Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà alcuni stralci del libro “C'era una volta il pool antimafia” edito da Zolfo Editore


E poi c’era Giovanni Paparcuri, con la sua storia particolare, come accennavo in principio. Autista di Rocco Chinnici sopravvissuto all’attentato che causò la morte del giudice, del maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, dell’appuntato Salvatore Bartolotta – componenti della scorta – e del portiere dello stabile di via Pipitone, Stefano Li Sacchi, Paparcuri fu costretto a cambiare mansioni. “Dal 29 luglio 1983 ho notte e giorno un’autofficina nell’orecchio”, dice ancora oggi.

Rischiò di essere riformato e di andare in pensione a 27 anni.

Quanti avrebbero scelto come lui di continuare a lavorare? Non voleva arrendersi, non voleva tradire se stesso e le persone che erano rimaste vittime dell’attentato.

Lo Stato lo declassò dal quarto livello di autista giudiziario al secondo di commesso. Resistette e rimase in ufficio fino a quando il Ministero affidò l’appalto per la digitalizzazione (all’epoca probabilmente non si diceva così) degli atti del pool a un’azienda esterna. Questo voleva dire avere estranei che giravano nei nostri uffici. Anzi, in quell’ufficio, il “bunkerino”. No, non era possibile correre il grave pericolo di una fuga di notizie e di dati sensibili. Borsellino, richiesto da Caponnetto di trovare una soluzione al problema, reclutò Paparcuri che iniziò così a smanettare sul “casciabanco”, un computer che oggi sarebbe superato per potenza da qualsiasi cellulare e all’epoca era una meraviglia della tecnologia. Se avessimo avuto i pc odierni, dice Paparcuri, non avremmo fatto il maxi ma il megaprocesso.

Il “bunkerino” è ancora lì e, su lodevole iniziativa della Corte di Appello e della Sezione Distrettuale di Palermo della Associazione Nazionale Magistrati, è diventato un museo, anche se a Paparcuri questa denominazione non piace, dedicato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Giovanni Paparcuri ne è il geloso custode e da vero cicerone quotidianamente mostra a scolaresche, cittadini e turisti in visita a Palermo le stanze arredate come lo erano ai tempi del pool, grazie al suo infaticabile lavoro di ricerca degli originari mobili e suppellettili.

La visita al “bunkerino” non è però una cosa da due foto e via. Paparcuri non si limita a ricevere i visitatori ma racconta come tutto è iniziato, l’impegno dei giudici, come si lavorava, le motivazioni di ciascuno, gli aneddoti. È un viaggio di istruzione, con istantanea finale su Facebook, per chi lo desideri, insieme allo stesso Paparcuri.

Il contributo di tutti i “nostri” collaboratori in quegli anni è stato fondamentale. Incluso il preziosissimo personale di cancelleria: Anna Radica, Ester Galati, Duilia Mercatali, Nunzia Russo, Barbara Sanzo, che ci hanno sempre assistito senza risparmiarsi, efficientissime e instancabili.

Le ricordo una per una. Si andava di fretta, tutto era sempre e comunque urgentissimo. Se succedeva che una nostra collaboratrice chiedesse quando dovesse essere trasmesso un fax, si rispondeva con la frase di rito: “Signora, subitissimo, anche... ieri!”

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