Edna ha le mani grandi. Mentre parla le strofina sulle gambe e il tintinnio del braccialetto che si muove a ritmo dei suoi movimenti sembra mettere in musica le parole. Le pronuncia con cura, le sceglie una alla volta.

A tratti guarda verso l’alto, accenna un sorriso, ma è imbarazzo. «Io e Eddie eravamo come nati da un parto gemellare. Avevamo solo quindici mesi di differenza. Siamo cresciuti insieme, prima bambini, poi grandi. Lui era quello che proteggeva me e mia sorella Oriana e anche nostra madre. Le sue donne».

Eddie Walter Max Cosina

Edna Cosina vive a Muggia, a pochi chilometri da Trieste. È la sorella di Eddie Walter Max Cosina, agente di scorta morto insieme alla collega Emanuela Loi e ai colleghi Vincenzo Fabio Li Muli, Claudio Traina e Agostino Catalano, nell’attentato che il 19 luglio 1992, in via d’Amelio, uccise il giudice Paolo Borsellino insieme ai suoi agenti.

Edna è cresciuta nella casa che i suoi nonni avevano preparato per lei, i suoi fratelli e i suoi genitori. «Quando siamo tornati dall’Australia alla fine degli anni ‘60, dopo che i nostri genitori, da emigranti avevano deciso di rientrare in Italia, quella casa era lì per noi. Ricordo i vicini che venivano a scrutarci curiosi per vedere com’erano i bambini nati in Australia, cioè noi. Se ci ripenso oggi mi viene da sorridere». Quando la incontriamo Edna è incerta, non sa come accoglierlo quel dolore che torna con forza ogni volta che racconta chi era suo fratello.

Ha scelto di farlo perché la memoria resti materia viva, un atto politico, che costringe il paese a guardarsi allo specchio. Il suo racconto, insieme a quello delle sorelle Li Muli, è al centro degli ultimi due episodi della docu-serie I Ragazzi delle Scorte, realizzata da 42°Parallelo in collaborazione con il ministero dell’Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, e che verranno trasmessi il 19 luglio su Rai 3 in prima serata.

«Eddie era entrato in Polizia anche se da piccolo diceva che avrebbe fatto il pompiere. Aveva un forte senso di giustizia e di protezione verso tutti. Per questo quando ci disse che avrebbe iniziato quel percorso non ci stupimmo. Trieste era una città tranquilla, non ci preoccupammo per la sua scelta anzi ne eravamo felici».

Mentre cammina nel giardino di casa, Edna prende aria e lascia che le parole trovino la loro strada. Forse è qui, tra i fiori che ha visto crescere giorno dopo giorno che Edna si sente davvero intera. Si sofferma davanti una rosa rossa rampicante e racconta che quella pianta l’ha messa Eddie.

«Nostra sorella Oriana si è sposata presto e io ed Eddie siamo rimasti soli a condividere la cameretta. Eravamo legatissimi. Ogni San Valentino, quando mi svegliavo, lo trovavo ad aspettarmi con una rosa in mano». Quando è saltato in aria insieme ai suoi colleghi, Eddie aveva 30 anni.

Si era offerto lui di partire per primo da Trieste per dare la possibilità in particolare a un suo collega, Roberto Adamo, che era da poco diventato padre, di raggiungere i suoi genitori a Taranto e presentare il nipote che non avevano ancora conosciuto.

«Dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992, la Questura di Palermo chiese più agenti in arrivo da tutta Italia. Eddie ci comunicò che sarebbe andato in Sicilia ma per lavorare in ufficio, non avevamo idea di quello che faceva davvero. Io e mia madre lo abbiamo accompagnato in aeroporto il giorno in cui è partito. Ci ha abbracciate come ogni volta che andava via, poi mentre si avviava verso il gate per la partenza è tornato indietro. Ci ha strette di nuovo». Le mani di Edna adesso sono poggiate su una fotografia in bianco e nero. Suo fratello con dei lunghi baffi all’insù sorride in un ritratto che oggi è senza tempo. Per sempre trentenne.

