Una vignetta del New Yorker di qualche anno fa, realizzata da Emily Flake, mostrava l’esterno di un ristorante che sull’insegna riportava la seguente battuta: «Cibo meticolosamente preparato e di provenienza locale, servito su manufatti di un passato industriale romantico, da persone che prendono spunto per la moda dai dagherrotipi, ad adulti i cui genitori pagano ancora l’affitto».

 Uno spaccato abbastanza preciso (e divertente) di una tendenza che negli ultimi anni ha visto arrivare sulle tavole dei ristoranti il cibo servito su qualsiasi tipo di supporto. Stendini per il bacon, vecchi ferri da stiro pale e carrelli della spesa in miniatura: un marasma di cattivo gusto e cene prontamente condivise online. 

Sulla stessa onda, ma con concetti e risultati decisamente diversi, sono sempre di più i cuochi che sviluppano in maniera più concettuale il loro rapporto con i piatti da portata: non più solo base di supporto sul quale appoggiare il cibo, ma sempre più parte dell’esperienza a tavola. A volte estremamente sensoriali (grazie a trame, ruvidità e materie) altre più concettuali (si pensi ad esempio alla bocca usata da Floriano Pellegrino e Isabella Potì al ristorante Bros di Lecce per il loro dolce “Limoniamo”) fino ad arrivare alla rinuncia del piatto stesso, come per il famoso dessert di Alinea a Chicago, servito direttamente sul tavolo sparecchiato. O ancora Jordi Roca, pasticcere del Celler de Can Roca (Girona, Spagna), che per il suo Helado de masa madre ha sviluppato un piatto semovente che simula la respirazione, per sottolineare come la masa madre sia un’entità viva. Concetti sviluppati per un fine ben specifico: quello di permettere al cliente un’esperienza unica e verticale.

Parte dell’esperienza

«Per me l’esperienza tattile legata alla porcellana è una parte importante del menù». Ci dice Giuseppe Iannotti, Chef del Kresios (Telese Terme) che cura i ristoranti all’interno dell’edificio di Gallerie d’Italia, ex Banco di Napoli, in via Toledo. «Il piatto serve a rendere omaggio ai contenuti ma soprattutto al luogo, alla filosofia che c’è dietro a un’esperienza di gastronomia. Quello che sicuramente crea maggiora appeal è la parte materica, quello che l’ospite tocca. Ovviamente quello che faccio è un discorso a 360 gradi quindi ho disegnato i bicchieri per l’acqua, così come i bicchieri dei cocktail realizzati con stampanti 3D». All’interno di Anthill, il suo cocktail e tapas bar, i piatti provengono da numerosi produttori, divisi tra aziende più note che lavorano in modo innovativo, o piccolissimi artigiani locali, come Sophie de Quervaib (The Wild Things Studio), ceramista svizzero-francese che ha avuto nello Chef campano proprio il suo primo cliente. Una ricerca che Iannotti prosegue anche per la casa madre del Kresios e che sviluppa tanto per le materie che per le forme, unendo visioni e professionisti, tra un Negroni e una paella, vicino ai vicoli di Napoli.

Roy Caceres è lo chef di Orma, ristorante gourmet a due passi da via Veneto a Roma: un progetto importante fortemente legato all’uso di materiali naturali, sia per l’architettura che per le stoviglie, compresi i centrotavola, sviluppati dallo stesso chef. «L’idea era quella di togliere il centrotavola canonico” ci dice Caceres “Ho sempre avuto un contrasto col centrotavola, non sapevo mai cosa mettere di nuovo e diverso abbiamo lavorato con Pots alla creazione di queste orme che si evolvono per creare l’alzata del pane, quello del kajmak e il contenitore per la piccola pasticceria. Durante la cena, in più step, cambiano, evolvono.”

Pots sono Angelica Mariani e Sebastiano Allegrini, una realtà ben salda nella ristorazione romana e non solo. «Roy aveva una sensazione di quello che voleva, più che un’idea visiva e di forma, voleva dare una certa sensazione con i piatti», inizia Angelica. «Voleva delle cose molto naturali, colori legati a terra, acqua, rocce, che però fossero più vivaci per non dare un tono troppo cupo al centrotavola. Facciamo un lavoro sugli smalti basato tutto su elementi naturali, li produciamo tutti noi», conclude Sebastiano. Anche qui due visioni simili che lavorano in una stessa direzione: quella della ricerca materica al fine di sviluppare l’esperienza culinaria.

«Tutto nasce dalla voglia di avere qualcosa di unico, un pezzo unico, qualcosa che pensi tu e che un artigiano realizza per te», riassume Caceres. Niente carrellini o piatti di ardesia a cuore, quelli meglio lasciarli a chi non ha nulla da dire.

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