Vietato pubblicare notizie riservate sul ministro della Difesa Guido Crosetto, sui finanziamenti illeciti ai partiti, sul riciclaggio di mafiosi e lobbisti. Il rischio è passare non da giornalisti d’inchiesta, ma da avvelenatori di pozzi. Un monito a Domani e a tutta la categoria dei giornalisti.

Questo emerge se ci affidiamo alla lettura delle carte dell’inchiesta della procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone, in cui sono indagati il magistrato Antonio Laudati e l’ufficiale della guardia di finanza Pasquale Striano, entrambi destinatari di un avviso a comparire per l’interrogatorio da rendere in una fase che è ancora di indagini preliminari.

Striano per il momento si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre Laudati lo farà. Tra gli indagati, indicati negli atti, troviamo tutto il team investigativo del nostro quotidiano, Domani: il responsabile del team, Giovanni Tizian, l’inviato Nello Trocchia e il collaboratore Stefano Vergine (che co-firmano questo articolo).

Tutti e tre risultano indagati, anche se al momento ancora non hanno ricevuto nessun avviso di garanzia.

Nelle carte sono citati, ma non sono indagati, anche il direttore Emiliano Fittipaldi per gli articoli scritti due anni fa insieme a Tizian sui compensi ricevuti dal ministro Crosetto da Leonardo prima di entrare nell’esecutivo, e Federico Marconi per un articolo su una speculazione edilizia.

I reati che Tizian, Trocchia e Vergine avrebbero commesso sono accesso abusivo a sistema informatico, in concorso con l’ufficiale Striano, e rivelazione di segreto. Per l’accusa il finanziere avrebbe inviato ai tre giornalisti documenti estratti dalla banca dati Sidda-Sidna, il sistema informatico utilizzato dalla direzione nazionale e dalle direzioni distrettuali antimafia. Gli invii coprirebbero un arco temporale di tre anni e mezzo, dal maggio 2018 all’ottobre del 2022.

Dalle contestazioni della procura non è chiaro il contenuto di tutti i documenti che Striano avrebbe inviato per e-mail, utilizzando l’applicazione WeTransfer, ai tre giornalisti. Spuntano solo alcune indicazioni, nell’intestazione dei documenti o nel messaggio inviato dal finanziere della direzione nazionale antimafia: ci sono i nomi di atti giudiziari di alcuni politici (protagonisti di casi giudiziari o sospettati di vicinanza ad ambienti criminali), ma i più riguardano esponenti delle più pericolose organizzazioni criminali del paese, collegate al mondo della politica e dell’imprenditoria, o al traffico internazionale di stupefacenti. O informazioni relative ad alcuni degli appalti del periodo più duro della pandemia di Covid-19, finite anche nelle indagini di diverse procure nazionali.

Non c’è traccia di invii delle ricerche effettuate da Striano di informazioni finanziarie, relative alle dichiarazioni dei redditi o ai conti bancari di politici e imprenditori, o segnalazioni di operazioni sospette, come paventato ieri da alcuni giornali nazionali. Nelle informazioni che Striano avrebbe mandato ai giornalisti, quindi, non c’è nessun «dossier su politici e vip» ma solamente documenti agli atti delle procure: ordinanze di custodia cautelare e informative delle forze dell’ordine già disponibili ai magistrati inquirenti e alle difese. Questo dicono le carte dell’inchiesta.

I giornalisti del pool inchieste di Domani sarebbero quindi colpevoli, è la tesi dei pm, di aver pubblicato notizie. False? No. Vere, naturalmente, e che hanno dato parecchio fastidio ai governi di tutti i colori politici, incluso quello in carica, l’esecutivo di Giorgia Meloni. Tra gli indagati, risulta dalle carte, ci sarebbero anche altre sei persone, altri giornalisti e un ex finanziere. Per fatti tutti slegati tra loro, ma sempre per accesso abusivo e rivelazione di segreti.

L’indagine di Perugia tenta così di entrare nella carne viva dei rapporti tra fonti e giornalisti. Un po’ come aveva fatto la procura di Trapani che indagando sulle ong aveva intercettato cronisti mentre parlavano con i loro informatori o con gli avvocati dei migranti. Ora, in questo ennesimo caso di attacco all’informazione, il livello sale: equiparare le notizie a dossier impacchettati per colpire, non per informare. I reati contestati ai giornalisti indagati di Domani possono valere fino a cinque anni di carcere.

