Una speranza per gli “invisibili”. Una presenza scomoda per la politica italiana e soprattutto per la sinistra di governo. Questo è Aboubakar Soumahoro, l’attivista di chi non ha voce che affonda mani e piedi nel «fango della miseria», come gli piace dire. Un intellettuale inquieto capace di ripescare parole e gesti antichi per affrontare l’oggi e la sua modernità. Per tentare di cambiare lo stato delle cose, «sfidando anche le mode del momento diventate pensiero unico e indiscutibile».

Aboubakar è un treno in corsa. Capace di attraversare l’Italia, dalla metropoli dei rider e dei lavoratori della logistica, alle campagne pugliesi e calabresi dei braccianti sfruttati. «Domani saremo a Riace, con Mimmo Lucano. A consegnare il ricavo della nostra giornata di sciopero alla rovescia del 12 novembre, quando abbiamo continuato a raccogliere i frutti della terra, ma senza percepire la paga. In solidarietà col paese in crisi. Porteremo generi di prima necessità, mascherine, disinfettanti, cibo. Il tutto destinato agli invisibili, italiani e stranieri. Persone che in questi tempi di pandemia e crisi sono sottoposte a una aggressione senza precedenti. La politica e il governo seguono logiche utilitaristiche, noi parliamo di solidarietà, di sentimenti, vogliamo che tutti gli invisibili si sentano protagonisti di una comunità».

La durezza delle realtà

«Sciopero alla rovescia», «neppure un centesimo regalato ai padroni», solidarietà, comunità. Un lessico abbandonato da decenni dalla sinistra italiana e dal mondo culturale progressista. Parole archiviate come antiche e non utili a leggere il presente. Aboubakar Soumahoro si aggrappa alle durezze della realtà.

«Prendi tutta la filiera del cibo, dal seme alla forchetta, quello che sta succedendo è incredibile. Secondo un rapporto di Mediobanca, l’agroalimentare ha un valore di 538 miliardi di euro collocandosi ai primi posti dell’economia del paese, anche in tempi di pandemia. La crescita c’è, è nei numeri, ma nessuno parla dei costi sociali elevatissimi che la rendono possibile. Vedi le condizioni di vita dei braccianti, non solo al sud, ma anche in molte aree del nord. Lavoratori che vivono in baracche senza acqua, che non hanno il diritto a riscaldarsi, che vengono pagati meno della metà del salario normale e che quindi non possono aspirare neppure a pagarsi un posto letto in una casa. Il mercato cresce, ma a costo di una disumanizzazione del lavoro e delle condizioni di vita dei lavoratori, di queste categorie costrette nei bassifondi dell’umanità. È una filiera piena di fango, che punisce gli stessi agricoltori ormai schiacciati dai meccanismi della grande distribuzione organizzata che in condizioni di totale monopolio fissa prezzi e stabilisce condizioni contrattuali».

Campagne e metropoli. I nuovi lavori, l’illusione che internet e le nuove tecnologie avrebbero umanizzato il mercato del lavoro. Aboubakar sorride e ricerca nelle parole di Antonio Gramsci una spiegazione.

«Basta andare in giro per rendersi conto che rider, lavoratori della logistica, autotrasportatori a cottimo, addetti alla grande distribuzione alimentare, precari della sanità, siamo tutti sotto il rullo compressore dello stesso paradigma economico. Il mercato del lavoro è cambiato, la piramide sociale si è rovesciata. La meritocrazia, come ci hanno raccontato per anni, non ti porta più in cima. Il lavoro non libera più l’uomo. Il lavoro salariato ha subito una profonda metamorfosi, chi doveva non se n’è accorto. E oggi siamo seduti su una vera e propria bomba sociale pronta ad esplodere. È illusorio pensare di disinnescarla a colpi di Dpcm, meno che mai illudersi di contrastarla con un approccio lombrosiano o criminogeno del malessere sociale. La verità è che si accentua sempre più il divorzio tra palazzo e realtà. Qui si fanno polemiche e lunghi dibattiti sulla proposta di una patrimoniale soft, blanda nei contenuti, un segnale minimo di responsabilità e solidarietà, e non si parla degli operai della Wirlpool di Napoli buttati in mezzo a una strada.  Non si conoscono i drammi di una famiglia monoreddito dove è vietato tutto, finanche ammalarsi di Covid e rimanere chiusi in casa. Non si dialoga con quelle partite Iva, ieri osannate e viste come modello, e che oggi si vedono sprofondare ai livelli più bassi della scala sociale. Il divorzio di cui parlo, come si vede, rischia di essere definitivo».

