Bisogna aumentare il numero delle licenze dei taxi e la flessibilità dei turni, viste le criticità che si riscontrano a Milano, Napoli e Roma ma anche a Firenze e Palermo. Sono i suggerimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che mercoledì è tornata a puntare i riflettori sulla carenza di auto bianche nelle principali città italiane.

Dalle segnalazioni che l’authority ha fatto ai comuni sono invece escluse Bologna e Torino, dove non sono emerse particolari mancanze. Tra le righe del documento c’è una critica al dl Asset, approvato a ottobre con l’intento di sbloccare l’impasse: per l’autorità presieduta da Roberto Rustichelli, occorre «adeguare il numero delle licenze alla domanda spingendo l’aumento oltre il 20 per cento fissato dal decreto Asset».

Già ad agosto l’Antitrust aveva inviato una richiesta di informazioni ai comuni di Milano, Napoli e Roma e alle principali cooperative per la prenotazione dei taxi al fine di valutare le condizioni di fornitura del servizio e fare luce sui gravi disservizi. Ne erano seguite tre segnalazioni che mostravano varie criticità, come la strutturale insufficienza delle licenze per soddisfare la domanda.

A questo si sommava la diffusa inerzia dei comuni nel richiedere alle cooperative le informazioni necessarie a verificare l’adeguatezza del servizio, con esiti negativi in termini di rilevazione, e un’eccessiva rigidità del regime dei turni. In estate l’authority aveva quindi puntato il dito soprattutto contro gli amministratori locali.

Promossi e bocciati

A novembre l’Agcm ha poi rivolto un’altra richiesta di informazioni ai comuni e alle cooperative di taxi di Bologna, Firenze, Genova, Palermo e Torino. Nel territorio di Palermo, emerge oggi, pesa «la strutturale carenza dell’offerta e l’assenza di controlli e di misure di regolamentazione flessibile dei turni».

A Firenze, invece, si nota «la mancanza di un meccanismo di monitoraggio sull’erogazione e sulla qualità del servizio, per cui l’autorità ha inviato una segnalazione in cui sono state evidenziate tali criticità». Al contrario, nei comuni di Bologna, Genova e Torino non sono emerse grandi mancanze nell’offerta del servizio, per cui non è stata inviata alcuna comunicazione.

Per migliorare la qualità dei trasporti, l’Antitrust suggerisce l’adozione di alcune misure correttive. Innanzitutto, occorre «adeguare il numero delle licenze alla domanda spingendo l’aumento oltre il tetto fissato dal decreto Asset». Il provvedimento spetta ai comuni, che dovrebbero adottare in tempi brevi i bandi di concorso pubblico per l’assegnazione delle nuove licenze.

In secondo luogo, è necessario rendere stabile ed effettivo il monitoraggio sulla qualità del servizio richiedendo – almeno annualmente – alle cooperative di taxi «le informazioni necessarie per stabilire se il numero di licenze attive sia sufficiente a soddisfare la domanda».

Le licenze non bastano

Il decreto Asset, in vigore dallo scorso autunno, ha aperto una via accelerata per mettere in strada nuovi permessi, ma è stato osteggiato dai sindaci perché li costringe a rinunciare a una parte degli introiti dalle nuove licenze: in questo caso, infatti, la totalità degli incassi va ripartita tra i tassisti già attivi come “ristoro” per l’impoverimento dei titoli in loro possesso.

Per questo motivo il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ha imboccato la strada tradizionale per liberare mille nuove licenze senza rinunciare agli introiti. A Milano è atteso per la prossima settimana il bando per 450 nuovi permessi, che saranno comunque insufficienti per risolvere il problema.

«Da tempo ci siamo posti il tema del servizio taxi e delle relative licenze e abbiamo lavorato per aumentarle – ha rivendicato l’assessora alla Mobilità, Arianna Censi – Per quanto riguarda i dati sull’efficienza del servizio, da più di un anno li abbiamo chiesti ai rappresentanti dei tassisti, ma abbiamo ricevuto solo risposte parziali».

A questo proposito, l’Agcm ha ribadito che il potere dei comuni di bandire concorsi per rilasciare licenze oltre il 20 per cento non è in contrasto con il dl Asset. Tra quanto previsto dal governo e la richiesta dell’autorità c’è «un rapporto di complementarità: il primo è un intervento straordinario, basato su una procedura semplificata, e il secondo un intervento definitivo».

Un parere inutile?

Le segnalazioni che l’Antitrust ha rivolto ai comuni, con i relativi suggerimenti, non sono però vincolanti. Rientrano nell’attività consultiva dell’authority, che può esprimere «pareri sulle iniziative legislative o regolamentari e sui problemi riguardanti la concorrenza e il mercato». Ma qual è l’efficacia di questi rilievi, non rischiano di essere inutili dato che non sono cogenti?

«L’Antitrust commina sanzioni che a volte sono troppo esigue e quando stimola le autorità politiche mostra la sua debolezza – dice Vincenzo Donvito, presidente dell’Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori) – L’authority insiste anche se le sue parole sbatteranno contro un muro e difficilmente avranno effetti concreti. Ma questo è il suo lavoro, non potrebbe fare diversamente».

Diversi i toni di Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, che interpreta la pronuncia di oggi come una bocciatura del dl Asset: «Il decreto era un fallimento annunciato e ora lo certifica l’Antitrust. Ha peggiorato la normativa precedente, che non poneva tetti all’incremento delle licenze. Se a ciò si aggiunge che quel 20 per cento è rimasto sulla carta, ecco che il flop diventa totale».

© Riproduzione riservata