Alcuni giorni fa dall’Emilia Romagna è giunta nelle stanze romane di Fratelli d’Italia una notizia poco gradevole. La procura di Piacenza guidata da Grazia Pradella ha chiesto il rinvio a giudizio di nove persone, tra imprenditori, tecnici comunali e amministratori locali finiti sotto inchiesta due anni fa per un giro di corruzione e appalti in Valtrebbia, nel piacentino.

All’apparenza non avrebbe alcuna implicazione, nell’elenco non c’è nessun nome del partito. Tuttavia ciò che preoccupa di più è un filone della stessa indagine non ancora chiuso e ha tra gli indagati un big del partito: Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, figure di spicco del partito in Emilia, e membro dello stato maggiore meloniano.

Un pasdaran che difende pubblicamente l’indifendibile sui migranti, sulla giustizia, sugli scandali che hanno macchiato il primo anno e mezzo di Meloni al governo. Dal 2014 è anche socio unico del Secolo d’Italia, il giornale della Fondazione Alleanza nazionale: si tratta di un’intestazione fiduciaria: in realtà la proprietà, è scritto nei documenti societari, continua a fare capo alla storica fondazione della destra.

L’inchiesta su Tommaso Foti, dunque, prosegue, come confermano fonti qualificate a Domani, anche dopo la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti della maggior parte dei coindagati del politico.

La posizione di Foti, infatti, è stata stralciata insieme a quella di Erika Opizzi, ex assessora di Fratelli d’Italia nella giunta piacentina. I fatti risalgono al 2022, quando finirono in carcere diversi imprenditori, tecnici comunali e sindaci.

I reati ipotizzati nel capo d’accusa che riguarda anche il deputato di Fratelli d’Italia sono a vario titolo corruzione e il traffico di influenze, che questo governo ha messo nel mirino con lo scopo di depotenziarlo al pari dell’abuso d’ufficio. Resta da capire la strategia della procura, che potrebbe comunque archiviare Foti così come notificargli l’avviso di conclusione indagini e dunque poi chiedere il processo come per gli altri. Quest’ultima ipotesi potrebbe essere un problema serio per Meloni già alle prese con l’indagine sulla ministra del Turismo Daniela Santanchè.

Il feudo piacentino

Foti ha il suo feudo a Piacenza. Qui alcuni lo ricordano ancora, quasi 13 anni fa, lamentarsi in un’intervista al Fatto Quotidiano per l’eventuale taglio degli stipendi dei parlamentari: «Se mi tagliano lo stipendio da parlamentare ho le pezze al culo», aveva commentato l’ipotesi poi rimasta tale.

Altri invece non dimenticano le sue nostalgiche esternazioni sul fascismo: quando era consigliere regionale in regione Emilia Romagna portò in aula poster di un’adunata fascista e libri di Mussolini per protestare contro la legge per proibire la vendita di gadget del Ventennio nelle bancarelle e nei negozi. Indimenticabile anche quel 25 aprile di qualche anno fa quando il parlamentare ha indossato la mascherina anti Covid con la scritta “Boia chi molla”, salvo poi cancellare il post e la foto pubblicati sui social.

Al di là della nostalgica passione, resta il fatto che Foti è il secondo esponente di Fratelli d’Italia che a Piacenza è costretto a fare i conti con un’inchiesta giudiziaria. Alcuni anni prima, era il 2019, a finire in carcere fu Giuseppe Caruso, presidente del consiglio di Piacenza con l’accusa di associazione di stampo mafioso: per la procura antimafia di Bologna era organico alla ‘ndrangheta emiliana, cioè alla cosca della mafia calabrese da mezzo secolo radicata in quella regione.

Caruso era dello stesso partito di Foti e a lui legatissimo: «Uomo di fiducia dell’onorevole Tommaso Foti, influente politico piacentino», hanno scritto gli inquirenti nelle carte dell’indagine sul deputato. Caruso alla fine dei processi è stato condannato in via definitiva a 12 anni. Una questione assai spinosa per Foti, che all’epoca stava scalando la gerarchia interna a Fratelli d’Italia, a tal punto da chiedere scusa alla cittadinanza.

Tre anni dopo la figuraccia su Caruso, Foti è finito a sua volta sotto inchiesta. Dalla procura nessun commento sui tempi di chiusura. Intanto però gli atti raccontano di un Foti che sarebbe stato a disposizione di un gruppo imprenditoriale per il quale la procura ha chiesto il rinvio a giudizio.

Su Foti si indaga ancora

La richiesta di rinvio a giudizio notificata all’imprenditore che ha messo nei guai Foti, non è passata inosservata tra il gruppo dirigente nazionale di Fratelli d’Italia. In molti la interpretano come una possibile mina pronta a esplodere. I pm hanno chiesto il processo anche per l’imprenditore che sostiene di aver “pagato” il parlamentare.