Un futuro possibile

Quindi che fare?

«Offrire una prospettiva, speranze nuove, ma con proposte concrete e in grado di proiettarsi nel tempo, di disegnare un futuro possibile. Torniamo all’Articolo 1 della nostra Costituzione, al lavoro come fondamento, mettiamo in campo un piano di lavori unici garantiti da un tetto salariale minimo. Penso a lavori sociali, alla cura delle persone, alla sanità, alla tutela dell’ambiente, al risanamento delle periferie nelle metropoli. Non si vive con le gocce dei ristori, ma con un reddito di emergenza anche sganciato dal lavoro. La politica attuale non capisce che la libertà è fatta di cose maledettamente concrete, un salario, la casa, la possibilità di costruire un futuro per sé e per i figli».

Cose che la pandemia ha messo in discussione, la crisi sta ipotecando pesantemente il futuro delle nuove generazioni.

«Ma io non mi rassegno. La verità che in molti vogliono nascondere, è che pandemia ha messo a nudo la fragilità di un sistema dove al centro c’è l’economia e non più la persona. Vedi cosa succede nella sanità pubblica. Per anni è stata sfasciata, demolita, privatizzata, la salute da diritto dei cittadini è diventata un costo per le famiglie, e ora affrontiamo un nemico con un esercito indebolito, disarmato. Non possiamo non avere un futuro, penso ai fondi e ai programmi Next generation Eu. Le domande che vorrei si ponessero governo e forze politiche sono semplici: quale Italia vogliamo, quale paese vogliamo portare in Europa, nel mondo?. Purtroppo non ci sono risposte, vedo una politica senza grandi visioni strategiche, arroccata nei giochi di palazzo».

Ribellarsi non basta

Aboubakar Soumahoro, nato quaranta anni fa in Costa d’Avorio, arrivato in Italia senza conoscere una parola della lingua, nel 1999 si laurea in Sociologia a Napoli con il massimo dei voti. Da ragazzo nel suo paese ha fatto di tutto, anche il lustrascarpe, in Italia ha lavorato nelle campagne da bracciante.

«Facevamo la fila di notte nelle piazze dei paesi pugliesi, ci raccoglievano e non sapevamo neppure dove ci portavano. Ho capito che potevo ribellarmi, fare gesti di protesta, ma non sarebbe stato sufficiente. Dovevo capire questa mia condizione condivisa con altri invisibili, da quale meccanismo veniva generata. E ho capito che lo sfruttamento, le disuguaglianze sociali, hanno una loro forte base ideologica, una loro religione. Questo è il modello sociale che si vuole perpetuare e consolidare nel tempo. Noi dobbiamo invertire la tendenza e costruire una prospettiva politica che non sta più in questo modello».

Una lunga esperienza nel sindacalismo radicale. Un presente dentro la Lega dei braccianti. Un futuro da leader di una nuova formazione politica?

«Non mi sento leader di niente. Non giro le spalle a chi soffoca nel fango della miseria. Mi rifiuto di non sentire le grida di chi soffre, dei troppi invisibili di questo paese. Mi spoglio del peso dell’io per abbracciare la bellezza, l’eleganza, del noi. Sono al servizio di un processo già in atto di confederazione degli invisibili ovunque siano, verso una prospettiva politico sociale. È un cammino dei desideri e della felicità per uscire dalle tenebre oscure delle disuguaglianze strutturali. Sono convinto del fatto che in un contesto di crisi valoriale e di smarrimento morale, è compito dell’agire politico sociale trasformare la società in comunità forte, giusta, unita e più equa e soprattutto umana. La politica funziona se nessuno è lasciato da solo. Quando la vita delle persone è più importante di qualsiasi ragionamento economico. L’azione politica sociale deve essere speranza, concretezza, deve essere inflessibile nel difendere i diritti degli ultimi, dei dimenticati, di coloro i quali non hanno voce e diritto alla parola per certi giornali o salotti televisivi. Sono donne e uomini che lavorano ogni giorno senza sosta per far crescere questo paese, e sono la maggioranza».

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