Più di 60mila ragazzi affronteranno martedì 28 maggio il test di medicina, con una eventuale seconda sessione prevista a luglio. Lo faranno in un contesto di grandi cambiamenti, che vorrebbero sciogliere nodi che hanno creato una sorta di massa indistinta di problemi. Una possibile soluzione sarebbe proprio quella di togliere la selezione per l’accesso ai corsi di laurea: forse dall’anno prossimo, più probabilmente da quello successivo. Ma sarà sufficiente per ridurre i tempi di attesa del sistema sanitario e la carenza di medici, che riguarda soprattutto alcune specialità? O al contrario sarà controproducente?

Non ci sono dubbi che il sistema sanitario sia malato, ma il problema è capire quale sia la terapia giusta da prescrivere. La questione riguarda un po’ tutti: persone malate, figli di genitori anziani e chi avrà bisogno in futuro di cure. Riguarda, più in generale, chi ha a cuore la tenuta di un sistema sanitario che avrebbe l’uguaglianza come principio cardine.

Ma riguarda evidentemente soprattutto quei ragazzi che sognano di diventare medici e che con il test stanno per fare il primo passo di una carriera lunga e difficile. Secondo il vicepremier, Matteo Salvini, il grosso dei problemi deriva proprio da quella barriera d’accesso, che si traduce in una scarsità cronica di medici.

Non la pensa così Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo): «Siamo nettamente contrari, non è assolutamente una norma di buon senso», ha detto. «Eliminare il numero chiuso a medicina significa che fra 10 anni, il tempo necessario per formare un medico, avremo una pletora di laureati che non avranno possibilità di trovare un posto di lavoro come medici».

Il rischio, in altre parole, è di formare un esercito di disoccupati, spostando l’imbuto dall’accesso a medicina al momento in cui quei dottori dovranno scegliere una specialità o trovare un lavoro. Senza considerare i costi della formazione: secondo una stima fatta dal sindacato Anaao Assomed, per la formazione di ogni medico servono fra i 150mila e i 200mila euro di fondi pubblici, considerando anche gli anni che hanno passato a scuola.

La riforma

La riforma intanto ha preso la strada del parlamento, dopo l’adozione del relativo testo unico nella Commissione cultura e istruzione del Senato, simbolicamente un mese prima del test di quest’anno. La proposta ha poi ricevuto 65 emendamenti e da qui dovrebbe scaturire la riforma, sulla quale il governo avrà un anno per lavorare.

Se tutto sarà confermato, l’idea generale è di togliere il test d’ingresso iniziale. Ogni anno viene criticato soprattutto per la presenza di alcune domande di cultura generale, che in effetti hanno poco a che fare con la formazione di un medico.

La maggioranza vorrebbe spostare semmai la “tagliola” al secondo semestre: potranno continuare gli studi solo coloro che hanno ottenuto tutti i crediti necessari nei primi sei mesi all’università, attraverso esami qualificanti che formano poi una “graduatoria di merito nazionale”. Potenzialmente, già questo potrebbe essere un problema: non è ancora chiaro quali saranno i criteri che saranno adottati per garantirne la meritocrazia.

Ma le università temono già la fase precedente, quella dell’invasione delle matricole. Non ci saranno aule sufficienti per ospitare tutti. Dovranno verosimilmente essere organizzati corsi telematici, su argomenti chiave della disciplina. Si riuscirà davvero, in sei mesi, a mettere tutti nelle condizioni di essere alla pari, come se fosse una gara ad ostacoli dove è importante che tutti siano alla stessa linea di partenza?

La tagliola

Gli ultimi istanti di ripasso prima di entrare al test di ammissione alle facoltà di Medicina e Odontoiatria, in una foto del 2022 (Ansa)

È proprio questo l’intento principale di una riforma che prende ad esempio il modello francese, dove la tagliola scatta addirittura dopo un anno. Secondo i senatori che hanno proposto la versione italiana della riforma, un’attesa di 12 mesi avrebbe però il difetto di mantenere troppo a lungo gli studenti in un limbo, col rischio di aver buttato un anno di preparazione. I sei mesi sarebbero sufficienti, secondo i promotori, per mettere alla prova la motivazione e la preparazione degli aspiranti medici.

