Il processo per l'omicidio Regeni si ferma alla prima udienza. Lo ha deciso la terza sezione della Corte d'Assise di Roma che dopo cinque ore di dibattimento e sette di camera di consiglio ha annullato il rinvio a giudizio per i 4 uomini dell'Agenzia di sicurezza nazionale egiziana accusati di aver provocato la morte del ricercatore italiano nel 2016 al Cairo.

Ora le carte dell'inchiesta tornano al Gup, il giudice per l'udienza preliminare, che dovrà cercare di notificare il procedimento in corso agli agenti egiziani prima di decidere su un nuovo rinvio a giudizio.

Una campagna di livello internazionale, quasi cinque anni di inchiesta giudiziaria e infine l’ostilità delle autorità egiziane a collaborare, che ha trasformato questa prima udienza in un processo senza imputati e in un dibattimento in punta di diritto durato quasi cinque ore.

In aula c'era solo la famiglia Regeni - il padre Claudio, la madre Paola e la sorella Irene, già costituitisi parte civile - e gli avvocati dello Stato in rappresentanza della Presidenza del Consiglio che hanno depositato istanza di costituzione di parte lesa.

Imputati assenti

Gli imputati assenti sono tutti uomini della National Security Agency, l'agenzia di intelligence che fa parte capo al Ministero dell'Interno egiziano: il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Khamel e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.

Le accuse a loro carico sono di sequestro di persona pluriaggravato e su Sharif, pesa anche l'accusa di concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato. Per loro in aula si sono presentati i quattro avvocati d'ufficio che hanno pianificato la difesa senza mai aver avuto contatto con il loro assistiti e lavorando solamente sulle carte messe a disposizione della Procura.

Perché nessuno degli imputati ha mai ricevuto la notifica del rinvio a giudizio: le autorità egiziane, infatti, si sono sempre rifiutate di fornire i domicili degli imputati alla Procura di Roma.

Il nodo

Ed è proprio su questo che il processo si è arenato. La terza corte d'Assise, presieduta da Antonella Capri, ha deciso di non andare avanti con il processo ribaltando la decisione del giudice per l’udienza preliminare Pierluigi Balestrieri che lo scorso maggio aveva accolto le istanze della procura e rinviato a giudizio gli agenti della Nsa evidenziando come la «copertura mediatica capillare e straordinaria ha fatto assurgere la notizia della pendenza a processo a fatto notorio».

Non è bastata l'arringa del pubblico ministero Sergio Colaiocco che in un'ora ha elencato 13 punti che hanno ripercorso 5 anni di reticenza e non collaborazione della Procura del Cairo e dell'intero apparato autoritario egiziano: dai depistaggi iniziali alla mancata consegna dei vestiti di Regeni, passando per la vicenda delle telecamere di sorveglianza della metropolitana della stazione di Booth, quella dove è scomparso Giulio, che dopo diversi anni di tira e molla tra il Cairo e Piazzale Clodio sono state consegnate nel 2018 ma avevano un buco nel girato proprio il 25 gennaio, il giorno della scomparsa di Regeni.

«I quattro agenti non sono qui perché sperano si blocchi il processo», ha incalzato Colaiocco. «Sanno perfettamente che si apre oggi», perché il caso è di dominio pubblico e perché sono imputati qualificati. Uno di loro, Helmi, ha addirittura collaborato anche con la squadra dei Ros e dello Sco arrivata al Cairo subito dopo la morte del giovane ricercatore di Fiumicello.

Ma la Corte ha accolto la tesi dei quattro legali della difesa d'ufficio rilevando che, a causa delle lacune dell'impianto accusatorio, non «c'è certezza che gli imputati siano a conoscenza del procedimento e che quindi si siano sottratti volontariamente al processo».

«È stata premiata la prepotenza degli egiziani», ha commentato la famiglia Regeni mentre Alessandra Ballerini, legale dei Regeni, al termine dell'udienza ha letto i nomi degli 007 egiziani davanti ai giornalisti rimasti fuori dalla corte e ha commentato: «Queste persone non possono dire che non sanno».

© Riproduzione riservata