«Sono tornata ad abitare a Cinecittà da poco, mia figlia ha due anni e non voglio crescerla in mezzo a questa violenza». Francesca Mandola ha conosciuto l'arroganza dei Casamonica, a metà ottobre, nel bar dove lavora. Per l'ennesima volta un gruppo di donne della famiglia non voleva pagare, alle proteste di Graziella Crialesi, la sorella del titolare, hanno cominciato a lanciare sedie e tavoli, a parlare con la lingua che conoscono meglio: la violenza. Un assalto che ha provocato la reazione del quartiere che, venedì scorso, è sceso in piazza al fianco di Graziella che ha deciso di denunciare.

Il potere del clan

I Casamonica non accettano rifiuti, considerano nella loro disponibilità ogni bene che appartiene agli altri e reagiscono ogni volta alla stessa maniera: urlano, minacciano, distruggono, picchiano. Sono forti di 40 anni di regno nella città di Roma che li ha considerati bulli di periferia, alla stregua di criminali di serie b, così da sentirsi perennemente impuniti e autorizzati a disporre delle cose e anche delle vite altrui.

Case occupate, ville abusive, spaccio di stupefacenti, soldi a strozzo, e, ai livelli più alti, traffico internazionale di droga e alleanze con le mafie tradizionali. La famiglia conta mille componenti ed è considerata l'espressione criminale autoctona più pericolosa del Lazio.

Il Rosy bar si trova nel quadrante est della capitale, luogo di adozione e crescita della potente famiglia criminale. A pochi passi da Cinecittà, orgoglio del cinema italico, è in scena da decenni questa saga criminale. Da Romanina a Porta Furba, da Anagnina al Quadraro, da Tuscolana a Ciampino fino ai castelli. Si sono allargati come in un domino. Un comprensorio enorme quello che cede verso Napoli dove hanno trovato alloggio comodo boss di camorra, compagni di ventura della famiglia egemone.

E loro sono cresciuti all'ombra dei boss della banda della Magliana e dei camorristi di stanza nella città. Una città che, negli ultimi anni, si è risvegliata grazie al coraggio di negozianti, marmisti, baristi che hanno denunciato il clan, ma anche per gli abbattimenti delle case e le azioni di contrasto e repressione messe in campo dagli inquirenti, in tribunale finalmente, dopo anni di distrazioni, alla parola Casamonica si è associata quella di mafia.

Oggi molti capi sono in carcere, non tutti, ma le giovani generazioni crescono con il fascino del crimine, l'ambizione di comandare e diventano manovalanza per lo spaccio. Proprio in questo angolo di Roma, nel 2018, un signore è stato costretto a una doppia operazione alla bocca.

I rampolli del clan gli avevano rotto la mandibola, ha avuto la colpa di difendere il figlio disabile insultato e bullizzato dai giovani della famiglia criminale. Ignorare o sottovalutare le giovani leve è colpa grave che potrebbe riconsegnare la città alle nuove generazioni.

Una delle operazioni delle forze dell'ordine che hanno interessato il clan è stata ribattezzata gramigna, come l'erba di campo, mai termine più efficace per raccontare di un fenomeno criminale che si ripresenta perennemente e attecchisce nonostante gli interventi. Si rigenera anche perché se la ricetta delle istituzioni è solo rimuovere e reprimere, i Casamonica saranno in grado di rioccupare ogni spazio.

L'ultimo assalto

«Alcuni di loro, in passato, li ho incrociati in palestra, erano esponenti della famiglia che poi sono stati arrestati, facevano pugilato», dice Francesca che è stata due volte campionessa di kikboxing e ora lavora come barista nel bar dell'ultimo assalto. «Io ero al bancone, avevamo appena aperto. Graziella è andata all'esterno quando le ha viste arrivare spiegandole che, questa volta, avrebbero dovuto pagare. A quel punto una ragazzina le ha sferrato un calcio (ha riportato sei giorni di prognosi, ndr), l'hanno accerchiata, ma Graziella ha reagito, è un ex pesista, mentre io chiamavo la polizia». Sono volate, sedie, tavoli, merce fino a quando una delle Casamonica si è rivolta a Francesca con una frase inequivocabile: «Ma tu perché intervieni? tu hai anche una figlia piccola».

