Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha annunciato con un post su Facebook il rinvio nella primavera 2021 della prova scritta dell’esame di accesso alla professione forense previsto nei giorni 15-16-17 dicembre 2020. E così in un post ha rovinato i sacrifici e le ambizioni di migliaia e migliaia di praticanti avvocati, circa 25/30 mila ragazzi in attesa che la pandemia sparisca.

La decisione del rinvio da parte del ministro solleva tante domande e dubbi. Non si poteva far sostenere l’esame orale in via telematica ai candidati a partire dalle date previste dal bando, evitando così di rinviare fino alla prossima primavera gli scritti? Se nella scuola e nelle università è possibile realizzare la didattica a distanza, sostenere esami e sedute di laurea online, perché non procedere anche nel caso dell’esame di Stato di avvocato ad archiviare la prova scritta e far sostenere a tutti i candidati solo l’esame orale?
Quella del rinvio sembra una scelta fuori luogo, anzi illogica, che non tiene conto dei tanti sforzi e dei tanti sogni dei giovani praticanti avvocati, che cinque anni di studi universitari e 18 mesi di pratica forense spesso gratuita si avviavano a sostenere la fatidica prova che permette di venire abilitati a esercitare la professione di avvocato. L’esame che ogni praticante sogna fin dai tempi dell’università, che aspetta da una vita e che si tiene solo una volta all’anno, diversamente da quanto succede per tutte le altre categorie professionali.
L’attuale situazione storica, invece, potrebbe essere l’occasione per realizzare finalmente i cambiamenti che da anni vengono chiesti sia dai praticanti avvocati che dal mondo dell’avvocatura, facendo una scelta di riforma coraggiosa. 

Lo dimostrano gli esiti della correzione degli scritti dell’esame di abilitazione 2019, molto penalizzanti per i partecipanti con meno del 35 per cento di promossi (dopo 8 mesi di attesa per la correzione), contro cui l’Associazione italiana praticanti avvocati venerdì scorso ha depositato un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Nel ricorso è stata rilevata l’illegittimità costituzionale dell’impianto normativo che disciplina l’accesso alla professione forense per violazione dei vincoli comunitari che garantiscono il rispetto della cosiddetta libertà di stabilimento e di concorrenza e che vietano l’introduzione di ostacoli ingiustificati all’accesso al lavoro.

Nel frattempo, invece, l’unica soluzione logica e realizzabile in piena pandemia sarebbe stata quella di procedere ad un solo esame orale abilitante, come per altro avvenuto per le altre categorie professionali. Con motivazioni analoghe, per i commercialisti si è deciso di svolgere l’esame solo in modalità orale per via telematica nel 2020.

Del resto, non va dimenticato che l'esame per diventare avvocato non è un concorso che dà accesso ad un lavoro nel settore pubblico, ma è un esame di abilitazione alla professione, che completa un percorso di studi e che consente di iscriversi all’albo e affacciarsi al mercato della libera professione.

Scegliere di rinviare l’esame, invece, significa costringere tanti giovani ad aspettare altri due anni prima di potersi iscrivere all’albo (se l’esame si svolgerà in primavera 2021, gli orali non saranno prima di gennaio 2022) e dunque mettere in stand by il loro futuro.

Servono certezze e in questo momento il ministero della Giustizia non si sta assumendo la responsabilità di darle. La soluzione c’è: smetterla con i rinvii e prevedere per questa fase di emergenza un esame orale abilitante a distanza. Come praticanti, chiediamo il coraggio di scegliere questa strada.

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