Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha commentato molto duramente la decisione del consiglio di classe dell’istituto tecnico Viola Marchesini di Rovigo di promuovere e di dare 9 in condotta ai due studenti che colpirono con una pistola a pallini la loro professoressa, Maria Cristina Finatti: «Rispetto l’autonomia di ogni scuola, tuttavia la scelta di dare 9 in condotta a chi ha aggredito una professoressa mi lascia sorpreso, anche per il messaggio diseducativo che ne può derivare. La scuola è un presidio imprescindibile di educazione al rispetto. Ho chiesto una relazione dettagliata sulle motivazioni che hanno condotto a questa decisione».

L’episodio era accaduto l’11 ottobre scorso, e ora dopo otto mesi la mancata punizione esemplare – bocciatura o almeno votaccio in condotta – desta scandalo e un’indignazione anche da parte dell’insegnante colpita, che parla attraverso l’avvocato Tosca Sambinello: «Abbiamo sentito la professoressa Finatti e si è detta delusissima per le promozioni visto quanto accaduto a inizio anno è rimasta inoltre mortificata del fatto che alla scuola di Abbiategrasso sia stato bocciato l’alunno che accoltellò una professoressa mentre a Rovigo tutto è filato liscio come nulla fosse. Due pesi e due misure, ma i princìpi e i valori della scuola, si è chiesta la nostra cliente, non dovrebbero essere sempre gli stessi? Per lei, dopo le percosse subite, è una “sberla” morale».

La professoressa Finatti aveva espresso questo sdegno già nei mesi successivi, aveva persino denunciato l’intera classe anche se poi aveva dichiarato una disponibilità a ritirare la querela in caso di scuse.

Con un altro passo si era mossa invece la dirigente dell’istituto, Isabella Sgarbi, che anche a caldo aveva voluto che non fossero comminate punizioni esemplari, «come in molti hanno chiesto in questi giorni, non importa se i giorni di sospensione sono tre, cinque o trenta», pensando invece che bisognasse «educare i ragazzi a diventare cittadini di concerto alle famiglie, alla società civile e al corpo docenti. Proprio quello che noi facciamo qui e che continueremo a fare. Ancora di più in quella classe».

Il caso di Abbiategrasso

L’accoltellamento avvenuto a maggio scorso all’istituto Alessandrini di Abbiategrasso invece si è concluso, come abbiamo visto, in modo diverso da Rovigo. Il ragazzino non solo è stato bocciato ma è stato espulso da scuola.

La professoressa colpita, Elisabetta Condò, ha preso parola dopo un mese dall’accaduto, raccontando che ha rischiato la vita, che le ferite ci metteranno molto tempo a guarire, e che il danno psicologico è notevole.

Ha parlato anche di ruolo professionale svilito dal grave definanziamento dell’istruzione, di un piano scuola 4.0 che preferisce ambienti digitali non pensati per la didattica a spazi dove creare relazioni educative significative, ha ricordato che la famiglia del ragazzo non le ha chiesto scusa.

La questione che i due episodi di aggressione ci pongono è la stessa ed è semplice: perché dei ragazzini aggrediscono i docenti? E le risposte che ci possiamo dare rischiano di essere inutili – «manca il rispetto», dice Valditara, in vena di truismi – o fuorvianti, si accreditano questi accessi alla violenza dei videogiochi, della rete, o di altre tecnologie soprattutto ludiche usate dai ragazzi. z

Forse dunque dovremmo riformulare la domanda, in questo modo: cosa fare di fronte a momenti di crisi educativa così importante? Cosa fare quando la comunità educante letteralmente ferita rischia di esplodere?

L’educazione – se si crede alla potenza della sua azione – può avere effetti rivoluzionari, altrimenti è davvero sprecato il nostro tempo in classe o in qualunque relazione educativa.

Invece, proprio di fronte alle crisi e ai fallimenti possiamo decidere come agire. In queste due vicende ci sono delle voci che suonano abbastanza stonate e sono quelle degli avvocati; quando si pensa di affrontare una crisi scolastica privilegiando la dimensione penale, si è in qualche modo già perso.

Trasformare la consapevolezza

Per questo sarebbe giusto non commentare in modo invadente, come fa il ministro irrispettoso dell’autonomia, un percorso che sarà stato doloroso, complesso, ma magari proficuo nel ricucire la relazione lacerata tra docenti e studenti che era deflagrata con l’aggressione alla professoressa Finatti.

Il fallimento di una relazione interroga tutta la comunità che gli sta intorno, dai dirigenti ai compagni. Non potremmo immaginare invece che proprio questo sia l’obiettivo della scuola: trasformare la consapevolezza morale di ragazzi che stanno crescendo? Non è questo che chiamiamo educazione democratica alla libertà? Questo dovrebbe essere il compito che la repubblica assegna a tutta la società; se lo togliamo anche alla scuola, cosa ci resta?

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