Si tratta di Nunzio Susino, rappresentante legale della Cooperativa edile e forestale Altavaltrebbia. Stesso destino toccato a Carlobruno Labati, responsabile dell’ufficio tecnico di Ferriere, paese in provincia di Piacenza, al quale Susino aveva assicurato l’appoggio di Foti, dietro pagamento, per trasformare un grande appezzamento di terreno in edificabile. Susino, per esempio, è l’imprenditore che parlava così di Foti: «Io, a Foti, gli ho detto...la roba è mia…però siamo in famiglia con Labati»

Non sono, tuttavia, le uniche intercettazioni inedite sul fedelissimo di Meloni. In alcune di queste si fa riferimento «all’amicizia tra Susino e Foti», sul quale i magistrati specificano: «Tra i due in quel periodo vi era una sinergia volta al conseguimento di una concessione commerciale per la quale Susino aveva chiesto l’intervento del parlamentare preso il comune di Piacenza, aspetto che ha riguardato un apposito approfondimento investigativo in questo procedimento».

Una costola investigativa che prende spunto da dialoghi intercettati di questo tipo: «Allora Foti gli ha detto, questa persona qua ha le palle…, questo è quello che sta dando di più per tutta la situazione e dobbiamo dare una mano sia a lui e sia diciamo alla famiglia Labati che dobbiamo finire e sistemare», è l’imprenditore Susino che riporta a un sodale il contenuto di un incontro che avrebbe avuto con il parlamentare e altri politici locali di Fratelli d’Italia. Non sappiamo se Susino millantasse, per questo abbiamo chiesto a lui e a Foti un commento. Ma entrambi hanno preferito non rispondere.

Al deputato di Fratelli d’Italia abbiamo chiesto, tra le altre cose, di spiegarci il motivo che ha spinto Susino a parlare così tanto di lui. C’è un’intercettazione che gli investigatori valorizzano: «Susino, nell’evidenziare il grado di corruttibilità dell’onorevole Foti, glissa con un eloquente:.. “Foti è un ladrone” per poi aggiungere: “Noi siamo golosi di soldi, ma loro di più…se noi siamo golosi loro sono malati».

I soldi a Foti e la sede Fdi

C’è, inoltre, nei documenti dell’indagine l’intercettazione in cui Susino dice: «Mi ha chiamato il tuo amico Foti». All’indomani di quel contatto tra i due, l’imprenditore si è recato nella sede di Fratelli d’Italia di Piacenza. Non era la prima volta, i detective segnalano altre visite a Foti nella sede del partito di Meloni, anzi parlano espressamente di «ennesima volta negli uffici della sede di Fratelli d’Italia».

«Tramite Foti ho parlato con l’Opizzi, quella all’Urbanistica del comune di Piacenza», diceva Susino al suo interlocutore dopo una dei meeting presso la sezione del partito. Opizzi, appunto, era all’epoca assessora di Fratelli d’Italia all’Urbanistica e fedelissima del senatore. Il gruppo di imprenditori, infatti, brigava per ottenere dell’amministrazione la convenzione del parcheggio realizzato in città. Per raggiungere l’obiettivo avrebbero sfruttato l’influenza del big di Meloni.

Oltre ai sospetti sulle autorizzazioni relativa al parcheggio, Foti sarebbe coinvolto anche in un altro “favore” a Susino relativo a dei terreni da rendere edificabili. Ancora una volta è l’imprenditore, ignaro di essere ascoltato dagli investigatori, a parlarne: «Susino confidava al Labati (tecnico di un comune interessato alla partita dei terreni, ndr) di avere ricevuto da Foti una richiesta economica pari a 15mila euro». Per essere precisi gli inquirenti riportano le frasi esatte dell’imprenditore: «Ti dico, sono andato da lui, e gli ho detto a me devi far passare il terreno… Cosa ti devo portare?».

Foti, secondo la versione di Susino, avrebbe risposto con una richiesta molto concreta, cioè chiedendo soldi: «Allora lui mi fa… subito, che dobbiamo sistemare la documentazione, portami 15mila euro». Così Susino, entusiasta della presunta disponibilità del politico, avrebbe rilanciato: «Te ne porto venti». Un millantatore seriale o l’esagerazione di chi si sente l’onnipotente degli appalti?

Di certo era nota un’intercettazione in cui Susino ammetteva di aver dato 3mila euro a Foti per la pratica del parcheggio, «Foti, per questo problema qua io gli ho dato 3000 euro». Resta da capire se Susino, il re degli appalti, millantasse o potesse davvero contare su rapporti con l’alta politica. Di sicuro i contatti tra Foti e l’imprenditore sono documentati. Sarà per questo che la procura piacentina non ha ancora archiviato l’indagine sul fedelissimo di Meloni.

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