Il secondo turno delle elezioni francesi, domenica prossima, ci consegna lo stesso duello del 2017 ma in condizioni politiche diverse. Emmanuel Macron si presenta da presidente uscente dopo una guerra (da lui proclamata solennemente in televisione) contro il Covid non ancora vinta e una guerra, letterale, in corso in Europa. Marine Le Pen è riuscita ad ammantarsi di una patina di moderazione, grazie anche al fumantino Zemmour che ha fatto da parafulmine.

Tuttavia, il programma di Le Pen non è molto diverso da quello del 2017, e il Presidente di guerra non è riuscito a far dimenticare un bilancio che lo ha reso impopolare.

Un Frexit mascherato

Iniziamo da Marine Le Pen. Con una campagna intelligente è riuscita a far dimenticare le sue posizioni antieuropeiste (che avevano contribuito alla sconfitta del 2017) e ad accreditarsi come la candidata in grado di proteggere le classi popolari dall’inflazione e dal comportamento predatorio delle élite.

Tuttavia, sia pure riconfezionati, gli elementi centrali del programma del 2017 sono immutati.

Il programma di Le Pen si guarda bene dal promettere un’uscita dall’Ue. Esso, tuttavia, prevede un referendum per introdurre nella costituzione la supremazia del diritto francese su quello europeo che prefigura un’Europa à la carte, nella quale la Francia sarebbe libera di accettare solo le norme che le convengono.

Oltre a essere contraria ai trattati, la supremazia del diritto nazionale costituirebbe una secessione di fatto dal processo di integrazione europeo.

La stessa cosa si può dire per il progetto di introdurre la facoltà di preferenza nazionale (per esempio nelle assunzioni), anch’essa incompatibile anche con i trattati europei che organizzano la libera circolazione delle persone in tutti gli Stati membri, o ancora per la proposta di ridurre il contributo francese al bilancio europeo (peraltro impossibile da mettere in pratica, visto che il bilancio 2021-2027 è votato e in esecuzione).

Messe tutte insieme, le proposte di Le Pen sull’Europa costituirebbero insomma un Frexit di fatto, non molto differente da quello propugnato nel 2017; la sua “Europa delle Nazioni” sarebbe la tomba dell’UE come è stata faticosamente costruita a partire dal Trattato di Roma del 1957.

L’altra presidente dei ricchi

French far-right leader Marine Le Pen leaves after a campaign stop in Saint-Remy-sur-Avre, western France, Saturday, April 16, 2022. Marine Le Pen is trying to unseat centrist President Emmanuel Macron, who has a slim lead in polls ahead of France's April 24 presidential runoff election. (AP Photo/Thibault Camus)

Ma è sul sostegno alle classi popolari che l’illusionismo della candidata della destra è più spregiudicato. Guardando ai dettagli, le misure annunciate vanno nella direzione opposta a quella dichiarata, finendo per aggravare le disuguaglianze già aumentate durante il mandato di Macron.

Si prenda la promessa di eliminare l’Irpef per i giovani al di sotto dei 30 anni; questa misura favorirebbe quasi esclusivamente i rampolli dell’alta borghesia, visto che le classi popolari praticamente non pagano l’Irpef essendo sotto la soglia di esenzione.

La promessa di controllare i prezzi riducendo significativamente i contributi sociali porta con sé difficoltà di finanziamento di pensioni, sanità e welfare, che vanno a beneficio principalmente delle classi popolari.

Sulla fiscalità del capitale, la proposta di abolire la tassazione sulla residenza principale e di alzare la soglia di esenzione per l’imposta di successione andrà a vantaggio principalmente di chi ha residenze di lusso (gli altri sono coperti da esenzioni).

La “candidata delle classi popolari” non intende rivenire sulla flat tax sui redditi da capitale né sulle mille nicchie fiscali che consentono alla ricchezza finanziaria di eludere il fisco.

Insomma, una candidata che fa della protezione delle classi popolari il fulcro del suo programma, propone in realtà una riforma fiscale che si guarda ben dal toccare le rendite e i redditi più elevati e che metterebbe in pericolo la protezione sociale.

Anche astraendo da altri aspetti problematici del suo programma (un certo autoritarismo che rimane nel patrimonio genetico del suo movimento), Le Pen sarebbe una pessima guida per la Francia e costituirebbe una condanna a morte per il processo di integrazione europeo.

Nell’ultima settimana di campagna questi trucchi da illusionista saranno più discussi di quanto non sia avvenuto nei mesi scorsi in una Francia distratta dalla guerra, dalle sparate di Zemmour, in cui non c’è stata vera campagna elettorale.

È improbabile che ci si trovi con Marine Le Pen presidente domenica prossima (chi scrive aveva però categoricamente escluso l’elezione di Trump nel 2016). La vittoria di Macron, tuttavia, non risolverebbe alcun problema.

Il presidente fragile

Per evitare il più possibile una discussione del suo bilancio, Macron ha ritardato l’annuncio della propria candidatura e, durante la campagna elettorale, ha lasciato alle seconde linee il compito di difendere un progetto dichiaratamente di destra liberale, coerente in questo con le politiche precedenti alla pandemia.

L’entourage del presidente non si aspettava sondaggi così incerti, e la prima settimana della campagna per il secondo turno è stata passata ad annacquare il programma, con promesse di ammorbidimento dell’annunciata riforma delle pensioni, di riconsiderazione delle politiche sulla scuola e sulle retribuzioni degli insegnanti, e via di seguito.

Quanto questo riesca a convincere gli elettori di sinistra non è chiaro. Questi dovrebbero comunque in maggioranza votare per lui in chiave anti Le Pen.

Tuttavia, se rieletto, Macron dovrà seriamente interrogarsi sull’impronta da dare al secondo mandato. In Francia e nel resto d’Europa il disagio delle classi medie è arrivato al livello di soglia. La ripartizione dei costi della transizione ecologica, del rientro dal debito, sarà determinante per capire se le lezioni degli scorsi anni sono state comprese.

Il programma di Macron, anche nella versione annacquata post primo turno, non spinge all’ottimismo al riguardo.

Marine le Pen e i suoi accoliti in giro per l’Europa sono pericolosi e dannosi proprio per le classi popolari che dichiarano di voler proteggere. Ma se non cambia radicalmente la politica economica, la probabile rielezione di Macron di domenica prossima non avrà fatto altro che ritardare di cinque anni il loro ingresso nella stanza dei bottoni.

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