L'arte di piacere a nessuno. È il talento cui Fernando Manuel Fernandes da Costa Santos, meglio noto semplicemente come Fernando Santos (Lisbona, 1954), potrebbe dedicare la stesura di best seller sul genere self help. Se la batterebbe tranquillamente coi Napoleon Hill, con gli Anthony Robbins, con gli Hal Erold.

Invece tira dritto a fare l'allenatore di calcio, in un ruolo che richiede tempra fortissima: commissario tecnico della nazionale portoghese (qui tutti gli articoli di Domani sugli Europei 2021). Tocca sedere su una panchina da fachiri e da lì governare come viene l'umore di un paese calcisticamente diviso fra tre religioni monoteiste: benfiquismo, portismo e sportinguismo (elencate in ordine alfabetico, che nessuno abbia a offendersi).

Lavoro improbo, specie se non disponi di un'immagine e di una comunicativa all'altezza della missione. E sotto questo profilo, con Fernando Santos, proprio non ci siamo. L’esatto contrario di José Mourihno. L'uomo ha un piglio monocorde e un'espressione perennemente dimessa, da rassegnazione a bassa intensità. Come quando fai il giro dell'isolato per scoprire che ti hanno fregato il parcheggio. E non gli è bastato vincere gli Europei 2016, il primo e unico trionfo nella storia della nazionale portoghese, per scacciare quest'aura.

Con quella faccia un po' così

Ecco, il mood di Fernando Santos è quello lì, 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Né lui prova a evitare che le cose insistano a andare a questo modo. Per dire, guardate come gli altri commissari tecnici gestiscono la propria immagine prestandola alla comunicazione pubblicitaria. Prendiamo il Roberto Mancini che in queste settimane fa da testimonial alle Poste e alla Regione Marche, e proietta un'immagine di freschezza. E paragoniamolo col Fernando Santos che cinque anni fa, nei giorni degli Europei di Francia, prestava in Portogallo l'immagine a una campagna per il controllo della vista rivolta alle persone di mezz'età. Negli shopping mall di Lisbona, fuori dalle botteghe di oculistica, venivano sfoggiati i cartonati di Fernando Santos a grandezza quasi, con tanto di occhiali da ipermetrope e l'espressione da “anche con queste lenti mi hanno ciulato il parcheggio”. Lo scarto sta tutto lì.

Magari è anche questo deficit di immagine a causare una così bassa soglia di stima nei suoi confronti. Ciò su cui esiste una vasta aneddotica. Un episodio è stato raccontato nel 2018 da un suo predecessore sulla panchina della nazionale portoghese, il brasiliano Felipe Scolari. Che giunto in Portogallo per partecipare a un dibattito pubblico, raccontò di essere stato riconosciuto dal tassista e elogiato come “il più grande allenatore nella storia della nazionale”. Scolari gli fece sommessamente notare che due anni prima Fernando Santos aveva vinto l’Europeo mentre lui, il suo, lo aveva perso nel 2004 in finale e per di più in casa. E il tassista gli rispose che Fernando Santos non capisce nulla di calcio. Persino il suo collega che guida la nazionale ungherese, l'italiano Marco Rossi, prima della gara dello scorso lunedì ha detto che il Portogallo è un tale concentrato di talento da poter essere allenato pure dall'autista del pullman o dal magazziniere. Il rispetto innanzitutto.

Malaussene e Mendes

Anche davanti a tali cadute di stile Fernando Santos reagisce con quella piega: parcheggio svanito, tocca fare altri dieci giri dell'isolato. Ci ha fatto l'abitudine, si sente un po' come il signor Malaussene. È il mestiere di fare il capro espiatorio, di lasciare che tutti se la prendano con te. Soprattutto i tifosi, che ciascuno dalla propria chiesa monoteista regolarmente contesta la lista delle convocazioni in nazionale e tira in ballo l'influenza del super-agente Jorge Mendes.

Nella vulgata popolare il boss di Gestifute sarebbe il vero compilatore delle convocazioni e Fernando Santos un mero esecutore. Accusa ingenerosa. Perché c'è stato un tempo in cui davvero un sospetto del genere, intorno alla nazionale, aveva un senso. Tanto più se il commissario tecnico era un (ex) cliente di Gestifute come Paulo Bento (attualmente ct della Corea del Sud). Ma adesso, davvero, l’accusa non ha più senso. Sia perché Fernando Santos non è mai stato cliente di Gestifute. Sia perché, oggettivamente, quasi tutti i migliori calciatori portoghesi appartengono alla scuderia Gestifute. E allora cosa dovrebbe fare il povero Fernando Santos? Non convocarne una metà per non dare adito alle chiacchiere sull'influenza di Mendes? Bisognerebbe piuttosto chiedersi come mai quasi tutti i più talentuosi calciatori lusitani finiscano sotto le insegne di Gestifute, anche nel caso in cui comincino la carriera sotto le cure di altri agenti. Ma questo è un altro discorso.

Resta il fatto che alla vigilia della partita contro la Germania – coi tedeschi imbufaliti perché per la prima volta nella loro storia arrivano a giocarsela da non favoriti contro i portoghesi – per Fernando Santos la musica è sempre quella: se si perde, lui è un somaro; se si vince, è perché una squadra con tutto quel talento potrebbe essere allenata anche dall'autista o dal magazziniere. Malaussene senza appello.

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