Vincenzo Fabio Li Muli

Tiziana Li Muli ne ha uno tra le mani, chiuso in una cornice d’argento. Lo sposta su un mobile dell’ingresso nella casa di famiglia a Palermo, fa come per dare un bacio alla foto di suo fratello Vincenzo Fabio Li Muli, collega di Eddie Cosina, era il più giovane degli agenti della scorta al giudice Paolo Borsellino.

Aveva 22 anni, amava le macchine, soprattutto la sua Alfa 33 che aveva comprato con molti sacrifici, registrava cassette musicali per le sue sorelle e non vedeva l’ora di sposare la fidanzata Victoria. Anche Tiziana ha condiviso a lungo la cameretta con suo fratello, come Edna ed Eddie.

«Nostra sorella maggiore, Sabrina, si è sposata e anche noi siamo rimasti da soli a casa con i nostri genitori. La sera ci confidavamo, scherzavamo, sento ancora le nostre risate». Tiziana ha i capelli biondi che le cadono sulle spalle mentre parla non lascia la mano di sua sorella. «Siamo dovuti crescere in fretta, soprattutto quando Fabio, lo chiamavano tutti così anche se il primo nome era Vincenzo, ci ha detto che sarebbe entrato in Polizia. Eravamo contenti ma sapevamo che sarebbe cambiato tutto. Nostra madre, soprattutto, era come se sentisse che quella decisione ci avrebbe portato sofferenza». Fabio lo sapeva e ogni volta che per lavoro faceva più tardi del solito telefonava a casa per avvisare. «Solo dopo la chiamata di Fabio, nostra madre si metteva a letto».

Il 19 luglio 1992 a Palermo, Tiziana Li Muli era al mare con il fidanzato. Aveva lasciato suo fratello Fabio, ancora a letto, addormentato. Sempre a Palermo, Sabrina, l’altra sorella, era appena rientrata a casa con in braccio il suo bimbo di pochi mesi. A Trieste, anche Edna Cosina era in spiaggia, sua madre in gita con le cugine, la sorella in vacanza in Spagna.

Ognuna di loro viveva una domenica come tante. Poi, alle 16:58, la linea del tempo si spezza. Un boato scuote quella domenica senz’aria. «Tutti sentimmo questo rumore tremendo, Palermo tremò in quel momento, e tutti dopo quello che era successo al giudice Falcone capimmo. Era accaduto di nuovo».

A 840 chilometri di distanza, in quegli istanti, Edna Cosina stava correndo verso la questura di Trieste. «Quel giorno, verso l'ora di pranzo Eddie aveva chiamato mia madre, dicendo che sarebbe rientrato martedì. Io ero andata al mare, mia sorella non c'era perché era in vacanza in Spagna, mia madre poi è uscita con delle sue cugine quel pomeriggio. Vado in piazza Unità in un bar, c'era il telefono a gettoni, chiamiamo una nostra amica e ci dice subito che c'era un'edizione straordinaria del telegiornale, che parlavano di un attentato a Borsellino, in cui era coinvolto anche un ragazzo di Trieste. Corro in questura che era là vicino, era pieno di gente, e chiedo “ma il triestino è Eddie?”. Mi rispondono di sì. “Ma come”, chiedo, “cosa ci faceva là?”».

Trentatré anni dopo quel giorno, Edna, Tiziana e Sabrina ricordano ogni secondo di quelle ore. Le sirene, la disperazione, la rabbia. «La stessa che provo ancora oggi, anche se penso che mio fratello quelle persone le avrebbe perdonate», continua Edna.

«Io no. Provo rabbia ogni volta che torno a chiedere giustizia e verità,nonostante i continui depistaggi. Mi chiedevo sempre “chi vuole ascoltare una storia triste?” Adesso ho deciso di parlare perché mi sento meno terrena e la sofferenza è cambiata».

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