L’inquadratura si muove al suono dei passi e mostra una lunga coda in piazza dei Cinquecento. Settanta persone aspettano impazienti, appoggiate sulle valigie o a braccia conserte. Sono i passeggeri che cercano un taxi fuori dalla stazione Termini, a Roma, immortalati in un video ripreso da un telefono e pubblicato mercoledì su X. «Bel biglietto da visita per i turisti che arrivano nella capitale!!», recitava il tweet a corredo del video.

In pochi minuti il social è esploso e la denuncia si è rivelata un boomerang, con 2mila commenti in poche ore. E non c’è da stupirsi dato che l’autrice del post era Daniela Santanchè, ministra del Turismo che su queste vicende dovrebbe avere voce in capitolo. «Quando finalmente andrete al governo risolverete la situazione», ha ironizzato Luigi Marattin (Italia viva). «Il suo governo, il suo ministero e il suo partito non ne sanno niente», ha scritto Selvaggia Lucarelli.

I taxi che mancano

Un tiro al piccione contro la ministra più traballante del governo, indebolita dall’inchiesta su Visibilia e candidata a essere sostituita in un eventuale rimpasto. Eppure la carenza di auto bianche è un dato di fatto, con code infinite fuori dalle stazioni, a Termini come in Centrale a Milano. Ed è ancora più evidente con la ripresa dei flussi turistici dopo la pandemia. Nelle grandi città i taxi sono troppo pochi: nella capitale le licenze attive sono 7.962, cioè 2,8 ogni mille abitanti.

Una situazione difficile che, per l’Antitrust, può essere risolta «incrementando le licenze e adeguandone il numero alla domanda». Le sigle del settore, però, sono contrarie all’aumento dei permessi perché ne temono la svalutazione: la presenza di nuove licenze abbasserebbe il valore di quelle già in uso qualora il titolare volesse rivenderla. E sono somme non proprio irrisorie; a Milano, Roma e Napoli c’è un mercato legato ai permessi, che vengono ceduti per cifre che sfiorano i 200mila euro.

Il decreto fa flop

Il governo di cui Santanchè è parte ha fatto poco per risolvere il problema: considera con molta comprensione l’indole corporativa dei tassisti e nel suo primo anno di vita ha esitato a concedere nuove licenze. A ottobre ha varato il decreto legge Asset, che puntava a «snellire e accelerare le procedure per ottenere più licenze e aumentare il numero di taxi». Ma solo sulla carta e senza tentare una vera liberalizzazione. La misura ha scontentato tutti, con i sindaci pronti a lamentare un taglio dei fondi per la gestione del servizio.

Il decreto stabilisce che le licenze possano essere incrementate di meno del 20 per cento rispetto a quelle esistenti e, in via sperimentale, dà ai comuni la possibilità di rilasciare permessi temporanei in favore dei vecchi titolari. Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, vero bersaglio di Santanchè, ha avviato la procedura per la messa a bando di 1.500 licenze, ma ha criticato il meccanismo per cui i proventi dei nuovi rilasci andranno a “compensare” i tassisti: «Una parte del ricavato deve restare nelle casse comunali per costruire zone di sosta e corsie preferenziali».

Un bacino di voti

L’ipotesi di procedere a una liberalizzazione, del resto, si è scontrata con un ostacolo politico. I tassisti sono storicamente di destra, soprattutto nella capitale, e rappresentano un bacino di voti per Lega e Fratelli d’Italia, con i capi di alcune cooperative che sono stati candidati con FdI. Dai tempi di Alemanno sindaco, c’è una contiguità con una lobby che influenza le scelte della destra. Discorso analogo va fatto per la concessione delle spiagge, con i balneari («veri feudatari elettorali», per usare le parole del leader di Azione Calenda) che “tengono per la gola” i partiti al governo.

«Noi stiamo con i tassisti e chiediamo di stralciare la norma che li include nel ddl Concorrenza. Preserviamo i lavoratori dalle speculazioni delle multinazionali!», rivendicava Santanchè nel 2022. Il suo partito era all’opposizione, oggi è a palazzo Chigi. A ricordarglielo, sotto il tweet incriminato, è una community note di X: «Il post è fuorviante, l’autrice potrebbe agire sul problema. È un ministro dell’attuale governo e può cambiare la legge sulle licenze». Ma per liberalizzare bisogna volerlo e avere le mani libere per farlo.

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