«La separazione delle carriere torna sempre, nelle occasioni più disparate, come rimedio per tutto», è il parere di Edmondo Bruti Liberati, ex procuratore capo di Milano e già presidente dell’Associazione nazionale magistrati, che considera il caso Crosetto un episodio molto grave, spia di una diffusa insofferenza del governo nei confronti delle toghe.

Il ministro Crosetto ha espresso la sua «preoccupazione» nei confronti della «opposizione giudiziaria». Sembra quasi un’evocazione da 1994 con i processi di Silvio Berlusconi. Siamo davvero in un contesto simile?

Le espressioni del ministro che evocano un complotto ordito in segreto da magistrati per far cadere il governo sono molto gravi e c’è da augurarsi che gli siano solo sfuggite. Lo stesso ministro il giorno dopo è sembrato voler ridimensionare, ma le sue parole sono espressione dell’insofferenza di chi esercita il potere rispetto all’indipendenza della magistratura. Al contrario, il rischio di una “deriva antidemocratica” nell’uso dello strumento penale da parte del governo è da mesi denunciato, e a ragione, da illustri professori e avvocati, di fronte alla continua introduzione di nuovi reati e all’aumento spropositato delle pene. L’originario decreto anti rave era talmente forzato che lo stesso governo, in sede di conversione, ha dovuto spuntarne almeno in parte le “derive antidemocratiche”. Il populismo penale non è di oggi, ma con questo governo c’è stata una accelerazione che sembra inarrestabile.

La paura del ministro sembra quello che le posizioni che lui considera politiche dei magistrati si traducano poi in inchieste a orologeria.

Ci sono poche indagini che coinvolgono esponenti politici che non suscitano come reazione la ormai stucchevole denuncia della “orologeria giudiziaria”. Nel luglio scorso la premier Giorgia Meloni ha dichiarato, nel caso del sottosegretario Andrea Delmastro, che «è lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia così deciso di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee». Per polemizzare contro un’indagine della magistratura abbiamo visto di tutto: indagini avviate nell’imminenza di una delle tante scadenze elettorali sono accusate di voler influire sulle urne, mentre indagini post elezioni sono accusate di non voler rispettare il risultato delle urne. Forse, come sentivamo nelle cronache di Ruggero Orlando da Cape Canaveral, bisognerebbe stabilire una “finestra” per il “lancio” di indagini in un tempo ben distante sia dalla precedente sia dalla successiva scadenza elettorale, peraltro con un necessario computo calibrato che assegni punteggi di valore diversi a seconda del tipo di elezioni e del bacino elettorale.

La nuova polemica politica rischia di delegittimare ex ante l’attività della magistratura, o comunque di metterla in difficoltà?

La magistratura esercita un potere che deve essere sempre soggetto ad attenzione critica da parte dell’opinione pubblica. Se la politica e il governo delegittimano la magistratura è un problema per le istituzioni democratiche, non per la magistratura che è oggetto di queste campagne.

È emersa l’ipotesi di introdurre test psico-attitudinali per le toghe. Da ex magistrato cosa ne pensa?

Non sarò certo io a evocare una “uscita a orologeria” dopo le reazioni alle parole del ministro Crosetto. È un tema evocato in Italia diversi decenni addietro, poi abbandonato e ripreso da Licio Gelli nel piano della P2. In quel piano vi erano proposte eversive, questa è semplicemente una sciocchezza. I test psicoattitudinali devono essere calibrati su una specifica attività professionale, quelli dei piloti di aereo sono diversi da quelli delle forze di polizia che maneggiano armi. Tutti gli psicologi che hanno studiato la questione concordano nel ritenere che test di questo tipo sono impossibili da costruire con basi scientifiche serie per una attività, come anche quella della magistratura. In Francia l’esperimento di introdurre questi test è stato fatto ma ben presto abbandonato.

Sono stati introdotti i nuovi parametri per la valutazione dei magistrati e l’accento è sulla produttività. È ragionevole in tempo di Pnrr?

I magistrati non hanno nessun timore delle “pagelle”. Deve esserci una valutazione di professionalità, che però tenga conto della specificità del lavoro del magistrato. Quel che conta è un continuo aggiornamento che garantisca una buona qualità professionale media, non una gradazione di voti. Mi spiego: al cittadino interessa che il magistrato che si occupa del suo caso sia possibilmente sempre un “buon” magistrato; poco gli importa che siano stati selezionati alcuni “ottimi”, magari per le grandi sedi. Il controllo della produttività è doveroso, vanno sanzionati ove esistano difetti di laboriosità, ma ancora una volta ciò che conta è la resa complessiva.

Crosetto ha anche dato indirettamente spinta alla riforma costituzionale della separazione delle carriere.

La separazione definitiva viene proposta nelle occasioni più disparate come rimedio per tutto. Le faccio notare che già con le ultime modifiche dovute alla riforma Cartabia i passaggi tra giudici e pm sono stati, purtroppo, ridotti al minimo. Sono tra coloro che credono che è bene, come garanzia per i diritti degli indagati, che il pm sia vicino alla cultura della giurisdizione piuttosto che alla cultura di polizia. Né si può ignorare che un pm separato, ovunque nel mondo e anche in Europa, con la sola eccezione del Portogallo, è soggetto in misura maggiore o minore all’esecutivo. Che non sia fuor d’opera evocare questo rischio di volontà di una sudditanza lo ha dimostrato il ministro Salvini. Nel polemizzare contro la decisione di una giudice di Catania, ha dichiarato che bisogna riformare la giustizia «con separazione delle carriere di giudici e pm». Ma quella a cui si riferiva era una procedura in cui non partecipava il pm e nella quale per di più il giudice aveva accolto le tesi della difesa. Forse non è la separazione che il governo vuole, ma solo decisioni che considera favorevoli.

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