Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge per la ratifica dell’accordo con l’Albania sui migranti. In un primo momento, sembrava che non vi sarebbe stato il passaggio in parlamento, poi la criticità è stata superata. Ma di criticità ne restano molte altre.

L’accordo

I migranti - salvo donne incinte, minori e persone fragili - verranno portati in un hotspot a Shengjin, dove saranno identificati e potranno chiedere asilo. A quelli provenienti da paesi sicuri si applicherà la procedura accelerata di frontiera nel centro di Gjader. I giudici competenti saranno quelli del foro di Roma. Collegamenti in videoconferenza consentiranno ai migranti di comunicare con i loro avvocati nonché di essere ascoltati dai magistrati.

L’entità dell’esborso per l’Italia non è ancora chiara, ma si stima che sarà di circa duecento milioni di euro, cui andranno aggiunte altre spese, ad esempio per «i restanti oneri del protocollo», per il trasporto in Italia di chi non potrà restare in Albania e altro. Inoltre, i migranti destinati ai due centri potrebbero essere solo 700 al mese circa, e non i 3.000 annunciati da Giorgia Meloni.

Dunque, l’accordo comporterà costi molto maggiori rispetto a quelli relativi ai centri per il rimpatrio siti in Italia (Cpr). Costi a carico dei cittadini italiani, e servirebbe che sul punto il governo fosse trasparente con i cittadini stessi.

Salvataggi in acque internazionali

In Albania saranno portate esclusivamente «persone imbarcate su mezzi delle autorità italiane all’esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell’Unione europea, anche a seguito di operazioni di soccorso». Questa puntualizzazione ha una finalità precisa. Se i migranti fossero salvati nelle acque territoriali di uno stato dell’Ue, sarebbe applicabile il diritto europeo in materia di asilo: entrando nel territorio di uno stato membro, essi farebbero ingresso in Ue e vigerebbe il diritto dell’Ue. Ma il diritto europeo non potrebbe applicarsi in uno stato terzo, quindi l’Italia non potrebbe portarli in Albania. Ecco il motivo per cui nel protocollo si considerano solo i migranti salvati in acque internazionali.

Ciò ha fatto sì che l’Ue non abbia dato un parere contrario all’accordo, come si evince dalle dichiarazioni – per quanto contorte – rese il 15 novembre scorso dalla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson. La commissaria ha affermato che «l’accordo tra Italia e Albania «non viola il diritto dell’Ue» perché «è al di fuori del diritto Ue», anche se «dal punto di vista legale» la legge italiana «deriva e dipende dal diritto Ue» e «si conforma al diritto Ue». Ma la costruzione giuridica su cui si basa la non applicabilità del diritto dell’Ue ai migranti in discorso presenta una falla che potrebbe mettere a rischio l’accordo.

I problemi giuridici

Nella sentenza Hirsi Jamaa del 2012, la Corte europea dei diritti dell’uomo affermò che una nave militare battente bandiera italiana in acque internazionali è soggetta all’esclusiva giurisdizione dello Stato italiano, dunque è come se fosse territorio nazionale. Lo stesso concetto è stato affermato in un parere del servizio giuridico del Parlamento europeo nel novembre 2018: le navi militari che battono bandiera di uno stato membro possono essere considerate «parte del suo territorio ai sensi e per gli scopi della direttiva 2013/32/UE», relativa proprio alla protezione internazionale.

Dunque, quando i migranti salgono su una nave militare italiana è come se fossero in territorio italiano, quindi in territorio dell’Ue. Pertanto, essi hanno diritto a presentare domanda di asilo ai sensi del diritto dell’Ue, che però non si può applicare in Albania. Le valutazioni sarebbero state diverse se l’accordo avesse riguardato i migranti salvati dalle navi delle ONG, che non costituiscono territorio del paese di bandiera.

C’è poi un problema ulteriore. Le zone di trattenimento dei migranti in Albania «sono equiparate alle zone di frontiera o di transito», per poter applicare in esse la relativa procedura accelerata per chi proviene da paesi “sicuri”. Ma, nelle scorse settimane, la finzione giuridica di reputare come zone di frontiera aree diverse da quelle di ingresso è stata giudicata illegittima da alcuni tribunali italiani, poiché in contrasto con la normativa europea. La questione ora è all’esame della Cassazione.

Insomma, le valutazioni sul protocollo con l’Albania sono destinate a spostarsi nei tribunali. Tra costi ingenti e problemi giuridici, ci si chiede a chi giovi l’accordo. Di certo, non all’Italia.

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