«Con quello che abbiamo pagato o stiamo pagando per la licenza, ora vogliono toglierci il lavoro!». Il tema più ricorrente tra i tassisti che protestano contro il disegno di legge Concorrenza è quello delle licenze acquistate a peso d’oro, licenze che – se diminuisse il numero delle corse da gestire – qualcuno potrebbe far fatica a pagare, visto che in molti hanno potuto ottenerle grazie a un mutuo.

Un sistema feudale

La preoccupazione potrebbe sembrare comprensibile se la faccenda delle licenze, in realtà, non nascondesse una delle più assurde incongruenze di tutta questa storia. Le licenze infatti vengono cedute a basso prezzo dai comuni tramite regolari bandi.

I bandi, negli anni, sono praticamente spariti per due motivi: i tassisti, per legge, possono decidere a chi cedere le licenze (un sistema feudale, verrebbe da dire) segnalando il nominativo al comune. E fin qui, ci sarebbe già molto da dire, ma siamo nelle regole. In seguito, i tassisti hanno creato una sorta di mercato interno delle licenze, opponendosi sempre con forza a nuovi bandi («Siamo già troppi») e rivendendole come se non fossero di proprietà del comune, ma cosa loro. Un loro bene privato, come una macchina o una casa. E contando appunto sul fatto che sono praticamente un numero ormai chiuso.

La liberalizzazione delle licenze ucciderebbe questo florido mercato (a Milano le licenze possono costare 200mila euro, a Venezia 400mila) e, ovviamente, la corporazione smetterebbe di essere quel fortino inespugnabile che decide le regole del gioco a spese dei cittadini e dello stato. Tra l’altro, in molti si domandano chi mai acquisterebbe licenze a questi prezzi se le dichiarazioni dei redditi dei tassisti (15mila euro l’anno di media) fossero veritiere.

Le origini del nervosismo dei tassisti sono dunque molto evidenti: da una parte l’introduzione delle sanzioni abbinate al pos obbligatorio che non consentono più di pretendere contanti e accumulare eventuali guadagni in nero. Dall’altra l’apertura eventuale alla concorrenza, che impedirebbe loro di fare il bello e il cattivo tempo e consentirebbe al cittadino di avere un servizio migliore.

Ci sono poi le denunce ormai pubbliche da parte dei clienti di soprusi e arroganza, che hanno più volte imbarazzato la categoria e, infine, la citata questione dell’eventuale liberalizzazione delle licenze, di cui si discute da tempo. «Si sta scoperchiando il vaso di Pandora e i tassisti hanno paura. Una frangia consistente, la più dura e intoccabile, ha capito che la festa sta per finire, è per quello che reagisce con violenza. Stanno annaspando».

Giovanna è figlia di uno storico tassista di Roma, di quelli che hanno avuto le licenze dal comune negli anni ‘70 e ha amici e parenti tassisti. Il padre assiste alla conversazione ma dice che fa parlare lei, che soffre nel vedere la categoria ridotta così, e alle parole della figlia annuisce con amarezza. Lei stessa voleva diventare una tassista, ma non c’è riuscita. «Quando ero giovane volevo prendere la licenza per studiare e mantenermi, ma mio padre l’aveva restituita da un po’ al comune e io dovevo comprarla a cifre folli dagli altri tassisti, non è stato possibile. Mi sono ammazzata di babysitting, ripetizioni e lavori nei pub, mia madre mi ha aiutata. Ma lo scandalo delle licenze è qualcosa di cui nella mia famiglia si è sempre discusso, perché alla fine siamo una famiglia di tassisti».

Un malcostume inventato

Cecilia Fabiano/ LaPresse

Qual è il punto? «Il punto è che i tassisti si lamentano perché le licenze costano, dimenticando di spiegare che le licenze si comprano perché è un malcostume inventato da loro. Le licenze taxi sono un bene del Comune e dovrebbero essere disponibili per chi abbia i requisiti. Il problema è che quasi tutti i tassisti quando smettono non le riconsegnano al comune ma passano di mano in mano, le vendono al miglior offerente».

Che deve offrire quanto? «A Roma sui 130mila euro, con tanto di trasferimenti registrati da notai. Sono decenni che il comune millanta l’assegnazione di nuove licenze ma poi nei fatti il sistema è questo». I tassisti dicono che ce ne sono già troppe. «Se devi guadagnare come un primario e dichiarare quanto un commesso sì, sono troppe. Spero che il governo azzeri questi privilegi assurdi e consenta a persone come me di lavorare nel settore, magari con Uber». Perché reagiscono con questa violenza al cambiamento? «Hanno paura. Per la prima volta i loro privilegi sono davvero in pericolo e il gioco sta per finire. Articoli come i suoi su Domani li stanno destabilizzando. Stanno annaspando e non me ne dispiaccio».

Quando costa ottenere una licenza dal comune, se si ottiene l’assegnazione? «Si pagano i bolli, gli esami, le abilitazioni… poche migliaia di euro. Poi c’è la macchina che è a carico del tassista così come il collaudo e poco altro». La cosa bizzarra è che si sia creato questo mercato delle licenze col benestare più o meno tacito dei comuni e dello stato. «Questo è un privilegio concesso veramente in maniera incomprensibile. Loro vendono e rivendono ciò che hanno avuto gratis dal comune. In più, come dicevo, se vuoi la licenza in linea di massima devi conoscere un tassista che sappia chi è disposto a cedertela. Esistono delle chat WhatsApp in cui i tassisti si scambiano informazioni varie, dagli incidenti agli scioperi, e scrivono anche quando c’è qualcuno che vende le licenze, cose tipo “Ao’ ce sta tizio che venne, vóle 130mila”».

Ma il comune non interviene? «Le licenze non tornano quasi mai al comune e sinceramente non so se il comune abbia sempre idea di dove vadano a finire le licenze. Si fa ancora tutto col cartaceo, la digitalizzazione è un miraggio e chissà se c’è un database aggiornato, chissà che controlli fanno…». Però i tassisti usano questa storia dell’aver comprato la licenza a peso d’oro come argomento difensivo. «Certo, ti dicono “E se questo mercato non è regolare perché lo stato ci fa fare le compravendite dal notaio? E perché le banche per comprare le licenze ci concedono il mutuo?”». Insomma, tu avresti voglia di lavorare nel settore come tuo padre, se regolamentato. «Certo. La gente non lo sa ma tante persone potrebbero lavorare come tassisti se il meccanismo fosse sano. Sarebbe un’opportunità per moltissimi, ma finché questa lobby continua a raccontarsi come una categoria maltrattata, i poco informati tendono a darle ragione, a pensare che subisca chissà quali soprusi».

E a proposito dei mutui concessi per l’acquisto delle licenze, chiedo a G., che lavora per un istituto di credito italiano se sia vero: «Guardi, io ho a che fare con molti tassisti e vedo dichiarazioni dei redditi al limite dell’imbarazzante. Però chiedono mutui per l’acquisto di licenze con case di proprietà a garanzia e sì, confermo, tutto questo è concesso regolarmente». Insomma, la vera domanda non è neppure “Draghi terrà duro?”, ma “come è stato possibile fino a oggi tutto questo?”.

 

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