Bugie, segreti e depistaggi del governo su Almasri. E Meloni grida al complotto

Ci sono le bugie e i silenzi dei ministri, la versione mendace di una potente capo di gabinetto, ma anche le ambiguità sull’utilizzo del volo di Stato per il rimpatrio del libico Almasri, di mestiere generale e torturatore. Un campionario di omissioni e menzogne che ha portato il tribunale dei ministri a chiedere l’autorizzazione a procedere nei confronti del guardasigilli Carlo Nordio, del numero uno del Viminale Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano. Un elenco di fatti che delinea i contorni di uno degli scandali internazionali più gravi degli ultimi anni, firmato governo Meloni. Che mercoledì sera, in un’intervista al Tg5, è tornata ad attaccare la magistratura. «Il mio esecutivo va spedito sulla riforma della giustizia – ha detto – Ma ci sono delle conseguenze». Tra queste le azioni messe in atto, secondo la presidente, dai giudici. Dalla decisione su Almasri fino a quelle sui migranti in Albania. Libia, Almasri e quel patto sporco per difendere gli interessi di Eni «Vedo un disegno politico intorno alle decisioni della magistratura sui temi dell’immigrazione, come se si volesse frenare la nostra opera di contrasto all’immigrazione illegale. Ciononostante i flussi di immigrati illegali in Italia sono diminuiti del 60% e lavoriamo per fare ancora meglio», ha concluso. Il fantasma di via Arenula Su Almasri pendeva un mandato di cattura per una sfilza di reati. La sua, una fuga che, secondo il tribunale speciale, è stata favorita dagli uomini di Meloni, accusati a vario titolo di peculato, omissione di atti d’ufficio, favoreggiamento. In questo scenario i silenzi del ministro della Giustizia sono i più assordanti. Le tre magistrate ricostruiscono le condotte di Nordio fin dall’inizio della storia: parlano di assenza nelle prime riunioni sulla gestione del caso, ma anche di «inerzia», giudicata colpevole perché funzionale alla liberazione del torturatore. Il guardasigilli non diede corso alle richieste di cooperazione della Cpi aventi ad oggetto l’arresto provvisorio, la perquisizione e il sequestro nei confronti di Almasri. Non rispose al procuratore generale della Corte d’Appello. E non rispose neppure alle plurime richieste inoltrategli da funzionari dell’Aia, «neanche dopo aver avuto comunicazione del provvedimento della Corte d’appello che, ravvisando un errore procedurale, si era attivata per dare corso alle richieste di cooperazione della Cpi». In realtà, in base a quanto emerge dal provvedimento del tribunale, il ministro avrebbe avuto tutto il tempo di interloquire con gli alti vertici istituzionali e «avrebbe avuto anche il tempo per provvedere a dar corso alla richiesta di arresto provvisorio e di sequestro, ove avesse voluto». A peggiorare la sua posizione pure il fatto d’aver rifiutato di rendere interrogatorio per chiarire quanto accaduto. Al suo posto, a gestire la vicenda, c’era Giusi Bartolozzi, l’intoccabile capo di gabinetto, verso cui presto si potrebbero accendere i fari dei pm di Roma. Il tribunale dei ministri giudica la versione da lei fornita «inattendibile e mendace». Proprio Bartolozzi sulla vicenda Almasri invitava tutti a parlare in modo riservato. Caso Almasri, «Nordio ha bloccato le comunicazioni con la Corte penale internazionale». Ecco le carte sui ministri e Mantovano Le funzionarie di via Arenula sottolineano, una volta sentite dalle giudici, le criticità del caso. «A quel punto le funzionarie avevano cercato di capire quale fosse l’orientamento del Gabinetto, ricevendo come risposta che era in corso una riunione e che stavano valutando», si legge nelle carte. Una continua procrastinazione. E le conclusioni delle giudici sono chiare: le condotte di Nordio, insieme a quelle di Piantedosi e Mantovano, hanno determinato il rimpatrio di Almasri, avvenuto col Falcon dei servizi: su quel volo il torturatore non era solo. Amici miei C’erano anche altre tre persone: Sghiar Ayoub Yousef Elmokhtar, Bramitah Murad Shiboub e Usta Osama Mohamed. E cioè gli amici di Almasri. Ma perché rimpatriare anche loro sul volo di Stato? Se lo sono chiesto le giudici. Una domanda che hanno posto anche a chi è stato chiamato a fornire sommarie informazioni. «Tanto la decisione di espellere i cittadini libici quanto quella di utilizzare il volo Cai per rimpatriarli risultano essere state assunte all’esito delle riunioni tra i vertici di Governo», si legge. Di queste riunioni, tuttavia, non c’è traccia: né un verbale né un documento. Un vero e proprio giallo. Il contenuto, specificano le magistrate, è «stato ricostruito» con le dichiarazioni di alcuni dei partecipanti. Tra loro anche il numero uno dell’Aise Giovanni Caravelli. È proprio Caravelli a riferire di «aver ricevuto nel tardo pomeriggio del 20 (gennaio, ndr) una comunicazione da Mantovano (…) Mi disse di predisporre un volo Cai per poter riportare in Libia i tre, più il generale Almasri». “Strategia Bongiorno” su Almasri per Meloni. I dubbi sull’uso del segreto di stato Anche per l’ex prefetto «il volo Cai era quello che dava maggiori garanzie sia di immediatezza che di possibilità di arrivare a Tripoli in sicurezza. Cosa che con un volo commerciale sarebbe stato difficile, perché il primo volo commerciale utile, là ci troviamo a lunedì, sarebbe stato il mercoledì successivo». Agli atti c’è un «comunicato di ITA Airways da cui risultava che l’operativo dei voli fra l’Italia e la Libia prevedeva due frequenze settimanali, ogni giovedì e domenica». In questo modo, scrivono le giudici, veniva giustificata «la necessità di usare il volo Cai». Tradotto: troppi pochi voli dall’Italia alla Libia, carenza che avrebbe posto problemi di sicurezza. Eppure, suggeriscono le giudici, i tre cittadini libici, già liberi, benché destinatari di un decreto di espulsione, «non presentavano profili di pericolosità tali da giustificare l’utilizzo di un volo Cai, essendo privi di precedenti penali ad eccezione di una segnalazione per ricettazione prescritta». I tre non erano indagati dalla Cpi, erano provvisti di passaporti validi «che gli avrebbero consentito di utilizzare qualsiasi volo». Davanti a queste evidenze, Caravelli «rettifica le dichiarazioni». «Mi sono espresso male – dice – Intendevo dire che il volo Cai è stato chiesto per il generale Almasri (…) L’apprensione era per Almasri e non per i tre che avevano aspettato in albergo (la sua liberazione, ndr)». Alla fine però gli amici del torturatore saliranno sul Falcon, ritornando nella loro amata Libia. Un volo di Stato trasformato in un taxi privato per il generale libico. Sul caso Almasri Meloni ha ragione: a processo doveva andarci anche lei