Nessun tennista azzurro aveva mai vinto il titolo nel torneo dello Slam più antico al mondo. Jannik ha dimostrato di aver imparato dai suoi errori e dalla sconfitta subita un mese fa al Roland-Garros dallo stesso avversario battuto sull’erba, lo spagnolo Carlos Alcaraz. Così ora è possibile immaginare per entrambi un futuro all’altezza del passato dei grandissimi di questo sport
Ah, felicità, non ti fermi mai, cantava Lucio Dalla. Stavolta ti sei fermata, felicità e sul Centrale di Wimbledon, il campo da tennis più bello, più famoso e più importante del mondo, l’unico dove nel bel mezzo del match può arrivare in campo il tappo di una bottiglia di champagne, come è successo. Vogliamoci tanto bene, direbbe un celebre telecronista perché l’italiano Jannik Sinner ha vinto Wimbledon battendo Alcaraz per 4-6 6-4 6-4 6-4, primo italiano di sempre a riuscirci.
Ha consegnato al nostro paese un trionfo sportivo che solo pochi anni fa sarebbe sembrata fantascienza e manco di livello. JS raccoglie l’eredità di più di un secolo di storia tennistica italiana formata da tecnici e giocatori come Nicola Pietrangeli, Adriano Panatta, Matteo Berrettini che ci è arrivato ad un soffio, e ha conquista un successo che già oggi entra nella Storia.
Quella che stavolta ha dato ragione a Sinner, alla nazione che gli ha dato i natali e a tutti gli appassionati che si sono rintanati in casa alle cinque della sera come in un tempo che oggi appare tristemente lontano succedeva solo per le partite della Nazionale di calcio. Sarebbe stato bellissimo se due come Gianni Clerici e Rino Tommasi, che hanno inventato un linguaggio di racconto sportivo irripetibile, avessero potuto gioire per un successo del genere. Avrebbero trovato, come erano soliti fare, il punto di contatto fra la statistica e la passione, i numeri e le parole per consegnare a tutti il senso di un successo sportivo unico.
Oggi Sinner è un catamarano italiano che vince la Coppa America di vela, è una nazionale azzurra che sconfigge gli All Blacks ai mondiali di rugby, è un golfista italiano che vince ad Agusta. È un fenomeno unico che forse non sappiamo nemmeno bene come sia arrivato dalle nostra parti: per vent’anni ci siamo stracciati le vesti pensando che Roger Federer era nato poco più di 100 chilometri a nord dei nostri confini: stavolta ci è andata bene perché il fenomeno è nato pochi metri prima di quel confine. Questo è il momento della gioia pura e a questo punto è doveroso iniziare a riflettere su un concetto che abbiamo dato per scontato per un sacco di tempo: che nessuno sarebbe mai più riuscito a vincere un numero di titoli Slam come i Fab Three, che nessun tennista sarebbe mai più riuscito a sfiorare i 24 majors vinti di Djokovic. Ci dobbiamo ricredere.
Alcaraz e Sinner sono quella strada e a giudicare da quanto l’azzurro cresce di mese in mese proprio Jannik è l’indiziato numero 1 per avvicinare quei numeri favolosi.
Il fantasma di Parigi
Che non avrebbe potuto essere la replica della finale di Parigi, con i suoi contenuti spettacolari, i drammi emotivi di Jannik e la furia distruttiva messa in campo da Alcaraz negli ultimi venti punti di quell’incontro si è capito subito. Ma il tennis raramente patisce una coazione a ripetere, c’è sempre una briciola che si inserisce in qualsivoglia ingranaggio e ne muta il funzionamento. Esempio concreto: ad inizio incontro l’interrogativo più diffuso era se e quanto l’italiano avrebbe patito nel profondo le conseguenze di quei tre match point non sfruttati al Roland Garros.