Se mai si dovesse aprire un processo, alla fine delle indagini preliminari, la procura di Perugia si intesterà il più grande dibattimento mai realizzato contro i giornalisti. Cronisti, è importante sottolinearlo, indagati non per aver pagato notizie, ricattato qualcuno o avere effettuato scambi di favori poco chiari o diffuso dossier falsi stile metodo Boffo, l’ex direttore di Avvenire colpito dalla destra con notizie patacca sul suo passato. In questa inchiesta i giornalisti di Domani sono indagati solo per aver dato, appunto, notizie sul potere politico e criminale.

Per capire come si è giunti a questo punto, è necessario fare un passo indietro. Ai primi giorni del governo Meloni.

L’esposto di Crosetto

Tutto ha inizio da un esposto presentato alla fine del 2022 da Guido Crosetto, all’epoca appena nominato ministro della Difesa. Domani tra il 27 e il 29 ottobre dello stesso anno manda in stampa una serie di inchieste sui compensi milionari che l’industria degli armamenti, in particolare Leonardo e Elettronica Spa, hanno versato tra il 2018 e il 2022 al fondatore di Fratelli d’Italia, che fino al giorno prima di firmare da ministro faceva di mestiere il lobbista del settore.

Le notizie sulle consulenze e sulle cifre incassate da Crosetto erano vere. Il ministro prima annuncia sui social che avrebbe denunciato i giornalisti di Domani per diffamazione. Poi ha evidentemente cambiato idea preferendo in gran segreto chiedere alla procura di Roma di andare a caccia delle fonti di Domani. Convinto che quelle informazioni arrivassero dalle sue dichiarazioni dei redditi, invece di rispondere del palese conflitto di interessi, ha scelto di affidarsi ai pm con l’obiettivo di individuare il canale dal quale abbiamo avuto la notizia.

I pm di Roma, che qualche mese prima avevano hanno dato ascolto alle lagnanze del ministro in carica. E dopo una serie di verifiche tramite Sogei, la società che gestisce i sistemi informatici delle banche dati dell’Agenzia delle Entrate, hanno individuato una rosa di nomi per poi selezionarne uno: il finanziere Striano, quasi 60 anni, una vita da investigatore antimafia tra Sicilia, Calabria, Campania, e infine collocato a capo dell’unità analisi segnalazioni operazioni sospette della procura nazionale antimafia.

Un ruolo di prestigio dove aveva il compito di produrre atti di impulso da inviare alle varie procure anti clan in giro per l’Italia. In pratica il suo lavoro e quello del suo gruppo era analizzare migliaia di segnalazioni dell’antiriciclaggio dividendole per argomento: affari relativi al Covid, riciclaggio, ecobonus, traffici vari ed eventuali. Un investigatore conosciuto da molti giornalisti.

Capo A e B

L’elenco delle accuse rivolte ai giornalisti di Domani procede per lettere. I capi A e B riguardano Tizian e Striano. Il primo, giornalista di Domani, in concorso con l’investigatore per accesso abusivo alla banca dati dalla quale si estraggono le dichiarazioni dei redditi. «Striano quale ufficiale di polizia giudiziaria [...] Tizian quale giornalista interessato a ricevere informazioni» avrebbero effettuato diversi accessi abusivi. Striano l’esecutore materiale, Tizian il mandante. Questa tesi che trasforma il giornalista in potenziale criminale si articola in un ulteriore contestazione: il cronista sulla base di quegli accessi agli atti ha poi realizzato insieme all’allora vicedirettore Emiliano Fittipaldi (oggi direttore) tre articoli sul ministro rivelando le consulenze d’oro siglate con l’industria delle armi. I pm suppongono che Tizian abbia ricevuto quei documenti. Ma è solo un’ipotesi. Perché non c’è traccia di alcun passaggio.

Ma i pm lo deducono da un fatto: Striano ha cercato il nome Crosetto in quella banca dati in diversi giorni (la prima volta addirittura tre mesi prima della pubblicazione degli articoli), e Domani ha scritto gli articoli tra il 27 e il 29 ottobre. Una cosa, intanto è certa: le notizie su Crosetto non provenivano da una Sos, cioè una segnalazione di operazione sospetta dell’antiriciclaggio. Non saremo perciò noi a dire da dove arrivavano: tutelare la fonte è una delle regole fondamentali del mestiere. È bene ribadirlo, perché in questi mesi la maggior parte dei giornali ha scritto il falso.

