La procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sull’esistenza della presunta loggia Ungheria, l’associazione segreta denunciata dall’ex legale esterno di Eni, Piero Amara, e composta da magistrati, politici, funzionali di polizia che avrebbe svolto attività di interferenza nelle procure e di influenza in altri luoghi di potere. Tuttavia, la vicenda non è ancora chiusa e una parte delle dichiarazioni di Amara è stata stralciata e inviata ad altri uffici per ulteriori approfondimenti.

Il filone principale, secondo il comunicato stampa di Cantone, non ha trovato adeguati riscontri: «Sull'esistenza dell'associazione non sono, infatti, emersi elementi neanche indiretti che potessero attestarne l'esistenza al di fuori delle dichiarazioni di Amara e delle dichiarazioni di un altro indagato». Tradotto: sono mancati adeguati riscontri probatori dell’esistenza della loggia.

Il ruolo di Amara

Il ruolo di Amara, tuttavia, rimane centrale e Perugia conferma che nelle sue dichiarazioni ci sarebbe un misto di verità e bugie difficilmente districabili. «Il complesso delle investigazioni ha portato a ritenere integralmente o parzialmente non riscontrate numerose propalazioni dell'avvocato», e quindi «come non accertati fatti narrati». In altri casi, invece, gli inquirenti hanno ritenuto «avvenuti i fatti, ma escluso che in essi Amara avesse potuto svolgere un ruolo come da lui riferito», si legge nella nota stampa. Leggendo tra le righe, quindi, emerge che gli inquirenti, nell’escludere per mancanza di prove l’esistenza dell’associazione segreta, ritengono che interferenze e tentativi di condizionamento possano essere avvenuti per come sono stati raccontati da Amara. Tuttavia, non sarebbe stata la presunta loggia a metterli in atto, ma «sono risultati ascrivibili a interessi personali o professionali diretti dell'Amara o di soggetti a lui strettamente legati».

Le indagini proseguono

Proprio in questa direzione stanno procedendo le indagini. A quanto risulta a Domani, la procura di Perugia ha stralciato la posizione di Amara inviandola ai colleghi di Milano con l’ipotesi di reato di autocalunnia e calunnia. L’ipotesi di calunnia è nasce dalle dichiarazioni dell’ex legale nei confronti in particolare della ex ministra della Giustizia, Paola Severino, avvocata difensore di Eni nel maxiprocesso Eni-Nigeria; dell’ex vicepresidente del Csm, Michele Vietti, indicato come capo della loggia; dei generali della Guardia di Finanza, Giuseppe Zafarana e Giorgio Toschi e del procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo. Dal racconto di Amara, sia Zafarana che il suo predecessore ai vertici della Gdf, Toschi, sarebbero stati affiliati. Secondo Amara, infine, anche Saluzzo era membro della loggia e sarebbe stato Vietti a mandare l’ex avvocato da lui, per chiedergli «una sua messa a disposizione qualora ve ne fosse stato bisogno».

Quanto al reato di autocalunnia, Perugia ritiene che i colleghi milanesi debbano iscrivere nel registro degli indagati Amara anche per essersi autoincolpato di un reato che sapeva non essere avvenuto o comunque commesso da altri.

Non solo Milano, però: altri filoni sono stati spediti ad altrettante procure competenti. In particolare, sono state considerate parzialmente attendibili e comunque da approfondire le dichiarazioni di Amara in merito ai suoi rapporti con l’ex senatore Denis Verdini, di cui il legale siciliano avrebbe finanziato l’attività politica per avere come contropartita la promozione di un magistrato amministrativo suo amico. Lo stesso vale anche per quelle che Amara ha fatto in relazione ad una presunta trattativa con la società Blue Power. L’ex avvocato, infatti, ha raccontato che sarebbe stato convocato alla fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema per far ottenere alla Blue Power di Francesco Nettis, ex socio in affari di D’Alema, decine di milioni di euro dall’Eni per un brevetto.

Infine, altri stralci dovrebbero rimanere per competenza alla procura di Perugia e, probabilmente, si tratta di inchieste che riguardano magistrati che operano negli uffici giudiziari di Roma.

Accanto a queste ulteriori indagini, la richiesta di archiviazione di Perugia – molto articolata, «consta di 167 pagine ed è accompagnata dall'intero ponderoso fascicolo, contenuto in quasi 15 faldoni di documenti» – potrebbe dare adito anche a procedimenti disciplinari al Csm. Cantone, infatti, ha disposto che il provvedimento venga inviato anche al procuratore generale della Cassazione, per competenza in caso di procedimenti disciplinari a carico di magistrati.

E’ probabile, inoltre, che anche l’ufficio di presidenza del Csm faccia richiesta a Perugia di ricevere gli atti, per valutare se siano state riscontrate condotte che possano produrre pratiche di incompatibilità per i magistrati coinvolti.

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