Clamorosa marcia indietro di Roberto Occhiuto. La Regione prima si costituisce parte civile nel processo contro sei militari accusati di aver omesso i soccorsi. Poi, su pressione del sindacato della Guardia costiera e del governo fa marcia indietro «per rispetto verso chi indossa una divisa»
A Cutro, il 26 febbraio 2023, il mare ha restituito 94 corpi, tra cui 35 bambini. Due anni dopo, in un’aula di tribunale a Crotone, si cerca giustizia. Ma le istituzioni si defilano e la Regione Calabria si copre di ridicolo. Prima si costituisce parte civile nel processo contro sei militari accusati di aver omesso i soccorsi. Poi, su pressione del sindacato della Guardia costiera e – soprattutto – dopo un segnale da Roma, fa marcia indietro. «Per rispetto verso chi indossa una divisa», si giustificano. Come se indossarla bastasse a garantire l’impunità.
A motivare il ritiro della costituzione di parte civile, secondo la versione ufficiale, ci sarebbe un errore: «Pensavamo fosse il processo contro gli scafisti». Eppure quegli scafisti sono già stati condannati, in alcuni casi persino in appello. Il processo in corso infatti riguarda sei membri delle forze dell’ordine – quattro finanzieri e due ufficiali della Capitaneria di porto – accusati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. Perché, secondo l'accusa, pur avendo ricevuto da Frontex l’allarme su un’imbarcazione in pericolo, non intervennero tempestivamente. La giustizia, in sostanza, accusa chi avrebbe dovuto salvare e invece ha lasciato che il mare inghiottisse anche i bambini.
«Successo politico»
Il sindacato militare Usim parla esplicitamente di «successo politico» e rivendica il passo indietro della Regione come frutto della propria pressione, in coordinamento con il ministro Matteo Salvini. La delibera regionale, votata pochi giorni prima, è stata ritirata con una dichiarazione che gronda di sottomissione istituzionale: «Per il rispetto che nutriamo verso chi indossa una divisa». Come se la giustizia avesse bisogno di deferenza più che di verità.
Il presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto, inizialmente unico rappresentante istituzionale a schierarsi formalmente accanto ai familiari delle vittime, si è allineato in meno di ventiquattro ore. Il sindacato Usim, in una nota, ringrazia esplicitamente il ministro delle Infrastrutture per essere stato informato «in tempo reale» dal proprio segretario nazionale, contribuendo alla retromarcia. Il governo, del resto, non ha mai fatto mistero della sua linea: Giorgia Meloni parlò di «calunnie contro lo Stato», Matteo Piantedosi accusò le persone migranti di «mettere in pericolo i propri figli», e Salvini liquidò ogni critica come «bassa politica».
Lo stesso Occhiuto, nel febbraio 2024, si era detto vicino «a chi scappa dalla fame e dalla guerra» a nome della popolazione calabrese. Ma le parole, evidentemente, valgono meno di una telefonata. E la dignità istituzionale meno di una nota sindacale.
Lo Stato assente
Nell’udienza del 12 maggio sono 113 le richieste di costituzione di parte civile: familiari delle vittime, superstiti, ONG come Emergency e Sea Watch, e associazioni per i diritti umani. Mancano però i Comuni di Cutro e Crotone, e manca il governo. L’assenza della Repubblica italiana – quella delle passerelle con le bare allineate, delle promesse urlate contro gli scafisti – è assordante. Anche in tribunale, come nelle ore successive alla tragedia, i parenti delle vittime sono rimasti soli.
La Regione Calabria aveva una possibilità: non schierarsi contro qualcuno, ma accanto a chi ha perso tutto. Parte civile non significa parte accusatrice: significa presenza, responsabilità, testimonianza. Nessuno ha chiesto alla Regione di puntare il dito, ma solo di esserci. E invece si è sottratta. Ha scelto di non turbare l’equilibrio del potere, di non infastidire le gerarchie. Ha scelto il silenzio, travestito da rispetto.
Il passo indietro della Regione è una dichiarazione di intenti: non bisogna infastidire lo Stato quando lo Stato è sotto accusa. È il riflesso automatico di un potere che si piega, che non ha il coraggio di guardare in faccia le proprie responsabilità.
Così ha il compito di tutelare le vittime ha preferito proteggere i ranghi. E intanto, sulla spiaggia di Steccato di Cutro, i nomi delle 94 persone morte continuano a chiedere giustizia. Non obbedienza. Giustizia.
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