Dunque, la procura è convinta che le ricerche di Striano fossero collegate alla pubblicazione dei nostri articoli. Un’intuizione fondata su un incastro di date che non sempre combaciano: perché la prima ricerca sulle dichiarazioni dei redditi è stata fatta a luglio mentre i primi articoli sulle consulenze milionarie del ministro appare il 27 ottobre.

A questo va aggiunto un altro elemento rilevante: come hanno raccontato alcuni giornali, incluso il nostro, Striano stava lavorando a un atto di impulso sul riciclaggio nella ristorazione e si era imbattuto su due personaggi legati alla malavita romana, gente ancora oggi pesante nello scacchiere. Ebbene è approfondendo i due che scopre le società insieme a Crosetto. Da qui ulteriori verifiche. Il ministro, peraltro, continua a essere socio di questi imprenditori con legami e conoscenze che dovrebbero imbarazzare un rappresentante delle istituzioni. Ma tant’è. Per i pm quelle ricerche sulla dichiarazione dei redditi era fatta e confezionata per Domani.

Le altre accuse

“Il disegno criminoso”, così lo definisce la procura di Perugia, si arricchisce della contestazione a Striano di aver inviato oltre 300 documenti presenti nel sistema informativo delle direzioni antimafia a Tizian, di undici file a Trocchia e di cinque a Vergine.

Negli atti di indagine però non c’è nessun riferimento al contenuto di questi documenti o il collegamento con le inchieste pubblicate dai giornalisti. Solo ipotesi, al momento di non chiara formulazione, relative agli articoli di Tizian. Gli investigatori ritengono che nelle inchieste da lui realizzate tra il 2019 e il 2022 siano presenti informazioni presenti anche in segnalazioni di operazioni sospette di politici e imprenditori. Inchieste pubblicate dal settimanale L’Espresso tra il 2019 e la prima metà del 2020 (quando era ancora proprietà del gruppo Gedi, editore anche del quotidiano La Repubblica) e da questo giornale tra la seconda metà del 2020 e ottobre del 2022.

Tra i documenti che Striano avrebbe inviato al giornalista, il cui identificativo è presente nelle contestazioni dei magistrati, non appare nemmeno una Sos, una segnalazione di operazione sospetta, o altri documenti bancari o finanziari.

L’idea dei pm è che gli accessi al sistema delle Sos di Striano servissero poi agli articoli del giornalista. La colpa di Tizian è sempre la stessa: aver scritto articoli su giri di denaro sospetti che avevano per protagonisti i politici. In alcuni casi questi articoli hanno portato all’apertura di indagini della magistratura per sottrazione di fondi pubblici e finanziamenti illeciti ai partiti, sfociate peraltro in processi e condanne. Fatti ripresi da tutti i giornali italiani.

Per quanto riguarda gli undici file inviati a Nello Trocchia tra febbraio e settembre del 2022, ci sono invece i procedimenti giudiziari su imprenditoria e camorra e quelli su Elvis Demce. In quest’ultimo caso si tratta di atti di inchieste della magistratura capitolina, accessibili anche agli avvocati delle difese, e utilizzati nei processi. Demce è uno dei più efferati boss della criminalità albanese nella Capitale, legato alla camorra romana e ai narcotrafficanti che inondano la città di droga. I suoi sodali parlano di lui come un «Dio», la cui parola è legge e che fa rispettare in ogni modo. Lo scorso gennaio è stato condannato in primo grado a 18 anni e sei mesi per l’omicidio di un rivale.

Anche i cinque documenti inviati a Stefano Vergine sono relativi a carte giudiziarie in cui spuntano persone legate alla ‘ndrangheta in Emilia Romagna. Non viene segnalato in quali articoli dei due sarebbero poi comparse i documenti ricevuti. Niente di segreto, ma tutti atti già pubblici, come ordinanze di custodia cautelare o richieste di arresto già depositate e conosciute agli avvocati degli indagati. Alcuni inoltre già citati nelle cronache sulla criminalità organizzata pubblicate da altri quotidiani negli anni passati.

Gli altri indagati

Oltre ai nostri tre giornalisti, al magistrato Laudati e al luogotenente Striano, nel registro degli indagati spuntano un’altra decina di persone che avrebbero ricevuto documenti dal finanziere e scollegati dalle vicende che riguardano Domani. Ci sono altri cronisti, non noti al grande pubblico. Ma anche persone che si occupano di altro nella vita. Si tratterebbe di un amministratore di condominio, un ex ufficiale della guardia di finanza che ora lavorerebbe per la sicurezza di un’azienda privata e un investigatore privato. Anche loro sono indagati per accesso abusivo e rivelazione di segreto. E anche nel loro caso, leggendo il documento di indagine, non risultano essere stati mandati segnalazioni dell’antiriciclaggio o documenti bancari o relativi ai redditi, né di politici, né di vip.