In pochi, invece si sono domandati quanto il desiderio di rivalsa di Sinner avrebbe rappresentato un nemico invisibile per Alcaraz. A differenza dello spagnolo Jannik passa per essere uno più freddo del quale è più complicato intuire le intenzioni e interpretare le emozioni. E uno dei fattori, forse quello determinante, che ha condizionato l’incontro è stato proprio il peso che Alcaraz si è portato dentro dopo la vittoria parigina: riuscirò a reggere la reazione di Sinner? Un peso che Carlos ha pensato di avere superato dopo il primo set in cui di fronte c’erano due giocatori in preda a situazioni emotive del tutto differenti. Uno, Sinner, era quello che avvertiva una pesantezza, di testa e di gambe. L’altro, Alcaraz, godeva della gioia di avvertire che il freddo Sinner tanto freddo in realtà non era e scagliava fuori dal campo colpi, soprattutto lungolinea che normalmente sono il suo marchio di fabbrica.
Metteteci, in più il maledetto servizio, un gesto atletico che più di ogni altro risente dei pensieri gravosi che possono attraversare la testa di un ragazzo in un appunto così importante. Alla fine di quel primo set però, i ruoli si sono invertiti perché Sinner ha una capacità di elaborare i lutti agonistici superiore forse a quella di chiunque altro. Ha iniziato, il nostro, a non patire più gli urlacci dello spagnolo, ha smesso di pensare, ammesso che un pensiero del genere possa mai essere conscio, che lo spagnolo impattasse meglio la palla, che il suo prodotto dai suoi colpi fosse più profondo del suo e ha ricominciato a essere Jannik Sinner.
Può sembrare una follia ma è stato proprio perdendo quel primo set che Sinner ha scavato il fossato fra sé e la finale di Parigi e ha preso a giocare un’altra partita. Quando, alla fine del terzo set lo spagnolo si è rivolto verso il suo angolo e ha ammesso (a voce alta, scelta discutibile se si tratta di superare una fase di crisi: verbalizzare nel tennis non sempre può portare risultati positivi) di sentirsi inferiore a Sinner su quello che è il suo terreno allora è parso chiaro che la finale di Wimbledon aveva preso un’altra strada.
Le prospettive
A Church Road, Sinner ha dimostrato, al di là di ogni considerazione sul risultato, di essere in possesso di una conformazione cerebrale che un giorno andrà adeguatamente studiata. Nel tennis puoi vincere o perdere, soffrire e non ottenere lo stesso il risultato che vuoi far tuo: ma non è da tutti, è anzi patrimonio di pochissimi, riuscire a imparare da tutto. Laddove imparare significa, come ci stiamo abituando a capire in riferimento a ogni forma di intelligenza artificiale, indagare sul perché qualcosa è andato storto oppure non è stato corretto e trasformare il proprio linguaggio e le proprie azioni di conseguenza. Per questo Sinner è oggi il numero 1 al mondo, sostanzialmente inattaccabile ed è il prototipo di un nuovo tipo di tennista. Se Alcaraz trova fastidio nel ripetere ossessivamente uno schema e per sopravvivere in campo, spesso dominando, deve divertirsi, trovare soluzioni spettacolari e difficilissime (per quanto il tweener frontale di Sinner sia stato egualmente spettacolare e non casuale), Sinner è una memoria di straordinaria efficacia che metabolizza gli errori e li trasforma in possibilità future.
Quando ha dovuto fronteggiare due palle break sul 4-3 a suo favore nel quarto set ha messo in campo una seconda e una prima palla di servizio che per eseguire ci vuole una disponibilità del terzo elemento della triade di cui Alcaraz parla sempre (testa, cuore e quell’altra cosa) degna di un dinosauro. E poi di nuovo una seconda palla letale che lo ha portato sul 5-3.
Cosa non da umani per essere sintetici. E detto per inciso, visto che nessuno impara come lui dalle cadute e dagli errori, dovesse mai capitare che Sergio Mattarella lo inviterà al Quirinale Jannik ci vada stavolta, anche sottraendo qualche ora alle vacanze. Così non si potrà mai più dire che è uno straordinario vincente ma un italiano talvolta riluttante.
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