Jannik Sinner, il tennista cui il popolo ha affidato il leggiadro incarico di far sbiadire le imprese di Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta – compito mai chiesto a quarant’anni di atleti che, negli Slam, ci avevano abituati a percentuali di sopravvivenza da trote nei laghetti – è stato eliminato dall’ultimo torneo Slam della stagione negli ottavi di finale, battuto in cinque set di corse e sudate amazzoniche da Alex Zverev.

Quattro ore e quaranta minuti di battaglia e un punteggio – 6-4 3-6 6-2 4-6 6-3 – che suggeriscono un match mai semplice, mai apparso sotto controllo per il giocatore italiano e che non mancherà di avvelenare un dibattito già piuttosto tossico su ambizioni e speranze agganciate alla visiera del campione italiano.

La cronaca ci restituisce Sinner vittima di crampi da misto di tensione e clima di umidità quasi tossica già dalla fine del primo set, rimesso in piedi dagli interventi del fisioterapista e disposto, al solito, a lottare con tigna per agganciare Carlos Alcaraz nei quarti di finale e riproporre la sfida dello scorso anno, persa con tanto di match point in un’altra battaglia clamorosa.

La partita

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Nonostante un servizio che non ha collaborato, anzi, si è incartato a più riprese concedendo fiducia e indebiti vantaggi a un avversario incline alle turbe emotive, il giocatore italiano era riuscito a raddrizzare la partita: ceduto malamente il primo set con un turno di battuta zeppo di errori, la partita ha brevemente promesso di incanalarsi per il verso giusto ma, nel terzo set, è sceso il buio.

Due turni di servizio ceduti, dolore crescente ai muscoli delle cosce ma un’ultima speranza concessa da Zverev nel quarto set. Purtroppo, all’inizio del quinto e con entrambi i protagonisti della notte newyorchese sfigurati dalla fatica e dalla tensione, Sinner ha subìto un break gravissimo, mai più recuperato nonostante un terzo game con la palla del controbreak e, ancora, un dritto a metà campo smarrito per incertezza. E addio al torneo, dunque.

Alex Zverev, finalista a Flushing Meadows nel 2020, non era un regalo di compleanno per un ottavo di finale. Questo no. Ma era lecito sperare in qualcosa di meglio? Forse affrontare Taylor Fritz, oppure Frances Tiafoe sul campo da tennis più grande del mondo, in sessione serale e col pubblico assatanato, sarebbe stato meglio?

Dopodiché, è vero che il tedesco non si era più mostrato tanto ispirato dopo quel terribile infortunio dello scorso anno, a Parigi, quando la sua caviglia si girò al rovescio. Sfortunatamente per Sinner, Zverev ha scelto il suo Slam più fruttuoso per tornare a macinare un tennis da primi dieci al mondo, con l’ulteriore spinta di non essere un favorito obbligato a vincere, condizione che il tedesco vive con ansia.

Uno Zverev spensierato, col servizio che cannoneggia, il rovescio al solito letale e il tremebondo dritto non così scombiccherato, anzi. Il tutto ha cospirato per presentare un avversario contro cui Jannik Sinner, sì, può perdere. E succede perché l’altoatesino sa fare benissimo il suo – il ritmo asfissiante da fondocampo, la capacità di tenere lo scambio violento e profondo – ma, per quanto ci si impegni e il suo team ne abbia piena consapevolezza, non c’è una vera alternativa al suo tennis “sparato”.

Non c’è perché il servizio non funziona come dovrebbe, e non gli offre una stampella nei momenti in cui un punto non lottato aiuterebbe a rifiatare. Nel duello della notte, Zverev ha messo in campo il 70 per cento di prime palle. Sinner, il 54. E quei punti gratis mancati, sparpagliati qua e là, si sono fatti sentire.

Il gioco di Sinner

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Sul resto del campionario, la situazione è nota: Sinner non ha la mano delicata di Musetti, né la vena creativa di Carlos Alcaraz. Difficilmente potrà, nonostante i progressi al volo e negli altri colpi cosiddetti colpi speciali (la smorzata, essenzialmente) rendere il suo gioco altro rispetto a ciò che è: un cannoneggiare che, classifiche alla mano, lo rende il quarto giocatore del mondo in stagione, con la qualificazione alle Atp Finals di Torino a portata di racchetta e un 2023 nel quale ha disputato la sua prima semifinale in un major, nel tempio di Wimbledon. Se pare poco.

Quando una disputa è tuttavia drogata – e quella sulla carriera di Jannik Sinner, sul suo futuro, sull’asticella cui sistemare le aspettative pubbliche, palesemente, lo è – bisognerebbe risistemare la discussione su un piano di ragionevolezza.

Nel caso del rosso Jan hanno contribuito a offuscare il senso comune il ventennio di oligarchia Federer-Nadal-Djokovic. Prima di loro, esistevano carriere eminenti eppure costellate di inciampi: Becker, Edberg, Lendl, Agassi, lo stesso Sampras titolare di un primato ora sminuzzato da quei tre alieni, quattordici titoli Slam, non erano abbonati alle fasi finali dei tornei-clou. Anzi.

Venivano eliminati anzitempo, passavano periodi di offuscamento. Nessuno chiedeva loro di essere sempre in finale, o giù di lì, pena la marchiatura a fuoco di delusioni o fallimenti della stagione. Toccherà riabituarsi: di extraterrestri, ne passa uno ogni tanto. Tre come quelli citati, il tennis, non li aveva mai visti dacché era stato inventato.

Un futuro promettente

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Dopodiché, per un altro verso, si è costruito un partito calcistico di Jannik Sinner, il cui dogma è il divieto di critica (lo chiamano «scendere dal carro») perché, in caso di trionfi come è accaduto nel Master 1000 di Cincinnati, chi aveva osato muovere giudizi o critiche al suo gioco ne aveva celebrato l’impresa (ossia era «salito sul carro»).

Lasciando i mezzi agricoli alla loro funzione, la considerazione è altra: Jannik Sinner è indubitabilmente destinato a vincere un grande torneo, anzi, più di uno. Anche a toccare la prima posizione mondiale, probabilmente.

Tuttavia, allo stato dell’arte, non è autosufficiente per un exploit simile. Perché esistono giocatori a lui superiori – due, Alcaraz e Djokovic, uno a seconda della superficie, Medvedev – e altri rivali attrezzati per incassare le sue botte e restituirgliele: Tsitsipas e Rune avendolo già dimostrato, lo yankee Fritz e l’adrenalinico Ben Shelton in potenza. Questo è.

E lascia perplessi che, tra aspettative pompate da sedicenti esperti e approcci pallonari, non si riesca quasi mai a centrare una sintesi non balzana: Jannik Sinner è un fuoriclasse. Alla sua età, con un decennio abbondante avanti a sé, sta facendo impallidire la tradizione del tennis italiano per precocità e peso dei risultati. Ma no, le stimmate sulle mani non le ha.

Anche se qualcuno giura di avergli visto moltiplicare i pani e, ora, dovrà spiegare a torme di tifosi delusi e inviperiti come mai, questa notte, nello stadio Arthur Ashe non ha fatto il miracolo.

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