All’ex finanziere, Striano avrebbe inviato tre file, due a gennaio 2021 e uno a giugno 2022: sarebbe un file word «contenente un atto di impulso della Dna» e un altro file presente nel sistema informatico delle Dda. Nulla a che vedere con esponenti di governo o di partiti. Il secondo è invece un file word «relativo ad attività investigativa in corso e quindi coperto dal segreto d’ufficio». Anche in questo caso non è relativo a politici o personaggi famosi.

All’amministratore di condominio ha inviato «via WhatsApp» annotazioni di polizia giudiziaria «concernenti l’incaricato di eseguire dei lavori di ristrutturazione presso il suo condominio» e altri dati anagrafici, societari, catastali. Solo in un paio di casi, secondo l’atto di indagine, spuntano informazioni relative a «segnalazioni di operazioni sospette» o ai «redditi percepiti»: ma non si tratta di politici o di vip, non che sia meno grave.

All’investigatore privato avrebbe inviato informazioni su alcune società, persone e numeri di telefono, ma non relative a redditi o conti correnti bancari. All’altra giornalista indagata invece aveva inviato nel 2019 un file chiamato «segnalazione di operazioni bancarie sospette classificate terrorismo» riguardanti un foreign fighter italiano nel conflitto in Ucraina. Tutte vicende slegate dagli articoli di Domani o da ipotetiche centrali di dossieraggio.

Per ora sono stati convocati a Perugia solamente Laudati e Striano: il primo non si è presentato all’interrogatorio, lo farà più avanti. Il secondo si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il finanziere, al momento della perquisizione lo scorso luglio, aveva giustificato le centinaia di accessi ritenuti abusivi con le procedure utilizzate in Direzione nazionale antimafia. Procedure modificate dopo l’arrivo del nuovo procuratore nazionale Giovanni Melillo, che a maggio 2022 ha sostituito Federico Cafiero De Raho.

Le accuse a Laudati

Le indagini dovranno ora chiarire cosa è successo. Negli atti che Domani ha potuto visionare è presente l’ipotesi che vede indagati Laudati e Striano per abuso d’ufficio, falso in atti pubblici e rivelazione di segreto. E avrebbe al centro un’inchiesta di Federico Marconi pubblicata nel 2021 dal nostro giornale su una speculazione edilizia in corso a Santa Severa, cittadina poco distante da Roma.

Non viene però citato nessun passaggio di carte né contatti del giornalista con i due indagati: non si capisce quindi su che base ci sia un collegamento tra la nostra inchiesta e il disegno criminale di Laudati e Striano. L’articolo di Domani raccontava di una compravendita immobiliare nelle mire di speculatori immobiliari di dubbia fama, con alcuni fili che conducevano alla criminalità organizzata, su cui è presente una chiesa e un convento dei francescani.

Terreno su cui sono presenti vincoli della soprintendenza archeologica. L’operazione che avrebbe portato alla costruzione di villette sul mare, contro cui si è mobilitata la cittadinanza, è stata bloccata dopo il nostro articolo e l’intervento del Comune di Santa Marinella, di Regione Lazio e della Soprintendenza.

La nostra inchiesta non ha ricevuto richiesta di rettifica, citazioni civili o denunce penali. Però secondo gli investigatori avrebbe fatto parte di un piano per danneggiare la Curia generalizia dei Frati minori ( che vendeva quel terreno e quegli immobili) e avvantaggiare il magistrato Laudati «quale è proprietario di un immobile situato nella zona, ove col predetto dossier si evidenziavano presenze della criminalità organizzata, si procuravano un ingiusto vantaggio». Che tipo di vantaggio non è chiaro. Di sicuro la notizia sulla speculazione non solo era vera ma ha anche portato al blocco dell’operazione opaca.

Intanto è certo che questa cortina di nebbia alzata sull’asse Roma-Perugia ha aiutato a nascondere la notizia da cui tutto è partito: il conflitto di interessi del ministro della Difesa. Uno scoop giornalistico è diventato così un “dossier”, seguendo il ragionamento dei pm che accusano il pool inchieste di Domani.

© Riproduzione riservata