È esploso un putiferio verbale, in parte immortalato in un breve video, girato dal figlio di Graziella. «Il bar è di mio fratello, io ci lavoro da pochi mesi. La prima volta che sono entrati nel locale alcuni clienti mi hanno detto che quelli erano Casamonica e di stare attenti. Erano cinque o sei, hanno pagato solo una parte della consumazione. Dopo tre giorni ho rivisto le ragazze invitandole a non venire più al bar, visto che la zia non mi aveva pagato. Continuavano a venire e a creare caos, l'ultima volta che le ho incrociate è partita l'aggressione, ma non mi piace subire. Mi hanno circondata e minacciata: “Noi siamo i Casamonica, ti diamo fuoco al bar, non lavorerai più”», racconta Graziella. Sono arrivati gli uomini della famiglia, ma anche gli agenti del commissariato e hanno evitato il peggio.

La fiaccolata

Scene di violenza che ricordano un altro episodio, accaduto nel 2018, quando altri componenti della famiglia hanno distrutto un bar alla Romanina, il Roxy bar, picchiando una disabile e una barista, assalto che è costato agli autori una condanna definitiva con l'aggravante di aver agito con modalità mafiose.

Come allora anche questa volta una donna ha denunciato lo strapotere del clan. Graziella si è rivolta al commissariato di zona e sono in corso le indagini per identificare i soggetti e le responsabilità, in quel territorio ci sono i parenti di Ferruccio Casamonica, coinvolto in un'inchiesta per associazione mafiosa e i congiunti di Enrico Casamonica, anche lui in carcere.

Alcuni componenti della numerosa famiglia vivono in case occupate, spacciano in strada utilizzando anche minorenni. «Una delle donne veniva a confezionare le dosi nel bar, ho trovato tracce di cocaina in bagno», spiega Francesca.

L'aggressione al Rosy bar ha provocato la reazione della comunità che è scesa in piazza con una fiaccolata, animata dal comitato di quartiere e dal prete di strada, Don Antonio Coluccia. C'erano i bambini delle scuole, le insegnanti, i genitori, ma anche il quartiere.

Le occupazioni

«Ogni volta sembra che siano scomparsi, poi tornano e seminano il panico. La realtà è che molti negozianti si piegano per non avere problemi e loro costruiscono in ogni angolo della città il loro potere, ma non ne possiamo più. Non andiamo in vacanza, abbiamo paura che loro o gente così ci occupi la casa, basta», dice un cittadino mentre impugna una candela urlando legalità.

E proprio sulle occupazioni il primo cittadino, Roberto Gualtieri, ha firmato una direttiva per riconoscere la residenza agli occupanti, il diritto di allacciarsi alle utenze pubbliche, ma solo per quelli ‘meritevoli di tutela’ ( basso reddito, nuclei seguiti dai servizi sociali, richiedenti asilo). Una scelta che preoccupa perché potrebbe essere una legittimazione anche delle occupazioni criminali. I Casamonica, ad esempio, hanno una caratteristica: sono nullafacenti e, per il fisco, nullatenenti, ma non sono gli unici che potrebbero rientrare nei requisiti previsti dal provvedimento che deroga dalla legge Lupi. 

Dal comune fanno sapere che non è così, gli sgomberi continueranno così come il contrasto alle illegalità e riconoscere la residenza significa fotografare lo stato delle cose, ma non legittimarlo.

Alla fiaccolata non ha partecipato Gualtieri, un'assenza che ha diviso i partecipanti. Era presente, invece, l'ex sindaca, Virginia Raggi, mentre per la giunta comunale c'era l'assessora Monica Lucarelli, il presidente del municipio e alcuni consiglieri.

«Bisogna dirsi la verità, il nostro territorio può risorgere se si riempie di risposte, noi non abbiamo luoghi di aggregazione, un teatro, un cinema, niente di niente e così la comunità si frantuma e si indebolisce. Al momento raccogliamo solo promesse e poco altro», dice Francesco Gori, un cittadino che abita da anni in questo territorio.

La fiaccolata si chiude proprio con un caffè al Rosy bar, dietro al bancone c'è Francesca, il suo sorriso e i suoi capelli biondi. «Paura? Non ne ho, ma me ne vado se non cambia niente, mia figlia non la voglio crescere qui».

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