La scrittrice ghanese ha raccolto storie della sessualità delle donne del suo continente: contro i pregiudizi. Ma il suo è un impegno che riguarda in generale una maggiore consapevolezza del desiderio femminile
Le donne africane non sono soltanto «madri che hanno tanti figli, che sono vittime di mutilazione genitale femminile o che soffrono di Hiv e Aids». Nana Darkoa Sekyiamah si è presa l’onore e l’onere di raccontare i corpi e la sessualità delle donne del suo continente, che i media occidentali tendono a non considerare: 32 storie che ha raccolto dalla sua Accra nel 2022 da ogni angolo dell’Africa, tradotte adesso da Garzanti in La vita sessuale delle donna africane.
Scorrendo il suo libro, colpisce il senso di sicurezza che porta le donne che ha intervistato a confidarsi. È stato difficile costruirlo?
Credo che ad aiutarmi a creare una fiducia nelle donne che hanno generosamente condiviso le loro storie con me sia stato il fatto che ho lavorato in movimenti femministi a lungo e ho imparato a comprendere il concetto di far sentire le persone al sicuro. Ne ho intervistate tante a casa, non volevo far domande sul sesso in un posto dove altri ti possono ascoltare. Alcune volte è capitato che ne parlassimo in spiaggia, dove ci sono le onde e altri rumori che coprono la voce, altre donne le ho sentite su Zoom.
Magari anche la sua attività da blogger ha contribuito.
Molte mi conoscevano e sapevano che potevano stare al sicuro con me, perché non sono una persona che giudica. Anche i miei valori femministi mi hanno portato a utilizzare un approccio e fare delle domande che mettessero a loro agio le interlocutrici. Inoltre, altre persone mi hanno raccomandato: una dominatrice che ho intervistato, Miss Deviant, è la vicina di una mia amica. E, poi, mi sono presa del tempo: con alcune donne ci siamo parlate diverse volte prima di arrivare a quell’argomento.
Come ha trovato le persone da intervistare?
La primissima mi ha scritto su Twitter per farmi domande sul sesso perché si sentiva confusa sulla sua sessualità. A quel tempo avevo già deciso che avrei scritto questo libro, e quindi, dopo averle risposto, le ho chiesto se potessi intervistarla. Ho anche annunciato che stavo cercando persone su Twitter e sul mio blog. E poi la voce si è diffusa, e tante donne hanno voluto che raccontassi la loro storia.
Quando ha capito che c’era un libro da scrivere?
Ho avuto l’idea nel 2014, ma la forma vera e propria del libro mi è stata chiara solo quando avevo già fatto una ventina di interviste e ho iniziato a catalogare le storie individuando tre filoni: le donne che sono ancora in viaggio per capire chi sono e si stanno liberando delle cose che hanno imparato crescendo, quelle che hanno subito traumi e stanno guarendo, e poi gli “unicorni” da cui abbiamo tutte da imparare, che ho messo nella sezione “Libertà”.
Parla molto liberamente di un tema che per tanti resta un tabù. Ha incontrato critiche da chi non tollera donne che parlano di sesso?
Non ho subito molte critiche dette in faccia, forse le persone non hanno abbastanza coraggio per farlo. E poi non rispondo ai troll online, quindi la conversazione non continua. Certo, c’è la mia posizione privilegiata di donna africana di classe media a proteggermi. Peraltro, quando ho iniziato a scrivere questo libro poi lavoravo con un’organizzazione femminista, ora sono da sola. Scrivevo una rubrica per un periodico, e a un certo punto hanno avuto problemi con la raccolta pubblicitaria perché non piaceva: quindi sì, c’è dell’ostilità, ma è indiretta.
In passato ha spesso spiegato di voler cambiare il pregiudizio occidentale sulla condizione della donna africana, raccontata spesso come una figura senza storia e senza una sfera sessuale.
Effettivamente una delle motivazioni che mi hanno portato a scrivere questo libro è la sensazione che soprattutto nei media occidentali il racconto delle donne africane, dei nostri corpi e della nostra sessualità sia molto limitato.
C’è un’immagine ricorrente?
Ci sono tante storie di madri che hanno molti figli, che sono vittime di mutilazione genitale femminile o che soffrono di Hiv e Aids. Senza neanche la consapevolezza che, anche se fosse quella la realtà, c’è altro oltre la malattia, oltre l’abuso. Perciò voglio mostrare che anche se viviamo dei traumi abbiamo dello spazio di manovra nelle nostre vite. Anche noi facciamo scelte, anche noi cerchiamo il piacere.