Ma la selezione per loro sarà comunque inevitabile, perché il sistema sanitario non può assorbire un’invasione di futuri laureati. Il punto è capire a che altezza andrebbe messa la barriera e secondo quali criteri scegliere chi può andare avanti con il corso e chi no.

Dopo una lunga discussione, nella proposta di riforma si fa riferimento alla necessità di rapportare il numero massimo al fabbisogno del sistema sanitario nazionale e alla disponibilità di borse per le specializzazioni mediche.

Il numero di medici

Il problema è che il conto matematico non è semplice e comunque va fatto in prospettiva: un qualsiasi intervento fatto oggi avrà i suoi effetti fra una decina di anni, quando le matricole avranno finito il loro percorso di studi.

In una sentenza di inizio anno, il Tar del Lazio ha già criticato il numero dei posti banditi per l’anno accademico 2023/2024, parlando di «un’istruttoria carente e approssimativa». Inoltre, secondo un’indagine di Anaao Assomed, la carenza vera non sarebbe da ricercare nel numero di universitari iscritti a medicina, ma «di specialisti, particolarmente in alcune specialità».

In particolare, dal 2023 al 2032 sono attesi 109mila pensionamenti di medici. I numeri di posti a medicina dal 2016 al 2027, considerando gli attuali criteri, porteranno a circa 141mila medici. In altre parole, la stima fatta da Anaao Assomed è di circa 32mila medici in più rispetto al necessario, «ben oltre quelli necessari a colmare l’attuale carenza di circa 20/25mila medici, tra specialisti e medici di medicina generale». Guardando le cifre, significa che il problema non è tanto la carenza di laureati.

In più, dal 2027 calerà anche il numero dei medici che andranno in pensione, con il rischio concreto che dalle università usciranno medici che poi non potranno esercitare.

La protesta

O almeno questo è il timore di decine di studenti di medicina, che il 10 maggio hanno manifestato sotto alla sede del ministero dell’Università. Sono riuniti in alcune associazioni – Numero giusto, Anaao giovani e Domani in salute – che criticano l’impianto generale della riforma. O, quanto meno, sottolineano che la vera priorità è tutelare il sistema sanitario nazionale, garantendogli più fondi, e trovare criteri oggettivi, fissati per legge, per programmare gli accessi all’università. Anche per garantire a tutti la qualità della formazione.

Lorenzo Farrugio, di Numero giusto, studia medicina a Roma. «Se si fa esplodere il numero di studenti di medicina, poi c’è un rischio concreto», spiega. «In futuro questi saranno medici poco formati, perché perderanno l’occasione di entrare a contatto con il paziente. Saranno medici di penna, che avranno meno esperienza clinica».

Il test d’ingresso ha effettivamente molti difetti, ammette Farrugio, ma per renderlo il più possibile “giusto” non serve spostarlo di sei mesi. «Si può immaginare di ancorarlo ai programmi scolastici e di potenziare la cosiddetta “curvatura biomedica”, che è un percorso sperimentale per orientare gli studenti e prepararli al test», dice. «Ma la vera iniquità sta nelle disuguaglianze che si creano già a scuola. Ragazzi che hanno una formazione diversa sulla base del liceo che frequentano, della loro provenienza geografica o della famiglia di origine. Forse è su questo che bisognerebbe intervenire».

La terapia

Ma se il sistema è davvero malato, quale può essere dunque la terapia? Filippo Anelli, presidente degli ordini dei medici, lo ha detto martedì, in audizione alla commissione Affari sociali alla Camera: «Il servizio sanitario nazionale va rimesso al centro dell’agenda politica, garantendo un forte investimento, aumentando il finanziamento del Fondo sanitario nazionale, sia in termini assoluti sia in rapporto al Pil», ha spiegato. «Va fatto in maniera consistente e stabile, per allinearlo alla media degli altri paesi europei, potenziando il ruolo e la funzione delle figure professionali in ambito sanitario, a partire da quella medica».

«Bisogna rendere più attrattivo il lavoro del medico del servizio sanitario, cambiando il modello di lavoro e rafforzare la medicina territoriale, sostenendo i medici di medicina generale con équipe multiprofessionali e strumenti per la diagnostica di primo livello». «I professionisti che tengono in vita la sanità pubblica devono essere ai primi posti dell’agenda di tutte le forze politiche».

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