveva fatto venire voglia di scrivere, era qualcosa a cui pensava da tempo: voleva scrivere di una sua amica. Mi ha raccontato di lei, e poi ha aggiunto: «Now she is gone».

«Gone like…»

«Dead».

Forse l’interprete aveva deciso di preservarmi da quell’epilogo crudele.

Un atto d’amore

Proprio in quei giorni stavo leggendo Le inseparabili, il romanzo di Simone de Beauvoir pubblicato per la prima volta nel 2020 (era stata una decisione dell’autrice non darlo alle stampe). Il libro è un atto d’amore verso Zaza, amica «inseparabile» fin dall’infanzia. Zaza (nel romanzo Andrée) rappresenta per de Beauvoir un incontro centrale nella sua vita emotiva e intellettuale: è stato grazie a lei e attraverso di lei che ha imparato a desiderare, secondo quel meccanismo mimetico che spesso l’amicizia comporta. Zaza era l’incarnazione di ciò che Simone avrebbe voluto essere, e al tempo stesso era l’oggetto della sua devozione.

La morte prematura di Zaza, a 21 anni, ha innescato le riflessioni che confluiranno nel pensiero femminista di de Beauvoir: quanto i condizionamenti sociali determinano ciò che siamo? Quanto determinano persino la nostra morte? Zaza è morta per un’encefalite virale, eppure su un piano simbolico per de Beauvoir è stata annientata da un sistema di valori borghesi e conformisti che ne hanno distrutto l’esistenza. Gli stessi valori che entrambe avevano osteggiato e irriso nelle loro lunghe chiacchierate sul mondo.

In Memorie di una ragazza per bene, de Beauvoir scrive: «Insieme avevamo lottato contro il destino melmoso che ci aspettava al varco, e per molto tempo ho pensato che avevo pagato la mia libertà con la sua morte». Ritorna spesso su questo punto, la morte dell’amica è stato il prezzo da pagare per diventare la Simone de Beauvoir che tutti conosciamo.

La fine più dolorosa

La ragazza turca mi ha detto di aver incontrato la sua amica alcuni mesi prima che morisse. Era stato un incontro triste. Si erano viste insieme ai rispettivi compagni, e lei aveva percepito un senso di formalità, una sottile delusione che lì per lì non aveva voluto approfondire. Aveva additato quella sensazione alla presenza dei loro compagni, le uscite a quattro a volte giocano brutti scherzi, si entra in un territorio nuovo con regole ancora da imparare. Da allora non si erano più sentite, senza un vero motivo, se non quella sensazione faticosa di una distanza. Ma la distanza era cominciata già da prima.

Penso a Le inseparabili, e mi chiedo se sopravvivere alla fine inspiegabile di un’amicizia non sia più difficile che sopravvivere alla morte di un’amica. Mi rendo conto che è una domanda scandalosa, ma non posso fare a meno di pormela. Zaza era una ragazza brillante, appassionata, sovversiva; in un momento del libro si accenna al fatto che avrebbe desiderato scrivere. In fondo al volume, edito da Ponte alle Grazie, c’è un piccolo allegato con le lettere che Simone e Zaza si sono spedite negli anni.

Le lettere di Zaza sono bellissime. Nelle Memorie, de Beauvoir commenta quanto persino suo padre apprezzasse quelle lettere (fa sorridere pensare che cercasse dal padre l’approvazione sulle proprie amicizie violando la privacy di una corrispondenza). Cosa sarebbe successo se Zaza non fosse morta? La venerazione che abbiamo verso le amiche nei nostri anni infantili e nei nostri anni giovanili può trasformarsi in un sentimento molto diverso quando cresciamo. Il mondo adulto ha una spietatezza intrinseca, a prescindere dai valori borghesi e conformisti contro i quali possiamo lottare. «Il destino melmoso» ha tante maschere. Sopravvivere alla fine di un’amicizia significa sopravvivere a una morte in assenza di lutto.

Le amicizie cambiano nel tempo, e a volte la distanza si insinua per una fallimentare uscita a quattro, per una noia inaspettata, per la paura di vedere nell’altra i nostri stessi compromessi, la resa, oppure per non riconoscere più quello di cui ci eravamo innamorate. O ancora: per invidia. Non sappiamo cosa sarebbe diventata Zaza se non fosse morta. Avrebbe ceduto al conformismo della sua famiglia, si sarebbe trasformata nel suo nemico di gioventù: una borghese bigotta che Simone avrebbe finito per disprezzare? O sarebbe diventata una donna libera e una grande scrittrice che Simone avrebbe continuato ad amare e stimare?

Ma la domanda più subdola è questa: sarebbe entrata in competizione con lei? Confesso che ho letto Le inseparabili tutto il tempo con questo dubbio in testa, immaginando un libro che non esiste, e che forse non sarebbe mai potuto esistere con lo stesso sentimento di pura devozione. La morte di Zaza è stata il prezzo da pagare per la propria libertà, ma può esserci un altro prezzo da pagare: conoscere il dolore inconfessabile di non sentirsi più le amiche che siamo state.


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