C’è qualche storia che l’ha colpita particolarmente?
A ispirarmi sono state in particolar modo le storie delle donne africane più avanti negli anni, perché generalmente i racconti che riguardano una sessualità intesa in maniera positiva hanno come protagoniste donne giovani. E invece anche solo sapere che ci sono donne più anziane che hanno una vita sessuale straordinaria, che si innamorano a sessant’anni mi rende felice e mostra che possiamo finalmente mettere da parte quell’idea di donne anziane che sono zitelle miserabili buone solo a guardare i nipoti.
Negli ultimi anni c’è più attenzione al desiderio femminile, ma è soprattutto per merito di libri come il suo in cui le donne prendono il controllo della propria sessualità. Ci stiamo imparando a conoscere meglio e a chiedere quello che desideriamo?
Lo spero. Uno dei vantaggi dei social media è che ora le donne hanno un luogo dove condividere le proprie storie e trovare altre persone che la pensano alla stessa maniera, costruire qualcosa, imparare qualcos’altro. Penso anche che conosciamo meglio i nostri corpi e siamo maggiormente in grado di occuparci del nostro piacere, che generazioni di donne prima di noi spesso non hanno avuto modo di provare.
Cosa significa in questo contesto il gesto di mettere per iscritto i desideri? Lei l’ha fatto anni fa, ma se ne sono occupate anche altre autrici più di recente, una su tutte Gillian Anderson con l’antologia Want: c’è bisogno di mettere nero su bianco quello che vogliamo?
Sono contenta che Anderson se ne sia occupata, credo che abbiamo bisogno di più storie come queste: non sono stata la prima a raccoglierne, ma ne abbiamo ancora troppo poche. C’è sicuramente il libro di Nancy Friday, che è stato fondamentale negli anni Settanta, ma era molto concentrato sulle donne americane bianche. Spero che oggi ci sia più attenzione alla diversità e alle minoranze sessuali nella produzione, persone queer, sex worker e donne trans.
Pensa che arriverà un momento in cui il piacere maschile e quello femminile saranno sullo stesso piano?
Dobbiamo continuare a lavorarci e a condividere le nostre idee, perché se non sappiamo immaginare un certo futuro non possiamo lavorare per raggiungerlo: sto ragionando su un romanzo che si svolge in un mondo tutto femminile, e mi piace immaginare questi futuri. Non dico che gli uomini siano il problema e che senza si vivrebbe meglio eh, ma il guaio è il sistema sociale in cui siamo stati educati.
Che rapporto ha con i suoi lettori uomini?
Sicuramente mi cercano di più le lettrici. Gli uomini spesso dicono che comprano i miei libri per le donne nella loro vita, che è un fatto interessante. Ma ci sono anche quelli che mi hanno ringraziato di scrivere questo libro.
C’è bisogno di esplicitare cosa vogliono le donne? Non esistono liste di cosa genera piacere agli uomini.
Credo che gli uomini siano stati educati a chiedere quello che vogliono in un ambito sessuale molto più di quanto succeda alle donne. Motivo per cui dobbiamo continuare a esercitarci, perché per noi è difficile chiedere quello che desideriamo, ma più lo facciamo, più diventerà facile.
Continuerà a trattare questo tema, dopo che ha portato tante donne a prenderne consapevolezza e occuparsene?
Credo che la cosa più importante sia avere alle spalle una comunità che ragiona alla stessa nostra maniera, e io ce l’ho. Negli ultimi sei anni ho organizzato l’Adventures Live Festival, un festival dedicato a sessualità e piacere che raccoglie persone provenienti da diverse parti dell’Africa e a volte coinvolge la diaspora. È importante creare spazi in cui incontrarsi e sapere che non sei solo.
E il suo lavoro letterario?
Il mio prossimo libro è un saggio: guarda alle maniere in cui i rituali africani dell’epoca precoloniale si occupavano di sesso e sessualità. Molti di essi si stanno perdendo. Vorrei però guardare a queste tradizioni e incoraggiarci a recuperarle e appropriarcene in senso femminista, perché nascono con un’impronta patriarcale.
Quando uscirà?
Spero il prossimo anno.
La vita sessuale delle donna africane di Nana Darkoa Sekyamah, Garzanti, 320 pp., euro 22
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